Marko Kraljevic
I Turchi avevano terrorizzato il popolo serbo. Violentavano le donne, prendevano i bambini tra i dieci e i tredici anni e li portavano in scuole speciali per l’istruzione militare. I serbi costruivano ponti e strade per i conquistatori e pagavano esose tasse per la terra. Avevano perso la loro libertà. Le nuove leggi imponevano di non bere vino, non ballare nelle piazze e di non portare abiti confezionati con stoffe pregiate. Vietavano a ogni Serbo di cavalcare buoni cavalli, portare la spada e fumare. Chiunque si fosse trovato davanti a un Turco, doveva chinare la testa e accoglierlo nella propria casa con la massima gentilezza, offrendogli da mangiare e da bere. Marko, però, essendo cresciuto nel monastero, non conosceva la vera situazione.
Così prese il suo cappello, indossò un bell’abito, montò a cavallo, impugnò la clava, la spada e andò in Città. Sperava tanto di riuscire a carpire notizie di suo fratello. Anche la dojdola era sempre nei suoi pensieri e sognava di rincontrarla. Quando arrivò si fermò in una taverna, ordinò un boccale di vino per lui e per tutti i presenti. Per Marko non era importante chi fosse Turco o Serbo, lui offriva da bere a chiunque. Gli avventori lo guardavano con curiosità.
“Ma chi sei tu?” - gli domandò un Turco
“Io sono Marko Kraljevic” - rispose orgoglioso.
“Nessuno di noi ha sentito parlare di te. Sai quali sono le nostre regole?” - gli chiese.
“Non conosco i vostri principi e non mi interessano nemmeno. Io sono stato figlio d’un Re e conosco solo le mie leggi.” - rispose Marko con voce molto seccata.
“Adesso ti porteremo dal Sultano, lui ti spiegherà le regole da seguire.” - continuava a insistere il Turco. Marko si arrabbiò tantissimo, prese il boccale pieno di vino e glielo frantumò sulla testa che iniziò a sanguinare.
“Andrò da solo. Non ho bisogno della tua miserabile compagnia.” - rispose Marko furibondo.
“Dove alloggia il Sultano? Gli voglio fare una visita.” - domandò a uno dei presenti nella taverna.
“Due chilometri da qui vedrai delle tende. Sono presidiate da guardiani, lo troverai lì.”
Marko prese un altro boccale di vino, lo svuotò in un attimo e uscì dalla taverna. Si diresse insieme a Sharaz verso la tenda del Sultano. I guardiani, vedendolo così sicuro di sé e pieno di rabbia, ebbero paura a fermarlo e lo lasciarono entrare indisturbato. Si sedette vicino a lui, tirò il cappello sulla fronte, tenne stretta la clava e appoggiò sulle cosce la spada tagliente. Il Sultano non fu sorpreso dalla sua visita perché l’avevano già avvertito: “Giovane eroe, come ti chiami?”
“Sono Marko Kraljevic”
“Allora Marko, perché porti la spada con te?”
“Perché indossi un bell’abito?”
“Perché bevi vino e poi inviti anche i Turchi a bere con te?”
“Perché tiri il cappello sulla fronte?”
“Perché metti la spada sulle cosce?” - furono le domande che il Sultano porse a Marko e lui gli rispose:
“Se bevo vino, è perché la mia religione me lo permette.”
“Se invito i Turchi, è perché io non posso bere e lasciare che gli altri guardino.”
“Se indosso un bell’abito, è perché sono un giovane eroe e mi sta bene.”
“Se reco con me la spada, è perché l’ho pagata con i miei soldi.”
“Se tiro il cappello sulla fronte, è perché sono furibondo.”
“Se tengo stretta la mia clava e mi metto la spada sulle cosce, è perché ho paura che potrebbe scoppiare una rissa e allora sono guai per chi mi si trova tra i piedi.”
Il Sultano lo ascoltò con molta attenzione e si guardò intorno circospetto, per vedere quante guardie fossero presenti. Si rese conto che nella tenda c’erano solo loro due e, intimorito, s’allontanò di qualche passo. Marko capì che il suo avversario s’era impaurito e s’avvicinò a lui con aria minacciosa. Quando il Turco comprese che aveva davanti a sé un individuo pericoloso, tirò fuori dalla tasca cento ducati e gli disse: “Prendi questi soldi e vai a bere il vino.”
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