SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

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L’approdo ad una maturazione artistica e ideologica di F. Jovine: Il romanzo “Signora Ava”.

La fase produttiva di Francesco Jovine scrittore si colloca nell’arco temporale degli anni 1930-1950, un’attività multiforme che si dirama in ambiti diversificati come il giornalismo, la saggistica e la narrativa. Il profondo impegno come giornalista,assorbito dalle note testate del tempo, e l’intenso lavoro come saggista ,rivolto più specificamente ai problemi della scuola, ch’egli teneva particolarmente a cuore per la sua professione di maestro, prima, e di direttore didattico, dopo, lo inducono a guardare alla realtà circostante con occhi molto diversi rispetto ai letterati a lui coevi. Il percorso umano e di formazione di Francesco Jovine gli impedisce di considerare l’opera d’arte come fine a se stesso, al contrario l’opera d’arte vive di una sua intima motivazione.

L’artista vive in questa e se è dotato di intelligenza, fantasia e ha profondo impegno morale, è scrittore, artista sociale nel senso più alto del termine. La socialità della sua opera non sarà però il frutto di una esigenza estrinseca o di un programma, ma il risultato di quella sua diretta adesione morale alla società in cui vive. In questo nostro vivere quotidiano si formano i contenuti sentimentali, i fermenti attivi del lavoro della nostra fantasia, la quale tradurrà poi in immagini e dramma questi contenuti affidandoli, coordinandoli, portandoli a quella unità che giustamente sta a cuore a Emilio Serani. Indispensabile unità dell’opera che non ha altre leggi che quelle che essa stessa può darsi liberamente, autonomamente.*

Francesco Jovine è uomo e narratore formatosi alla scuola dell’idealismo crociano, in primo luogo, della concezione gentiliana, poi, avvalorata infine dalla frequentazione assidua di G.Lombardo Radice, che fu relatore della sua tesi di laurea e lo ebbe come assistente alla cattedra della pedagogia al Magistero di Roma: da queste presenze così vive nel suo percorso egli non può prescindere nelle sue scelte di artista e, con il trascorrere del tempo, l’avvicendarsi di tanti tragici avvenimenti storici maturano i lui una coscienza piena e convinta della missione che è stata affidata all’uomo di lettere, all’uomo di cultura una missione da cui non è esclusa la lotta:

Dico lottare, caro Russo, e quando parlo di lotta non escludo nessuno dei mezzi onesti per conseguire l’intento. Noi siamo uomini liberi, io modesto inventore di casi romanzeschi, tu acuto indagatore della storia dello spirito italiano; ma tu ed io veniamo da un  ceppo comune, tu ed io abbiamo inteso la lezione del nostro De Sanctis e quella più antica di Giambattista Vico. Entrambi sappiamo che il pensiero rimane sterile affermazione se non si traduce nell’atto che, rendendolo operante, lo fa vero.**

E’ il momento più vivo della polemica accesa in quegli anni tra gli intellettuali sul problema dei rapporti arte-vita, nell’ambito della quale si fanno spazio due voci altisonanti,quella di Emilio Sereni e quella di Libero Bigiaretti; anche per entrambi la vera letteratura non può essere che espressione di una società in cammino. Ma la posizione di F.Jovine è più forte ,più decisa: il Nostro è risalito alle origine del pensiero estetico di De Sanctis e ha studiato il filosofo Giambattista Vico, ed è proprio questo retaggio, imprescindibile, che condurrà Jovine ad una ideologia molto più radicale, che coglie tra l’artista  e il contesto sociale un ineludibile rapporto di necessità, che il Nostro esprime in modo esplicito in diversi articoli e saggi scolastici.

Egli stesso scrive sull’Unità:

La società sarebbe un dato preesistente all’opera, un complesso di fatti morali, economici, psicologici indipendenti dall’opera dell’artista, il quale avrebbe l’unico compito di coglierne l’essenza per farne con i modi misteriosi,ineffabili della fantasia, opera d’arte. Ed invece, per me, questa realtà intesa così non esiste e non esiste il suo rapporto fortuito con lo scrittore. Il rapporto fra scrittore e società è un rapporto necessario. Una società produce la sua letteratura e la letteratura implica la rappresentazione di quella società. Non si da mai una vera opera d’arte che non sia legata all’uomo sociale (l’uomo in rapporto con i suoi simili) vivente in un periodo storico determinato. Ma dirò di più : questo rapporto è di natura talmente salda che è pressoché  impossibile distinguere, se non in sede didattica, una società dalla sua rappresentazione letteraria e artistica, una letteratura dalla società che le ha dato vita.***

E’ la base di un a posizione così radicale, non semplicemente raggiunta, che spinge lo scrittore F.Jovine ad elaborare una diagnosi attenta e severa sulla letteratura del suo tempo; per cui egli stesso precisa più volte la necessità della scelta realistica della sua narrativa: su questo sentiero è chiaro il passo verso l’ incomprensione per fenomeni e correnti contemporanee da parte di uno scrittore-critico di formazione crociana quale è appunto Jovine. Quest’ultimo rimprovera così alla letteratura del suo tempo il fondamentale disimpegno la mancanza del fine educativo e formativo, ch’egli riscontra in alcuni aspetti peculiari delle opere contemporanee come l’invadenza del formalismo retorico, la fragilità dell’esperimento e la mancanza di una solida struttura ideologica.

<<Il rifiuto dell’arte contemporanea si traduce in un vivo interesse per l’arte passata, i cui tratti fondamentali erano sincerità ed impegno>>****

Egli ritrova negli autori del passato, anche recente,una solidità di intenti, un’adesione piena alla realtà sociale e una volontà ferma non solo nel denunciare, ma anche nel curare e guarire i mali, le piaghe sanguinanti della società, vissuta e rappresentata.

 

E con la collaborazione a L’Italia letteraria che lo scrittore molisano ha opportunità di allargare i propri orizzonti culturali, di maturare notevolmente, di acquistare gradualmente coscienza del mondo morale e fantastico che premeva la sua ispirazione e, infine, della sua missione di intellettuale; che se certo si rafforza con i successivi apporti ideologici del gramscianesimo e del marxismo, ha però le sue radici nella particolare condizione di Jovine, che pone il legame con la sua terra al centro del suo mondo interiore e lo evidenzia , lo esalta con la forza d’una nuova maturità ideologica e politica.

In un numero de I diritti della scuola (rivista del 31 gennaio1932) l’attacco di Jovine ed alcune voci eminenti del suo tempo si fa esplicito: riconosce a poeti come Ungaretti, Saba, Montale,la squisitezza di forma e la ricerca sottilissima di nuovi impasti cromatici e fonici, ma non si riserva di affermare che i loro versi si compongono di virtuosismi e quasi sempre,  non si tratta di vera poesia.

Il realismo dell’ottocento è in Jovine adozione ben ponderata non casuale; il che,  se non dissolve certo la limitazione sul piano diremo storico, riscatta pienamente Jovine tuttavia, dalle accuse di tardo manzoniano o di verista attardato. Egli risalì, quasi costretto, alla tradizione realistico-verista ottocentesca in quanto non trovava negli autori del suo tempo esempi e strumenti narrativi adatti ad esternare il suo mondo, che non poteva essere altrimenti espresso, altrimenti descritto che in quei moduli. Moduli che tuttavia Jovine ricrea, non adotta passivamente.

Né la Ronda, né i tentativi del Neorealismo del primo dopoguerra potevano attirare lo scrittore molisano, o almeno agire in modo decisivo sullo stato fluido in cui egli si dibatteva; con tanta diffidenza nei confronti della letteratura a lui contemporanea, Jovine dichiara la propria scelta: rappresentare una realtà umana inserita nella storia, arricchita di tutti i più intimi succhi personali; ed è quanto egli ha cercato di realizzare nelle pagine di uno dei suoi maggiori lavori, il romanzo Signora Ava.

Rispetto agli altri autori a lui contemporanei, ciò che rende singolare la posizione ideologica di Jovine è certamente la sua origine provinciale, un aspetto che fa capolino nella sua produzione narrativa sin dalle primissime prove fino a Le terre del Sacramento, opera pubblicata postuma, concordemente riconosciuta  dalla critica come il suo capolavoro. Figlio del Molise, Francesco Jovine nel suo processo di maturazione umana e professionale indaga ed approfondisce il dramma della sua terra e il suo rapporto di uomo ed intellettuale con le sue radici provinciali.

La narrativa è per Jovine il mezzo per chiarire a se stesso prima che agli altri il problema di un rapporto subito e intuitivamente avvertito, ma agli inizi non ancora chiarito nei suoi termini sostanziali, tra la sua realtà personale di provinciale istruito e la realtà del mondo che lo ha generato, che è gran parte di lui, e che appare irrimediabilmente ma solo in apparenza distante e irraggiungibile. E’un problema che si pone dunque sin dagli inizi come chiarificazione e definizione del rapporto tra l’ intellettuale e la società che lo ha prodotto. Esigenza soprattutto morale, dunque,  prima che sociologica.

La sua terra non è semplicemente sfondo folcloristico a tante vicende della sua narrativa; l’attaccamento alla sua terra non può ridursi semplicisticamente ad un ancestrale recupero della proprie radici; né l’ una né l’ altra spiegazione sarebbero esaustive, al contrario risultano insufficienti e fuorvianti. Jovine sente e vive dentro di sé una esigenza che è prima dell’uomo e poi dell’ intellettuale:il desiderio anzitutto morale di chiarire razionalmente le incredibili contraddizioni della specifica realtà molisana, di evidenziarne i problemi al di là della dolorosa realtà quotidiana e soprattutto tracciare le linee della propria missione di intellettuale.

“La provincia è per me una specie di sogno. Sono venuto via dal mio paese di Guardialfiera a 9 anni e nessuno là mi conosce fisicamente. Fino a 15 anni ritornavo là d’estate,  per un po’ durante le vacanze, poi in venti anni mi avranno visto appena tre volte. Conosco il Molise attraverso i racconti di mio padre e un po’ per istinto. In me quella terra è come un mito antico tramandatomi dai padri e rimasto nel sangue e nella fantasia”.

I racconti del padre se avevano colpito la fantasia fanciullesca di Jovine con l’evocazione dei personaggi singolari, comici o grotteschi, o di vicende meravigliose, di magie e sortilegi, fornirono più tardi elementi vivi di una realtà storica alla sua riflessione più matura.

Le prime avvisaglie del dramma storico meridionale,intessuto di eventi tra il mito e la cronaca, di psicologia ancestrali e di conflitti sanguigni, nascano da queste suggestioni infantili. Suggestioni però che ben presto diventano stimoli coscienti per una più vasta ricognizione storica e socio-economica della realtà della sua terra, e sin d’ora , l’interesse letterario indubbiamente preminente,sembra acquistare senso soltanto nell’ottica più acuta dei suoi rapporti sempre meno emotivi e più razionali, con quella realtà.

Vincenza Dott.ssa CASILLO

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI «FEDERICO II»

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN LETTERE MODERNE

ELABORATO DI LETTERATURA ITALIANA

Signora Ava (1942) di Francesco Jovine il Molise contadino e l’Unità d’Italia

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

*F. Jovine, I confini del Mezzogiorno, in <<L’Unità >>, 13 dicembre 1949, pag 3

**F. Jovine, Rassegna di varia umanità, in << Belfagor >>, 1949, pag 221

***Jovine, in << L’Unità>>, 20 ottobre 1948

****E. Ragni ,Jovine,  Firenze, La Nuova Italia Editrice, pag 50

Immagine:morguefile

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