Adrogatio
Come già accennato prima, l’acquisto della patria potestas può avvenire anche attraverso atti giuridici posti in essere ad hoc per mezzo dei quali si entra a far parte iure della famiglia: l’adrogatio e l’adoptio.
Entrambi rappresentano il divenire dello stesso fenomeno, ossia l’entrare a far parte in una familia di uno o più membri, che godono degli stessi diritti appartenenti anche agli altri componenti originari del gruppo famigliare. La differenza riguarda invece le due famiglie dalle quali provengono i nuovi membri, infatti nell’adrogatio la familia di provenienza si estingue, mentre nell’adoptio la familia di provenienza diminuisce di un caput(1): si concretizzava con l’uscita, da un gruppo famigliare, di una persona alieni iuris, per entrare a far parte di un’altra famiglia e sottoponendosi alla potestas di un altro pater.
L’adrogatio era un istituto giuridico più antico dell’adoptio, infatti la più autorevole dottrina è concorde nel ritenere che fosse già stato istituito prima della Lex XII tabularum con lo scopo, anche se non unico, di assicurarsi il proseguimento della familia, scongiurandone in tal modo l’estinzione(2). Nei tempi più antichi, come si è visto, l’adrogatio era utilizzata con lo scopo della difesa e dell’accrescimento dell’economia della famiglia.
Gaio(3) affermava: “Populi auctoritate adoptamus eos, qui sui iuris sunt: quae species adoptionis dicitur adrogatio, quia et is, qui adoptat, rogatur, id est interrogatur, an velit eum, quem adoptarus sit, iustum sibi filium esse; et is qui adoptatur , rogatur, ani d fieri patiatur, et populus rogatur , an id fieri iubeat”.
Nel diritto romano, pertanto, l'adrogatio era un istituto proprio del diritto di famiglia per mezzo del quale una persona poteva assumere sotto la propria potestas un cittadino libero sui iuris(4) e consenziente che diventava, in virtù dell’arrogazione, filius familias: la fattispecie si concretizzava con la sottoposizione di un pater familias alla potestà di un altro pater familias, con la conseguenza che chi era stato arrogato diventava alieni iuris, condizione che si rifletteva in toto anche sulla familia naturale dell’arrogato, poiché tutte le persone a lui originariamente sottoposte, pur mantenendo lo status originario, passavano sotto la potestas del nuovo pater familias, in potestate dell’adottante; si estingueva il gruppo familiare ed il patrimonio dell’arrogatus, perché assorbiti dalla famiglia dell’arrogante(5). Sia l’arrogato che i membri della sua famiglia originaria subivano la capitis deminutio minima, un “atto grave perché importa assorbimento di una famiglia in una altra ….. riduce in stato di alieni iuris un pater familias, tocca l’interesse pubblico e quindi fin dai tempi più antichi è circondata di cautele e restrizioni”(6).
Per mezzo di questo istituto non mutava solo lo status familiae dei membri della famiglia dell’adrogato, ma anche il culto domestico: motivo che caratterizzò la prima fase dell’adrogatio, che vedeva impegnati i pontefici, sotto la guida del pontifex maximus, nell’esame delle circostanze e della volontà di porre in essere quest’atto giuridico, ne valutavano l’opportunità e la conformità con lo ius sacrum nonché l’eventuale svantaggio per l’adrogato, inoltre l’adrogante, già a partire dal I sec a.C., doveva formalmente giurare di essere onesto nei confronti dell’adottato. Solo dopo l’accurato accertamento e la valutazione dei pontefici, il loro consenso era una conditio sine qua non per un valido atto di adrogatio, veniva presentato un progetto del cambiamento familiare innanzi all’assemblea dei comitia curiata(7).
Questa assemblea era il luogo dove avveniva la rogatio, una triplice interrogazione fra “adottante affinché dichiari se vuole che l’adottando divenga suo filius familias, l’adottato perché dichiari che vuole tutto ciò, ed infine il populus se approva l’atto”(8), procedimento formalizzato dalla lex curiata, ossia mediante atto legislativo. Con la scomparsa delle assemblee, alla fine della Repubblica, l’approvazione puramente formale dell’adrogatio veniva svolta dai trenta litori, rappresentanti delle trenta curie originarie(9).
L’adrogatio, permessa nell’antichità solo ai patres privi di discendenti, per crearsi in modo non naturale un erede e per evitare l’estinzione della propria famiglia, rappresentò secondo l’insigne Arangio - Ruiz, uno dei casi di testamentum calatis comitiis: fu ammessa in favore dei patres familiarum in età da poter partecipare al comizio, affinché la continuazione di una famiglia potesse essere assunto con impegno consapevole e libertà di azione. In realtà vi furono altre ragioni per la “fusione” delle due famiglie, con lo scopo ultimo di rafforzare il potere economico, la capacità di difensiva, la forza politica, ma anche la necessità dettata dal fatto di essere rimasto unico componente della famiglia di origine e di trovare assistenza e protezione in un’altra familia(10).
I caratteri fondamentali e costitutivi dell’istituto stesso erano costituiti in primis, dall’attribuzione della patria postestas all’arrogante e dalla contestuale equiparazione del figlio, costituito ex lege, al filius natus da giuste nozze(11).
L’adrogatio era un’adoptio populi auctoritate : se il pater familias aveva a sua volta dei figli, come si è detto, questi si sottoponevano sotto la potestas dell’adrogator, acquistando lo status di nepotes ex filio. L’adrogatus prendeva il nome dell’adrogator e diventava a tutti gli effetti partecipe dei suoi sacra e titolare del ius sepulchri: nell’epoca più antica questa procedura, per il suo valore sacro, richiedeva, la presenza dei comitia curiata presieduti dal pontefice massimo e la detestatio sacrorum, ossia la formale rinuncia dell’adrogatus ai propri sacra familiari originari(12). Il culto dei sacra, ossia il culto degli antenati, era una preoccupazione costante del pater, che se era privo di eredi naturali usava l’adrogatio proprio per garantirsi dei discendenti che se ne occupassero, trasmettendo loro un dovere ereditario, ma anche per conservare e tramandare intatta la proprietà dei beni familiari. Il pater familias quindi impersonava anche il sacerdote della propria religione domestica, soprattutto nel periodo più antico; solo nell’ età più moderna la società si laicizza, affievolendo di conseguenza il culto domestico.
La formale procedura per porre in essere l’adrogatio e il distacco della stessa dal testamento furono attenuate da un lato grazie allo sviluppo di nuovi istituti, posti in essere per poter disporre del patrimonio senza dover ricorrere all’artificio della nomina a figlio; dall’altro grazie alla desuetudine che nel tempo ebbero i comizi curiati. Ne scaturì che la richiesta veniva fatta, soprattutto durante l’impero dei Severi, all’imperatore che accoglieva o meno l’arrogazione, detta per re scriptum principis, secondo quanto dedotto dalle informazioni avute dai presidenti di provincia.
I requisiti previsti per l’adrogatio, a parte quelli in comune con l’adoptio quali essere maschio e sui iuri, non consideravano tanto l’età delle parti, quanto l’esclusione dell’arrogazione da parte di chi avesse o potesse aspettarsi prole legittima oltre che ad escluderla per quelle categorie di persone quali le donne e gli impuberi.
Nell’arrogazione tutto il patrimonio attivo dell’arrogato passava all’arrogante , mediante una successio in ius pari alla conventio in manum, così i debiti si estinguevano, ma il pretore accordava attraverso azioni fittizie diritti ai creditori contro l’arrogante.
L'adrogatio fu un istituto nettamente distinto da quello dell'adoptio soprattutto per quanto riguarda il requisito di libertà da altre potestà genitoriali o tutorali richiesto all'adrogato, che doveva essere sui iuris, non soggetto ad alcuna limitazione della sua piena condizione di uomo libero, come si deduce dalla definizione di Gellio: “ Cum in alienam familiam inque liberorum locum extranei sumuntur, aut per praetorem fit aut per populum. Quod per praetorem fit, "adoptatio" dicitur, quod per populum, "arrogatio”(13).
La condizione dell'adrogato, per il necessario requisito dell'essere sui iuris, costituiva sicuramente una particolarità, considerato il fatto che la patria potestas romana era senza un termine e perpetua; infatti in un periodo storico successivo le norme cominciarono a prevedere e regolare forme di liberazione dalla sottoposizione alla potestas: per effetto di questa evoluzione, anche dal punto di vista normativo, si diffuse sempre di più l'istituto dell'adozione, istituto comunque condizionato dall'assenso dell'esercente la potestas. Sino a quel momento, perciò, l'unica formula per la quale un filius potesse passare da una familia ad un'altra era proprio l'adrogatio. Più che un passaggio da una famiglia ad un'altra, come si è detto, si tratta dell'uscita dalla familia di origine per l'ingresso "in potestate" dell'adrogante, non solo dell’arrogato ma di tutti i componenti della sua eventuale famiglia ai quali si applicava la capitis deminutio minima, mutando lo status familiae: la famiglia dell'adrogato assumeva il culto osservato dall'adrogante ed era tenuta a praticarlo. Questo aspetto, come si sa, costituì un’ importante conseguenza di carattere religioso, fu proprio per questo che si rese necessario di munirlo di speciali attenzioni e tutele: le procedure dell’ adrogatio erano perciò seguite dai pontefici, che dovevano verificare che non esistesse nessun svantaggio per l'adrogato e che fosse conforme allo ius sacrum. L'accettazione del culto praticato dall'adrogante comportava inoltre l'atto espresso della detestatio sacrorum, con il quale l'adrogato rinnegava il culto precedentemente praticato e accettava di praticare il culto domestico dell’adrogante(14): la rinuncia deriva dal forte convincimento, da parte del popolo romano, che l’appartenenza ad una famiglia è uno status esclusivo, non si poteva essere appartenenti a due famiglie(15), anche per quanto riguarda il culto domestico ritenuto una parte importantissima della vita familiare.
Questo doppio controllo, da parte dei pontefici e del popolo, caratterizzò la portata giuridica dell'atto rispetto, oltre che dell’aspetto religioso, anche della condizione del paterfamilias che accettava di farsi adrogare da chi sarebbe divenuto a sua volta suo paterfamilias: da una condizione sui iuris, l'adrogato entrava infatti in condizione di alienis iuris, che comportava l'indisponibilità del suo patrimonio e della sua familia. Non fu raro il sospetto che l'istituto fosse e usato per impossessarsi del patrimonio dell'adrogato, con una successio per universitatem inter vivos: si verificarono infatti casi in cui l'adrogato fu successivamente emancipato, con conseguente espoliazione dei suoi beni originari.
I debiti dell'adrogato venivano abbuonati, dunque fu necessario istituire maggiori controlli ad evitare usi fraudolenti dell'atto(16): l'adrogante, perciò, a partire dal I secolo a.C., doveva prestare giuramento garantendo di agire con onestà negli interessi dell'adrogato; al giuramento seguiva la presentazione dinanzi ai comizi curiati i quali procedevano alla rogatio, interrogazione con quale si chiedeva all'adottante (pater adrogans) se intendesse adottare l'adottando, all'adottando se intendesse essere adottato, ed al populus se approvasse l'adozione.
Circa l'approvazione del popuplus, questa ebbe diverse forme nel corso del tempo: mentre inizialmente si ricavava da votazione, fu successivamente certificata mediante una lex curiata, e dopo la fine della repubblica delegata alla delibazione dei 30 littori curiati, sebbene questo passaggio divenisse nel tempo sempre più formale.
Con Antonino Pio (II secolo) decadde, per effetto di una sua nota epistula ai pontefici, il divieto di adrogare i pre-puberi: sino ad allora infatti potevano essere adrogati solo i puberes sui iuris, dopo l'epistola invece l'adrogabilità fu ammissibile a condizione di stabilire una riserva di successione, una sorta di quota "legittima" corrispondente ad un quarto del patrimonio dell'adrogante. Questa legittima, detta quarta divi Pii, sarebbe spettata se l'adrogante fosse morto prima che l'adrogato raggiungesse l'età della pubertas(17).
Con Diocleziano (III secolo) fu invece consentita l'adrogatio delle femmine, sino ad allora escluse. Questo imperatore si occupò anche di un grave problema pratico, consistente nella mancanza di comizi curiati nelle province dell'Impero, causa dell'impossibilità di ricorrere a questo istituto a distanza da Roma. Nacque dunque la adrogatio ex indulgentia principali, poi divenuta fonte unica nell'intero territorio soggetto all'Urbe. Questa forma richiedeva un apposito rescritto dell'imperatore, ed era perciò anche detta per rescriptum principis: aveva la funzione di vigilanza, con il preciso scopo di tutelare l’adrogatio dai danni, a volte irreversibili, soprattutto patrimoniali(18); prassi mantenuta anche da Giustiniano “Adrogationes eorum , qui sui iuris sunt, nec in regia urbe nec in provinciis nisi ex rescripto principali fieri possunt”: l’ imperatore si riservò la potestà discrezionale di autorizzazione o meno dell’adrogatio, concretamente intesa.
Oltre alla formula rescrittoria, Giustiniano (VI sec.) mantenne la distinzione fra adrogatio ed adoptio, continuando la prima ad essere riservata ai cittadini sui iuris e la seconda destinata alle persone alieni iuris.
Un accostamento di interesse dottrinale ha rilevato caratteri comuni fra la adoptio per testamentum (adozione post mortem), e l'adrogatio, tanto da definire la prima (che si legge solo in fonti letterarie del periodo tardo-repubblicano, non reperendosi in fonti giuridiche proprie) come una sorta di adrogatio postuma.
Determinata secondo alcuni da probabili influssi greci, l'adozione testamentaria produceva effetti simili a quelli dell'adrogatio: acquisizione del nome e del patrimonio, fusione delle famiglie. Mancava evidentemente l'accettazione della patria potestas. L'adozione testamentaria è nota per essere l'atto con il quale Giulio Cesare adottò Ottaviano il quale infatti ne ereditò il nome (Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus).
- Salvatore Terranova - Noto
(1) Cfr. Serrao F., “Diritto privato ecc….”, op. cit. p. 200 e ss
(2) Cfr. Biondi B. , “ Istituzioni ecc…”, op. cit. , p. 555.
(3) Gaio, I,99.
(4) Voci P., “Istituzioni di diritto romano”, Milano, 1966, p. 479 e ss.: nell’epoca arcaica la patria potestas era considerata perpetua, pertanto non era possibile né l’uscita da essa, né il passaggio di un filius ad un’altra famiglia, l’unica forma di adozione ammessa era l’adrogatio, per mezzo della quale una persona sui iiuris entrava a far parte della famiglia dell’adrogante e si sottoponeva alla sua patria potestas, divenendo alieni iuris. E’ in un period o successivo , con l’evoluzione del diritto romano che , che viene ammessa l’adozione in senso stretto.
(5) Cfr. Serrao F., “Diritto privato ecc….”, op. cit. p. 199 e ss.: “se nell’epoca gentilizia il fenomeno si esauriva nella perdita del gruppo dell’arrogato da parte di un gens e nell’acquisto dello stesso gruppo a parte di un’altra gens, una volta sorta la comunità cittadina il fenomeno comporta inoltre che il complesso delle famiglie di cui la comunità era composta diminuisse di una unità. Si verificava , in definitiva, una modificazione morfologica e strutturale della società cittadina e pertanto la comunità non poteva considerare l’avvenimento come un affare privato”.
(6) Biondi B., “Istituzioni ecc…”, op. cit., p. 555 e ss.
(7)Burdese A., “Manuale di diritto pubblico romano”, Torino, 1998, p. 16 : queste assemblee potevano essere convocati solo due volte all’anno, il 24marzo e il 24 maggio, di conseguenza l’atto giuridico dell’adrogatio poteva essere effettuato solo nelle date prestabilite.
(8) Biondi B., “Istituzioni ecc…”, op. cit, p. 133 e ss. : l’adrogato per essere per manifestare la sua volontà ad essere adottato doveva altresì la capacità di agire e la capacità giuridica ossia “ l’idoneità riconosciuta dalla legge a compiere atti giuridici”.
(9) Arangio-Ruiz V., “Istituzioni ecc…”, op. cit., p. 467.
(10) Cfr. Serrao F., “Diritto privato ecc….”, op. cit. p. 202.: l’adrogatio fu nell’età precivica un istituto proprio dei patrizi e, dopo la formazione della civitas, con l’ingresso della plebs, si estese.
(11) Cfr. Serrao F., “Diritto privato ecc….”, op. cit. p. 201: così come viene riportata la formula, utilizzata dal pontefice massimo per interrogare il popolo, da Gellio ( Noct. Att. 5, 19) “Vogliate e comandiate che Lucio Valerio per diritto e per legge sia figlio di Lucio Tizio, così come se fosse nato da quel padre e dalla dilui madre di famiglia, e che egli 8Lucio tizio) abbia su quello (Lucio Valerio) il diritto di vita e di morte come lo ha il padre sul figlio. Queste cose come ho dette vi chiedo, o Quiriti”.
(12) Festo testimonia che accanto ai sacra publica compiuti nell’interesse pubblico vi erano i sacra privati che riguardavano le famiglie, che si trasmettevano per discendenza il loro culto era un dovere.
(13) Gellio, Noctes Atticae, V.19.1-13.
(14) Biondi B., “Istituzioni ecc…”, op. cit., p. 555.
(15) Bonfante P. “Corso ecc…”, op. cit, p. 7.
(16) A. Guarino, Diritto privato romano, Jovene, Napoli, 2001
(17)G. Donatuti, “Contributi ecc …”, op. cit, p. 879.
(18) Bonfante P., “ Corso ecc…”, op. cit, p. 46.: uno dei principali effetti giuridici dell’adrogatio era quello del passaggio formale del patrimonio dell’adrogato all’adrogante che ne diveniva proprietario a tutti gli effetti, dando luogo ad una successio per universitatem inter vivos. Ma l’adrogante poteva, soprattutto nel periodo classico, emancipare il nuovo filius, senza una ragione, spogliandolo in tal modo del diritto di successione nei suoi confronti. Soprattutto nel periodo imperiale si cercò di porre un freno a questo serio politico imponendo all’adrogante di emettere una promessa di restituzione dei beni dell’adrogato allo stesso o alla sua famiglia in caso di morte o di emancipazione dell’adrogato.