In memoria ad Antonio Gelsomino
Saturday, December 21, 2024

Ayodhya Kanda(libro di ayodhya) - mitologia india

ramayanaconfratelloRamayana- Ayodhya Kanda(libro di Ayodhya)

Il libro piu' bello da sempre. Uno dei piu' grandi poemi epici della mitologia induista. Narra le avventure di Rama e la storia d'amore tra Sita e Rama.

Ma, una cameriera della seconda moglie di Re  Dashratha, una parente, brusca, scortese si precipitò dalla sua padrona,  la  padrona, la regina Kekeiya, che era ancora a letto. – Pazza – esclamò con rabbia la cameriera Mantara. – Tu dormi e non sai cosa sta succedendo. - Cosa sta succedendo? – rispose la regina
-  Sei solo una pazza: hai il viso tutto rosso e gli occhi che sembrano due carboni.
- Ma che cosa hai fatto – continuò cameriera -  Sei rovinata,  tuo figlio è rovinato, e tutte le tue generazioni, tutta la famiglia, tutte le tribù sono rovinate. Povertà, povertà, povertà! – Ma di quale povertà stai parlando? – Come? Di quale povertà? Oh, sei proprio miserabile! Oh, sei una donna cieca! Tutti lo sanno!  Alzati, tutta la città è in piedi, ballano, cantano e suonano su tutti gli strumenti, tu ... invece dormi e fai  sogni tranquilli.

- Beh, sai cosa è successo alla fine... - Ora il re Dashratha ha dichiarato come erede al trono Rama.

- Che cosa? Sono molto felice e lo amo come un figlio. Ora mi alzo, mi vesto e vado a fargli auguri. A fargli auguri? Sai cosa significa per te questo? Se Rama diventa Re i suoi figli diventeranno re, ed i figli dei figli, e cosi di generazione in generazione. Cosa sarà di tuo figlio? Di te? Di tuoi nipoti e tuoi parenti? Tu farai la serva a corte. Sarai una donna infelice! Pensi che il re ti ama. Sì certo, l’amore è bello! Spera nella bellezza. Beh, lui ama la madre di Rama, la ama più di te. Vedrai cosa farà di te, ti insulterà, ti umilierà, finirai a fare la serva, si prenderà tutto, sarai impoverita, ti consentirà di navigare nel regno del nobile e glorioso Rama, ma con la luce spenta! .. La regina si alzò, impallidì, tremò e esclamò:

- Questa è una cosa terribile, terribile! Cosa posso fare?

- Devi vestirti in fretta col vestito più costoso, mettere gli ornamenti più preziosi, andare dal re, e fare ciò che è risaputo, perché Rama ora sta arrivando in un magnifico carro, con tutti i consiglieri più importanti, i bramini, in una solenne processione, proprio come un vero re. La regina corse da Re Dashratha con il fascino proprio della bellezza e del lusso. Re Dashratha con un'espressione piena di simpatia e di affetto le venne incontro. Ma la regina Kekeiya si mise a piangere, si stracciò le vesti e si precipitò a terra, urlando come una matta. Re Dashratha allora fu preso da un estremo dolore ed una grande confusione, avrebbe fatto ciò che voleva lei.

– Io morirò, mi ammazzerò se non soddisferai il mio desiderio. – Kekeiya con insistenza.

- Calmati, farò qualsiasi cosa per te: - mia cara, tu sei la mia felicità,  la mia vita,  il mio cielo sulla terra. Ma Kekeiya, non si alzò in piedi, rimase sdraiata a terra singhiozzando sempre di più, e disse con una voce roca, come la morte: - Tu sei un re saggio, tu sei un re onesto, le tue labbra hanno pronunciato solo parole di  sincera verità, tu non hai mai accompagnato qualcuno con la menzogna e il tradimento; è arrivata l’ora di metterti alla prova. – Mettimi alla prova – le rispose Dashratha con decisione.

- Ti ricordi quando ti eri fatto male, ho lavato la tua ferita, l’ho bendata,  non mi ero mai allontanata da te anche solo per un attimo, ti ho confortato, mi hai promesso che avresti soddisfatto i miei due desideri ...

– Certo soddisferò ogni desiderio della mia affascinante donna, volendo, se tu vuoi avrei strappato il mio cuore dal petto per darlo a te. Guardami dolcemente, mia Kekeiya. Tu sai che amo solo Rama più di te. Giuro di soddisfare tutto ciò che vuoi, se posso ... Kekeiya si alzò e con un viso  sfavillante, solenne e con la voce frenetica disse, - voi, tutte le divinità celesti, il sole e la luna, i pianeti, l'aria, il giorno e la notte, lo spazio, il cielo, i raggi di luce, i raggi delle tenebre, gli spiriti guardiani che vivono al di fuori delle nostre case, tutti gli esseri viventi, tutte le creature di qualsiasi genere che sono testimoni di questo giuramento, pronunciato dal vero re!

- Che vuoi, mia cara, mia bella Kekeiya?

- Voglio che soddisfi i miei due soli desideri: voglio che mio figlio Bgarata sia incoronato, come erede al posto di Rama e che adesso mio figlio si presenti alla cerimonia quando è tutto pronto, mentre Rama se ne deve andare a vivere nella foresta da cinque a nove anni.

Il vecchio Dashratha divenne gelido, i capelli gli si rizzarono, ebbe le vertigini, e cadde a terra incosciente. Quando si svegliò, si riprese con i pensieri e lo spirito, con profonda infelicità pregò la sua brava e meravigliosa Kekeiya, cadde in ginocchio, le abbracciò le gambe, singhiozzando, con voce soffocata, come un bambino o come uno schiavo, le chiese:

- Abbi pietà di me, regina, abbi pietà! Ma la regina non ebbe pietà. Nel frattempo, Rama si recò da suo padre nella gioiosa anticipazione delle nozze al trono. La gente per strada, dalle finestre, e dai tetti delle case si complimentava e salutava, la felicità di sua moglie e di madre. E mentre si avviava verso le stanze del padre Rama pensava con piacere, alla gioiosa accoglienza di Dashratha. Vedendo Rama, il Re prostrato da tanta tristezza, e da una profonda confusione nel cuore, senza alzare gli occhi, esclamò: - Rama!  E scoppiò in lacrime. Rama, sconcertato e triste, chiese ansiosamente:

- Ho fatto qualcosa di male? Sono stato io a sconvolgere così mio padre? Ho forse insultato involontariamente,  la Regina? Dopo tutto, lei, come moglie di mio padre, è anche - mia madre. Mi dica cosa ho sbagliato, mi dica, che male ho fatto? Mi dica tutto. Kekeiya, una donna dell’ animo di serpente, gli spiegò molto chiaramente:

– Tuo padre ha mantenuto il giuramento fatto a me, come uomo di verità, Bgarata diventerà Re, e tu andrai per quattordici anni nella foresta a vivere la vita di eremita. Rama si rifugiò nella forza della sua anima, non si indebolì ma riuscì a sopportare la gravità di quelle parole e con sorriso disse:

- Sì, il re non deve disonorare la sua parola,  non voglio che lo faccia per me, andrò nel bosco e vivrò la vita di un eremita. Rama disse questo alla madre. Lei barcollò e cadde, come una banana, con tutte le sue foglie.

- Se è così, dirò anche io qualcosa a Dashratha, lui ha fatto una promessa nella follia d'amore. Non lo ascoltare, rimani qui.

- No, mia cara madre, se dovessi rimanere qui sarei considerato un trasgressore del giuramento di mio padre, e poi tutte le creature del mondo lo disprezzerebbero. Perciò non lo devi influenzare nella esecuzione dei suoi ordini e non devi lasciare il povero vecchio, dopo tutto, lo sai: siete marito e moglie e Dio.

La moglie divina di Dashratha non ci credeva, ma dovette arrendersi.  Era la volontà ed il parere di suo figlio. Sita era profondamente scioccata e rattristata dalla notizia che Rama le aveva appena detto, ma a malincuore disse:

- Io sono con te e senza di te vedo  il deserto, con te ovunque vedo paradiso. Per una donna virtuosa, né padre, né madre, né fratelli, né figli, nemmeno il suo cuore può essere un consigliere e maestro. La voce di suo marito per lei era la legge suprema. E aggiunse: Io sono con te, non mandarmi via, non mi privare della felicità, tu sei la mia vita, il mio signore, il mio dio. Nei tuoi occhi, ai  tuoi piedi sarò più felice di questi magnifici castelli, in questo magnifico palazzo reale, anche - sul carro degli dei. Portami con te, sarò con te, ed ho anche voglia di vivere nei boschi: c'è silenzio, una tonalità piacevoli, un profumo fresco, tanti colori diversi, questo profumo è la mia vita, il mio piacere, non si nota e vive migliaia di anni. Rama che aveva capito cosa voleva dire ascoltando la voce dell'anima, pronta per qualsiasi sacrificio,  rispose:

- Amico mio! Io so cosa significa vivere nelle nostre foreste. Si aggirano le tigri, pronte a divorare l'uomo, e ti possono attaccare in ogni momento. La vita nei boschi, amico mio, è una cosa terribile! Vagano ovunque elefanti feroci, in momenti di rabbia e in ogni altro momento sono pronti a calpestare una persona. La vita nei boschi, amico mio, è una cosa terribile! C'è - un caldo micidiale ed un freddo mortale, e fame e sete che tutti devono sopportare. La vita nel bosco è una cosa terribile! C'è un folto impenetrabile pullulare di serpenti, scorpioni e ogni sorta di rettili velenosi. Dovremmo attraversare il fiume profondo e fangoso in cui vivono in branchi enormi coccodrilli - è una cosa terribile! Si dorme nudi, sul terreno bagnato, ci sono solo radici e le piante selvatiche che sono amare, e spesso non si trovano, ci si veste con pelli di animali o di corteccia, si porta una lunga barba aggrovigliata, i capelli spettinati e lunghi si dovranno legare con una brutta fascia,  il corpo sarà sempre esposto alla sporcizia ed al fango macchiato, esausto, secco ... fino a diventare uno scheletro, mi vuoi guardare in quello stato, ora che sono un fiore, bello, dolce, gentile! Vivere nel bosco con un amico è una cosa terribile! Lasciami in pace, non camminare dietro di me, io ti voglio bene lo stesso, io sono solo un corpo separato da te, e tu abiterai nella mia mente, nel mio cuore. Lasciami in pace!

- No, preferisco morire, piuttosto che vivere qui, - disse Sita e dalla disperazione si mise a piangere, addolorata, e  gocce di lacrime  bruciavano il suo bel viso.

- Se è così allora - rispose Rama - vieni con me, nobile e meravigliosa, donna. Rama provò a convincere Laxman a rimanere a casa, ma lui  afferrò le gambe di Laxman e Sita, si gettò sui loro piedi e, piangendo, pregò di non lasciarlo.

- Maestro, amico mio virtuoso, mio signore! Non voglio separarmi da te, io camminerò quando camminerai tu, mi fermerò quando ti fermerai tu. Prendimi, portami con te. Rama incantato dalle parole del suo amico, lo guardò, sorrise e disse:

- Bene, andiamo, soffriremo insieme. Dopo di che, tutti e tre che avevano suddiviso abiti sontuosi, gioielli,  vasi di oro e argento e altre cose usate dai bramini virtuosi e da altre persone, andarono a dire addio al Re. Il Re era circondato dai suoi consiglieri, cortigiani, mogli e tutte le donne del palazzo, aspettava loro in uno stato di profonda agonia, vergogna, rabbia verso se stesso, in  tumulto terribile di angoscia, nella mente e nel cuore. Senza dire una parola, con gli occhi bassi, stava davanti a  Rama, Sita e Laxman.

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Ora erano tre miserabili.

Si erano tolti gli abiti sfarzosi e i gioielli, travestendosi da poveri: la vergogna, la tristezza e la confusione.
Sita non riusciva nemmeno ad aggiustarsi il vestito da mendicante; provava e riprovava. Alla fine, chiese aiuto al marito dicendo: nobile marito e amico mio, aiutami, perché da sola non ci riesco.
Rama acconsentì d’aiutarla.
Le donne piangevano e alzavano la voce, il loro cuore si spezzava: Oh! Vergogna, vergogna, vergogna! Gridavano.
Re Dashratha barcollò e cadde perdendo i sensi.
Rama nel frattempo prese la vanga, il cestino, le due faretre con le frecce e una brocca di terracotta, pose tutto su un carro e si avviò fuori città in esilio.
Il povero vecchio Dashratha quando si svegliò, con la voce disperata gridò: Rama, Rama! Mio caro figlio, torna, torna o portami con te! Ma, Rama non sentì la voce del suo cuore; così non era tornato e non aveva preso suo padre con lui.
I tre esuli partirono.

La città era allo sbando, la folla di gente era per le strade, sulle finestre, sui tetti, sui rami degli alberi. Si udivano gemiti, urli di bestemmia, anatemi amari, velenosi insulti, gridi d'amore da parte del popolo, sconvolto, indignato e stupito dall’ ingiustizia del Re.
Corri, presto disse Rama al cocchiere.
Silenzio, silenzio! Gridava il popolo, fateci ancora una volta vedere Rama, anche per un solo minuto.
Fermo, fermo, il Re gridò al cocchiere.
Rama si guardò intorno, e vide la madre e il padre che correvano dietro di lui.
Il cocchiere non sapeva cosa fare, e intanto aveva fermato i cavalli.
Lasciami andare, gridò Rama, perché continuare con questo tormento?
Quando tornerai, dirai al Re che non hai sentito le sue parole.
Subito, subito, andiamo! Hanno gareggiato.
Il Re tentava di fermarlo, affinché lo spazio che li separava non diventasse incolmabile, ma lui si allontanava sempre di più.
Solo opaco, il buio precipitava in lontananza, gli esuli erano scomparsi dagli occhi del padre e della madre.
Il re di nuovo era caduto in delirio, come senza anima, con il corpo senza vita, la sua anima, la sua vita, Rama, non era più con lui.
Quando si riprese, tranquillamente era tornato al suo magnifico palazzo, ora si sentiva un povero, vergognoso, ucciso dal dolore.
Rama, Sita e Laxman seguivano la strada verso il bosco, attraversavano alcuni fiumi, e al calar della notte sostavano sotto l’albero verde, dove la terra offriva un letto fatto di tanti fiori e morbide piante.
Rama e Laxman prepararono un letto a Sita, il meglio che si poteva, in modo che in un primo momento non sembrava troppo difficile, a lei, la figlia del Re, la moglie del figlio del Re, una donna dolce, abituata ai beni di lusso sin dall'infanzia.
Si addormentarono lei e Rama, mentre Laxman non riuscì a dormire, a causa del suo dolore.
Rama era seguito da una grande folla di persone, che non volevano separarsi da lui. Dopo la mezzanotte, tutti dormivano, Rama si svegliò e disse al cocchiere: devo andare in esilio e vivere da eremita, fate in modo che queste buone persone ritornano a casa e continuano a servire mio padre e mio fratello Bgarata, a loro devono quest’onore. Tu ora appronta, in modo rapido e silenzioso, i cavalli, fai un pezzo di percorso verso casa, fa lasciare delle tracce delle ruote, per far sembrare che siamo tornati in città.
Dopo aver fatto le tracce, ritornarono indietro.
Sumatra, il signore dei cavalli eseguì l’ordine di Rama.
La gente tornò in città, mentre gli esuli andarono avanti, inoltrandosi, sempre di più, nelle oscure profondità delle foreste.
Arrivano al Ganga (Gange), intorno al fiume, tanti alberi di frutta, l'aria piena di profumi, gli usignoli che cantavano, le mandrie di gazzelle che, tranquillamente, pascolano, e in lontananza si vede del fumo che sembra una bandiera sventolante.
La legna che brucia invia i propri segnali: il messaggio del fuoco dal Sacro Eremo. L'aria è calma, sembra che tutti ascoltano la loro preghiera, pura come il cielo, la loro cantica calda, è come stare vicino al fuoco intorno all’altare, o come la fiamma proveniente dal loro cuore.
Rama esclamò: un posto meraviglioso! Questo sarebbe un posto dove vivere.
E il padre e la madre potrebbero camminare fin qui. No, andiamo più lontano, più lontano, non devono trovare le nostre tracce e sentire le nostre voci; noi siamo esuli, quale volontà del nostro padre, dobbiamo vivere in solitudine, una vita di dolore e di sofferenza.
Rama vide sulla riva una barca vecchia e fragile, saltò su per primo e sedette, Laxman afferrò per mano Sita e si sedettero anche loro.
Sumatra, il saggio sovrano dei cavalli, rimase sulla riva a osservarli e attendere il loro arrivo da altra parte del fiume.
Poi, Sumatra, rispettosamente unì le mani, come esige la tradizione, e s’inchinò in segno di saluto. Riprese la strada di ritorno e iniziò a sentire sensi di colpa, si mise a piangere insieme ai cavalli, mentre dagli alberi cadevano le foglie secche, e i fiori si appassivano; l'acqua del fiume scorreva in silenzio senza alcun rumore, gli animali stavano immobili, gli uccelli tacevano, l'intera regione era intorpidita sotto il peso del cupo dolore..

 

rama

Quando tornò Sumatra, attraversò la città, trovò le strade vuote, in tanti lo rimproveravano su come aveva potuto tornare e lasciare Rama.

Il Re, vedendolo, scoppiò in lacrime, cominciò a chiedergli: "Dov’è andato Rama? Sita cosa ha detto? Laxman cosa ha detto? Dove si sono fermati? Che cosa mangiavano? Dove hanno dormito? Di cosa parlavano?
A ogni parola di risposta di Sumatra gli spezzava il cuore.
L’assenza di Rama rese noiosa la città e la corte.
Fu silenziosa come un deserto.

Il Re addolorato, non riuscì a chiudere occhio neanche un minuto.
Una notte, durante l'insonnia, la mente del Re ritornò nel passato e si ricordò di tutte le azioni della sua vita. Chiamò la moglie, la madre di Rama, e disse: Sai, ho trovato la ragione della disgrazia che mi ha colpito, che ha reso la mia mente smarrita ed ho obbedito per istigazione la madre di Bgarata.
Il male, nobile donna, alla fine porta i suoi frutti. Questo è inevitabile. Questo è quello che ho fatto quando ero giovane e stupido, molto orgoglioso della mia forza, avevo colpito con una freccia un bersaglio, per uccidere la bestia, ma non vedevo, udivo soltanto.

La caccia era il mio più grande piacere. Un giorno, durante la pioggia, era stato piacevole per me: le nuvole affascinanti coprivano il cielo, la terra bruciata dal sole, con entusiasmo beveva l'acqua fredda, il fiume inondava i prati e le valli, le verdure fresche scintillavano dalla bellezza e la gioia, gru, cigni, pavoni e cucù d'oro cantavano, precipitandosi da un posto all'altro. Presi due faretre sulle spalle, l'arco e andai a un fiume, nel luogo in cui di solito vengono a bere i bufali selvatici, elefanti e altri abitanti del bosco. La notte era buia e oscura, si poteva soltanto ascoltare. Mi ero immobilizzato. Potevo udire, l'acqua rumoreggiava come se balbettasse lambendo i tronchi degli alberi. Preparai l’arco e scagliai una freccia, e lei, come il fuoco, s’infilò nel buio nella boscaglia di arbusti, e nello stesso momento si sentì un grido acuto e il rumore di schizzi d'acqua. Gettai l'arco e mi precipitai lì. Vidi qualcuno in acqua insanguinato con una freccia nel petto, avevo colpito un giovane.

Terrorizzato, lo trascinai a riva e cominciai a rimuovere delicatamente la freccia dal suo petto. Il miserabile era in uno stato pietoso. Il giovane gemendo, amaramente mi rimproverò: Uomo crudele, guerriero cattivo! Che cosa ho fatto? Perché mi hai ucciso? Tu non hai ucciso solo uno ma hai ucciso tre persone, hai ucciso anche mio padre e mia madre che sono molto vecchi, completamente ciechi. Io sono stato per loro, gli occhi, i piedi e le mani. Abbiamo vissuto felicemente in pace e santità della solitudine assoluta; portavo acqua, frutta, radici e li prendevo per mano, accompagnandoli sotto il sole e l'ombra; li coricavo sul letto di muschio, leggevo loro i libri sacri, descrivevo i fiori in fioritura, la maturazione dei frutti, le loro anime vivevano in me e attraverso di me godevano la vita. Ora mi aspettano con serenità, con amore, attingendo con i loro occhi ciechi. Presto, presto, tira fuori la freccia dal mio corpo, mi brucia come un veleno di serpente. Vai dai miei ciechi sfortunati, dì a loro che non mi hai ucciso volutamente, ma lui ti maledirà e tu sai una maledizione pronunciata da eremita, porta il dolore sconfinato. Oh! Com’è dolorosa la mia ferita.

In una frenesia di compassione, tirai fuori la freccia. Il sangue sgorgava dalla ferita, povero ragazzo tremò tutto, gemette, sospirò e tacque per sempre. Esausto dal dolore, con il cuore pesante, appena in grado di stare in piedi, riempii con un poco d'acqua una brocca e mi avviai dagli anziani ciechi per raccontare l’accaduto. L’eremita sentì rumore dei rami e dei miei passi e gentilmente chiese:
Caro figlio! Dove sei stato? Ti annoi con noi, poveri ciechi. Ti abbiamo addolorato? Se è così, ci perdoni caro bambino! Basta che non ci lasci soli per così tanto tempo: siamo tristi senza di te, perché tu sei la nostra gioia, tutta la nostra vita. Vieni, ti abbraccio, fammi sentire il calore del tuo respiro, il calore del tuo petto!

Così il povero vecchio mormorò, e ogni parola, come una freccia di fuoco, spezzava il mio cuore. Smisi di respirare, non riuscii a pronunciare una sola parola. "Perché non dici niente, non ti avvicini, figlio mio?
Singhiozzando e con voce strozzata, raccontai del mio involontario delitto.
La madre e il padre, sentendo che il loro figlio era morto ucciso, stettero alcuni minuti come impietriti, senza parole, senza lacrime, senza movimenti.
Infine il vecchio scoppiò amareggiato: Uomo malvagio! Che cosa hai fatto! Che cosa hai fatto! Hai commesso il reato senza intenzione, ma era compiuto con la tua mano. Se non ti fossi pentito di questo, avrei maledetto te e tutta la tua razza, e le sette generazioni dei vostri antenati e per tutta la tua discendenza sarebbe stato chiuso l'ingresso al cielo, tutti vostri rapporti con il cielo sarebbero morti in quel momento: a te Santo che hai sparso sangue innocente, un eremita puro senza alcun intento, ti perdona. Guidaci rapidamente dal nostro caro bambino!

Presi per mano la sfortunata coppia di non vedenti, li condussi sul luogo del delitto, dove si trovava il cadavere del loro figlio.
Esausti, caddero su di lui, sentendo il suo viso, le mani, il petto; piansero amaramente, chiamandolo per nome, pregandolo di ritornare in vita, per sentire almeno per ultima volta una sua parola; si ricordarono come gli portava l'acqua, le radici, li coccolava con dolce scrittura (Veda), e si lamentavano per la loro impotenza, per non poterlo far ritornare in vita. Nel dolore, con lacrime e preghiere eseguirono l’antico rito della purificazione.

Improvvisamente il corpo del giovane si trasformò in un luminoso essere celeste che apparse su un magnifico carro e voltandosi verso i suoi genitori disse:
Quale ricompensa per la mia attenzione su di voi, anime sante, mi è stata assegnata l'esistenza più alta e tra poco anche voi sarete nella stessa abitazione. Non piangete per me. Questo Re non ha colpa. Era destino che doveva colpirmi una sua freccia.
Dopo aver pronunciato queste parole, scomparse nello spazio.

Il vecchio si voltò verso di me e disse: mio figlio dice che non sei colpevole, ed io non ti maledico, ma ascolta, questo è ciò che è inevitabile: come sto per morire dal dolore di aver perso il figlio, cosi morirai anche tu e negli ultimi minuti della tua vita lo chiamerai per nome ma lui non sentirà la tua voce.
Dopo aver detto queste parole, il re Dashratha sussurrò più volte: Rama! Rama!  E tacque.
Bene si è addormentato, pensò la regina, lascia che dormi lenirà il dolore.
Il giorno dopo scoprirono che si trattava di un sogno di morte.

Fratello di Rama, Bgarata, era stato invitato al trono, ma non sapendo cosa avesse combinato sua madre, iniziò con i rimproveri più crudeli, sentì un terribile tremore, come fossero uscite fuori le fiamme della sua lingua e avessero abbracciato il corpo del padre trasformandolo in cenere, barcollò e cadde, sentendo il peso del dolore, gli uomini di fiducia lo sollevarono.

Quando si svegliò, disse: l'attuale erede al trono è Rama. Questa è la nostra legge. Non la rompete. Riunite l'esercito, andrò a cercare il mio caro fratello.
Quando tutto fu pronto, Bgarata si sedette su un bellissimo carro trainato da cavalli bianchi. Davanti a lui andarono i carri con i ministri, come il carro del sole, dietro di lui centomila elefanti, carri con 60.000 frecce e 100.000 guerrieri.
Tutte queste truppe si erano riunite presso il fiume Gange, al confine del regno Nishadsky.
Re Nishadsky si spaventò: "E 'vero Bgarata vuole conquistare il nostro regno, o per trovare e uccidere Rama e sedersi sul suo trono, pensò Re Nishadsky.

Oh! La corona del Re è così seducente, in grado di rompere l’amore fraterno e infrangere il rapporto molto forte cordiale. Non voglio cedere al nemico senza combattere; combatterò fino alla mia ultima goccia di sangue e solo allora cadrò morto a terra.
Dopo aver appreso che Bgarata aveva buone intenzioni, Re Nishadsky lo invitò nel suo palazzo.
Il palazzo, disse Bgarata, appartiene a voi, io sono vostro servo. Poi iniziò a offrirgli le sue radici, frutta, carne affumicata, carne fresca e molti altri alimenti.
Il giorno dopo, con un gran numero di truppe, e servi accompagnò Bgarata e tutto il suo esercito con un traghetto dall'altra parte del fiume.
Bgarata andò con il suo esercito nella foresta.
Dopo aver vagabondato nella foresta senza bere e mangiare, trovarono un riparo presso il santuario di un grande e potente eremita, che quando vide Bgarata gridò ai suoi discepoli: veloci, portate il carrello dell’ospitalità! Portarono un cesto preparato come un trionfo, piena di radici, fiori e frutti.
L'eremita lo porse a Bgarata rispettosamente, insieme all'acqua per lavarsi, bere, e per rinfrescare le vivande. Poi, con la massima cortesia, disse: un principe nobile! Perché sei venuto da solo? Porta l'intero esercito, voglio trattare bene tutti i tuoi uomini, mi piace pensare che ricordino con piacere il mio ricevimento! L'esercito arrivò.
Eremita chiamò il creatore celeste, il creatore apparse in un attimo.

Organizza in pochi minuti una festa, disse l'eremita: una festa per il principe e per le truppe e lascia che scorrano qui tutti i fiumi a Est e a Ovest, in modo che in alcuni scorre l’acqua pura, fresca e piacevole, mentre in altri, invece dell’acqua fai scorrere, spiriti e vino dolce; Illumina il bosco, il più luminoso che si può, che brilli e fai che dai rami degli alberi cadono frutti maturi e gustosi, e dai loro tronchi fai fluire il miele; sul tavolo fai trovare i fiori più belli appena raccolti e tanti piatti di carne e dolci senza limiti, poiché inviterò tutti gli dèi a questa festa.
Eremita si girò verso Est, piegò le braccia con riverenza, il suo pensiero penetrò nel cielo, gli dei arrivarono, ciascuno secondo la sua famiglia, diffondendo il profumo del cielo e il profumo delle montagne della terra, il cielo fu coperto di nuvole e dalle nuvole precipitarono i fiori. Il loro arrivo si sentiva ovunque - nei boschi, nell'aria, in cielo echeggiavano suoni meravigliosi.

Si apriva un vasto spazio in tutte le direzioni, la terra era diventata piatta come una foglia, si potevano ammirare prati verdi, aiuole, giardini, fresco e fragrante patibolo, maestosi palazzi di architettura magnifica, decorati all'interno con tutto il lusso e la magia, tappeti costosi sui pavimenti, mobili d'oro, le navi preziose con un palanchino, le piume rare che brillavano come pietre preziose, un letto morbido, le fontane e tutto ciò che accarezza, coccola e porta nella purezza dolce dei sentimenti umani.
Poi, le parole di un eremita, portarono le donne celesti, un numero senza fine. Trattavano con gentilezza il principe e suoi guerrieri, ballavano e cantavano con una grazia inimitabile, invisibili e inconoscibili.

Il divertimento non si limitava solo alla gente, ma si divertivano anche tutti gli animali: elefanti, cammelli, asini, buoi, pecore e capre, e tutti bevevano e mangiavano a sazietà.
Gli uccelli con piume variopinte e sfolgoranti come i diamanti, svolazzavano, cantavano, cinguettavano.
C’era una tale gioia di magia in ogni creatura vivente della notte.
Al mattino gli dei e le dee salutarono eremita e corsero via verso il cielo istantaneamente.
Anche Bgarata salutò e andò nella foresta, con le sue truppe, a cercare il rifugio di Rama

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Rama, Sita e Laxman erano a cena: mangiavano le radici, i frutti, il miele e la carne nera di gazzelle, che Laxman aveva procurato con la caccia.

Vicino a loro era acceso il fuoco sacro.
Parlavano allegramente e godevano della ricca, inesauribile e affascinante natura che li circondava: della vista delle maestose montagne, degli spruzzi dei fiumi, delle grotte, del tramonto, del rumore e clamore dei cigni, dei profumi emanati dai fiori, del fascino dei torrenti, del sussurro dolce degli alberi mossi dalla brezza, della bellezza dei frutti.
All’improvviso, sentirono il cammino pesante degli elefanti, il nitrito dei cavalli, il rumore dei carri, e udirono molte voci.

Cos’è questo, Laxman? Domandò Rama. Laxman si diresse l’alto, coperto dai fiori dell’albero, si arrampicò su di esso, guardò intorno e gridò:

Sì, è un intero esercito armato, indossiamo l'armatura, nascondiamo la forte Sita in una grotta, e combattiamo; o no, nasconditi anche tu Rama, vai con Sita, ed io rimarrò solo, è Bgarata, vuole ovviamente distruggerci, sedersi sul tuo trono, su cui sua madre aveva coltivato la cattiveria, ma io lo sistemerò.
Laxman, amico mio! Come puoi pensare così male di Bgarata? Quando ti ha fatto qualcosa di male? Quando mai lui ti ha detto anche una sola parola scortese? Ed è possibile versare sangue fraterno? Saresti pronto a uccidere tuo fratello con ostilità? Oh, Laxman, Laxman! Sono sicuro che Bgarata è venuto solo a trovarci.

Laxman fu confuso, arrossì, abbassò gli occhi e disse esitante: - Forse ... forse ... in effetti ... Egli è venuto solo a trovarci.
A questo punto, si calmò il rumore dei carri, dei cavalli, degli elefanti e della gente, Laxman ordinò all'esercito di fermarsi.
Bgarata sollecitamente andò verso loro.

Vedendo Rama, Sita e Laxman, Bgarata respirando con affanno, corse verso il fratello, e scoppiato in lacrime, cadde ai suoi piedi, dicendo solo: "Sono addolorato". Non fu in grado di pronunciare nient’altro.
Rama lo abbracciò, sedettero sulle ginocchia, si baciarono, si coccolavano come fanno due dello stesso sangue.
Rama chiese notizie di suo padre, della madre, di tutti i parenti, degli uomini del padre, del comandante militare, del cibo dell'esercito, del rispetto per l'ortodossia, dei bramini (veri scienziati d’onore, ognuno vale più di mille ignoranti, e sono con la loro esperienza, l'avvocato di un popolo onesto), del reddito dei sudditi, della forza dei capisaldi, e se avevano armi e scorte di cereali a sufficienza, in caso di guerra.
Bgarata rispose alle sue domande con lo stesso amore con il quale il fratello le aveva poste.

Udì parlare della morte del padre, ucciso dalla tristezza per lui, Rama rimase in silenzio, smarrito nella propria anima.
Bgarata lo pregò di tornare nel loro paese e insediarsi sul trono.
No, mio caro amico! Non infrangere la volontà sacra, ognuno di noi ha il proprio posto nel cielo: il trono per te, il deserto per me.
Regina, moglie di Bgarata, tentò di convincere Sita affinché persuadesse suo marito a tornare, sostenendo che la sua bellezza si stava appassendo, e continuando a vivere in quel modo, il fiore che lei rappresentava sarebbe svanito in pochi anni, e tutti la avrebbero desiderata; con rimpianto e dolore, Sita pianse, ma rimase irremovibile, e continuò a seguire il marito, fermamente persuasa, come una montagna.
Poi, Rama, dopo aver accompagnato la Regina e Bgarata, andò a nascondersi e si mise a piangere.
Più tardi, un eremita gli portò i sandali, perfettamente intrecciati, realizzati con erba, e disse: - Nobile Rama! Calza ora questi sandali, poi li togli e li ruoti verso Est prima di donarli a Bgarata, quale simbolo del potere reale.
Rama obbedì.

Bgarata, scoppiò in lacrime, cadde ai piedi di Rama, mise i sandali sulla testa e con una voce toccante e dolce disse: fratello mio! Questi sandali saranno la corona, il potere reale e il regno, fino a quando non decidi di tornare tra quattordici anni!
Questi sandali, che volontariamente mi ha donato Rama, disse Bgarata ai suoi uomini e consiglieri, mi legittimano a governare, e sono perfettamente in grado di gestire saggiamente il regno e tutto l'esercito.
Tutti erano esultanti.

Bgarata, tornò nella città, alla presenza di tutti gli uomini nobili, del popolo e delle truppe, con un rito nobile di successione, ordinò di porre sui sacri sandali, le insegne del regno della dignità imperiale: due palette, una per la protezione solare, e l’altra per le zanzare, e iniziò a governare il paese, in nome dei sandali.
Laxman disse Rama: in questo posto, benché sicuro, non possiamo più rimanere, perché qui tutto mi ricorda del triste incontro con la nostra famiglia; ora, intorno a me, in questo vasto spazio vedo tutto rovinato, calpestato, le ombre delle persone sfigurate, dei cavalli, degli elefanti e degli altri animali. Andiamo!
Sita consegnò loro i propri archi, faretre, frecce, lance, e partirono...

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Libro 1 - Bala Kanda(libro dell'infanzia)

Libro 3 - Kiskindha Kanda(libro della caverna della Kiskindha)

Libro 4 -  Aranya Kanda (libro della selva)

Libro 5 - Sundara Kanda (libro bello)

Libro 6 - Yuddha Kanda (libro della battaglia)

 

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