Incontro di un contadino serbo con Nikola Tesla
- Da un vecchio archivio
“Buongiorno gentili signori. Sono Zivadin Stevanovic, uno scrittore contadino di Brestovac, vicino a Kragujevac (Serbia). Non prendetevela con me, amici, qui nella vostra città, mi sento a casa e vorrei che vi sentiste così in Serbia, quando verrete…” Con tali parole comparve, 42 anni fa, nella redazione di un giornale allora jugoslavo, l'"Arena" di Zagabria. Descritto come un uomo alto, con un cappello nero in testa, vestito con un nuovo, nuovissimo, costume popolare di Sumadija (Serbia). Tali giornali erano molto letti in Serbia, a quel tempo, pertanto Zivadin, uno scrittore autodidatta, decise di visitare ed incontrare le persone che li producevano. Fu accolto calorosamente e raccontò la sua storia, che non lasciò nessuno indifferente. Anche dal fatto che la sua prima poesia risaliva al 1932... Un contadino, un giovane che aveva appena terminato le scuole elementari, innamorato del suo paese, una notte d'inverno nella sua casa, nella fertile Sumadija, prese una matita, per parlare nella lingua del creatore.
Il viaggio a New York
Nel 1939, in qualità di Sindaco, di un piccolo comune della Serbia, si recò a New York, ad una grande esposizione mondiale, per vedere quali fossero le più rivoluzionarie realizzazioni degli oltre 60 paesi che esponevano. Vendette due ettari di terreno, raccolse ottomilacinquecento dinari (denaro serbo), denaro che gli consentì di visitare l'America, in costume tradizionale, per cento giorni. Lì, incontrò grandi intellettuali serbi, tra cui anche Nikola Tesla. La visita di Zivadin, a New York, è stata anche l'occasione per un gesto interstatale interessante e simbolico.
Il Sindaco del comune di Konjuška ed il Sindaco di New York, Fiorello H. La Guardia (tenne un discorso al funerale di Tesla nel 1943), s’incontrarono a New York. In altre parole, si sono incontrati i Sindaci del Comune più piccolo e più grande del mondo. Tutti i giornali americani dell'epoca riportavano le foto di quell'incontro, sottolineando il bel Serbo di Gruza, con il costume popolare di Sumadija, a New York. Ma, il desiderio di Zivadin era anche quello d’incontrare il grande scienziato Nikola Tesla, che all'epoca alloggiava al NewYorker Hotel di Manhattan.Si confidò con il dottor Paja Radosavljevic, un altro serbo, che ha guadagnato fama mondiale in America e, che era un caro amico di Tesla. E, sebbene malato, dopo l'invito di Radosavljevic, Tesla accettò di ricevere Zivadin Stefanovic, nella sua stanza d'albergo, dove solo pochi erano entrati.
Le lacrime negli occhi di Tesla
Stevanovic descriverà, poi, il suo incontro con il grande scienziato, nel libro "Cento giorni in America". Per prima descrisse il suo ospite: Quando giunse all'hotel dove viveva Tesla, il portiere lo accompagnò alla sua porta ... Così Stevanović descrisse l'incontro con lo scienziato nel suo libro:
"Il portiere bussa alla porta, silenzioso e in modo strano, come se fosse un segno concordato. La porta s’apre con un meccanismo invisibile. Sono entrato nella stanza. Mi sono fermato un momento ed ho visto, nella parte orientale, un letto ed in esso un uomo, con la testa sollevata sui cuscini. Il suo viso era pallido, emaciato, senza una goccia di sangue, i suoi capelli erano bianchi. Disse qualcosa in inglese, a bassa voce, porgendomi lentamente la sua mano vecchia, raggrinzita, tremante. Mi avvicinai al suo letto ed accettai, rispettosamente, quella mano stanca, che era tanto buona, poi gli dissi:
- Signor Tesla, vengo dalla Jugoslavia, per visitare la grande Fiera Mondiale. Volevo anche incontrarla e portargli il saluto della Patria, che è orgogliosa di Lei, poiché ha contribuito alla gloria del Suo nome, nel mondo, con il Suo lavoro scientifico.
- Grazie!
- Tesla mi rispose con voce stanca e tremante. Lentamente, come sussurrando, aggiunse, in puro serbo: Volevo vederLa, ma scusate, non posso parlarLe a lungo. Come può vedere, sono gravemente malato. Attraverso di Lei, ora sto vivendo la mia vecchia patria. Ho compreso le sue parole. Ho guardato nelle sue pupille ed ho visto le lacrime nei suoi occhi. Cosa pensò lo scienziato, in posizione da seduto, in quel momento? Forse, quando ha visto un contadino di Šumadija, s’è ricordato del suo villaggio e della sua infanzia a Lika, ha risvegliato il suo desiderio per la patria, con la mia visita, che non vedeva da cinque decenni?
"Spero che si riprenderà rapidamente e, che farà ancora molto, per la felicità della razza umana", desiderai esprimergli, ad alta voce. "Grazie", rispose Tesla, con voce debole e lentamente, dandomi di nuovo la mano tremante e rimpicciolita, sottolineando ogni parola, aggiunse:
- Saluta la mia vecchia patria, non la rivedrò mai più... Non mi permettevo di proferire un'altra parola. Era così malato, che ho pensato che sarebbe morto davanti ai miei occhi. Il suo volto tradì l'uomo morente. Solo lo sguardo, profondo e penetrante, irradiava un bagliore leggermente più vivido. Uscendo, mi guardai intorno nella ampia e luminosa stanza, dalle cui finestre si vedeva buona parte di New York. La porta si chiuse, lentamente, dietro di me. Ancora una volta, ho sentito la voce tremante del più grande scienziato vivente del nostro tempo:
- Saluta la patria ...”
Ricordiamo, che Tesla morì il giorno del Natale ortodosso, 7 gennaio 1943, nella stanza 3327, del NewYorker Hotel.