Mi baci la mano? La bocca dovresti baciarmi, o donna, mio solo incommensurabile idolo!
Il tuo era un gesto d’amore ahimè smarrito. La mano non sa apprezzare il profumo di un bacio.
Le ho infilato dentro la bella verga grossa quanto il braccio di una vergine. Un fallo dalla punta rotonda, pronto all’assalto, che misura in lunghezza un palmo e mezzo, è stato come calarlo in un braciere!
Davanti a Dio, invano tu tenti di appagarmi con baci ed abbracci soltanto!
Per lenirmi il cruccio devo sentire un fallo che eiacula sperma nel mio utero.
Che sono mai carezze per una donna focosa o i ricchi indumenti e i bei gioielli se il sesso del maschio non s’unisce al mio ed io languo solinga per il mio membro virile.
Ecco la donna alzare la veste e mostrare la cosa ben sviluppata e paffuta che a una tazza capovolta rassomiglia.
Poggiandovi la mano mi sembra di toccare un bel formato seno, elastico, tosto e pieno; Quando immergo la mia lancia, essa vien morsa e succhiata, come lattugginosa mammella nella bocca di un avido bimbotto. E quando ho finito , se mi va di riprendere, la trovo colma di brace a mo’ di rossa fornace.
Io sono sdraiato sulla mia donna e già la succhiante mi riempie la mano che deve essere ben stesa a coprirla tutta. Nel suo sito là fra le cosce sporge come di palma un chiuso bocciolo. Certo è liscia la sua pelle com’è la guancia di adolescente imberbe.
Nell’angusto pertugio non è facile l’accesso . A chi entrare vuole sembra di sbattere contro una cotta di maglia e, al penetrare, un suono sibila simile al fischio di stoffa lacerata.
Il membro avendo riempito il tutto avverte vivido il benvenuto di un morso, come capezzolo di balia succhiata a viva forza dalle labbra a ventosa del bimbo.
Le sue labbra avvampano di fuoco ardente e quanto soave sento questa rovente fiamma, quanto per me delizia reca al core!
La vagine è intrisa d’intimo amor, racchiuso nei precordi del suo seno. Si comunica la vampa a chi penetra dentro, cocente quanto il foco dell’amore.
Strettamente mi calza, come una scarpa solata proprio per il mio piede. Più piccola è del nero circolo della mia pupilla.
Oh, tu desiderata da tutti, amore mio, possa io bearmi il gloria delle tue magie!
Oh, pupilla dei miei occhi! Sì, certo! L’amore che ti porto mi rese strambo agli occhi di quanti savio mi conoscono. Credevamo ch’io fossi preda d’un demone mi chiamavano Pippo il grullo, gran buffone.
Per Dio! Ben vedranno se fesso giullare sono perché chi può vantare un cazzo come il mio?
Ecco guardalo, scrutalo, misuralo! Qualunque donna lo assaggi se n’invaghisce, assaltata da furia e da cruente foco.
E’ un fatto. Anche distante, lo vedi alzarsi a mo’ di colonna. Quando si rizza, solleva il mio indumento e mi monta la vergogna da sotto fino al viso. Ora afferralo garbata, riponilo in tenda comodo tra le tue ben note montagne. Sonnecchiare non lo sentirai, ma conficcarsi in te duro come chiodo nel legno.
Inghiottilo ben, bene sotto per fornire d’un manico robusto il tuo bel secchio. Vieni, contemplalo e annota con cura quanto gagliarda e lunga è l’erezione!
Se è un buon medeluk che tu brami da usare tra le coscie, prendilo per mescolare lo tsedir nella tua bollente pentola.
Ti farà felice oh mia signora!
Fosse pur placcata d’oro e di gran pregio la tua pentola uscirà sazia e fumante. E’ questa la magia del caldo e umido sesso.
Così poetò la bellissima Better el bedour, luna piena delle lune piene donna che tutti, con in testa il negro Dorerarmi, volevano amare:
Nient’altro voglio che un giovanotto per l’amplesso col cuore colmo di coraggio. Mio solo anelito è il membro, turgido tanto da deflorar vergini, opulento di dimensione a misura debita, gonfio nel capo come un braciere.
Enorme, nelle galassie senza nulla di analogo possente, duro e con la punta arrotondata sempre pronto alla pugna lo vedi.
Il suo fuoco arde e giammai si spegne. Anche se padron dorme la sua virulenza è tale ch’esso al più sonnecchia.
Eccolo, l’amante ansimare per infilare tosto la mia vulva e sul mio ventre paffuto spargere le infoiate lacrime dell’eros. Non chiede aiuto né alleati perché impavido da solo regge i più grandi sforzi di cui nessuno conosce l’esito.
Ricolmo di energia, vitale m’infilza sodo e mi lavora con molto accanito e splendido. Prima avanti e indietro poi a destra e a manca; ora mi affonda dentro come un robusto torchio, ora friziona il prepuzio sull’orefizio mio.
Oltre alla schiena mi accarezza ventre e fianchi, sbaciucchia le mie guance mi succhia le labbra mi stringe forte, facendomi rotolare sul letto, e fra le sue braccia già io mi sento esanime.
Ogni parte di me riceve a turno i suoi morsi d’amore, ogni punto mi ricopre di baci ardenti. Quando mi vede eccitata, ratto mi salta addosso, apre le cosce, mi bacia il ventre e in mano la verga mi mette, per farla bussare forte e squassante alla mia umida voluttuosa porta.
Eccolo! È dentro la caverna e sento sopraggiungere rapida l’onda del piacere. Mi sbatte, mi eccita e corrispondono con passione, finché lui sbotta: “Ricevi il mio seme!” al che ribatto: “O luce dei miei occhi, anima mia, tu sia il ben venuto in me! Ma aspetta a ritrarti. Lascialo là com’è e questo dì sarà libero da ogni pena.”
Giurato aveva egli a Dio di possedermi per settanta interminabili notti. E ciò che voleva ha fatto, fra mille baci e abbracci, giù fino alla settantesima alba.