In memoria ad Antonio Gelsomino
Thursday, September 19, 2024

La storia (2008_2009) della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo-14 Maggio

copertina-lidu

La storia (2008_2009) della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo

 

Anno 2009_14 Maggio

Il 14 Maggio, la LIDU, preoccupata per il fatto che le agenzie di stampa internazionali escono con notizie preoccupanti circa la “condizione” sanitaria e lo stato di detenzione domiciliare della leader dell’opposizione birmana, signora Aung San Suu Kyi, cui, tra l’altro, ha conferito l’ambito Premio internazionale “Paolo Ungari”, attraverso, per così dire, una “lettera aperta” al Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ed alle autorità governative della Cambogia, chiede informazioni precise in merito.
Le ragioni dell’allarme, in merito alla sorte della signora Aung San Suu Kyi, derivano da tutta una serie di circostanze che, negli ultimi tempi, hanno ancor più aggravato la posizione dell’irriducibile oppositrice alla dittatura birmana, insediatasi, proditoriamente, manu militari, su un territorio e su una popolazione ampiamente martoriata.

La signora Kyi, infatti, già ingiustamente costretta agli arresti domiciliari, essendo ormai, secondo i termini della sentenza di condanna, in procinto di venir liberata dopo anni di detenzione, s’è vista prorogare, a tempo indeterminato, la pena detentiva domiciliare a causa del gesto malaccorto e sciagurato d’un aitante cittadino americano che, senza sollecitazione alcuna da parte della reclusa, per poterla “visitare” e comunicarle la sua solidarietà, aveva attraversato, a nuoto, lo specchio d’acqua che isolava la casa di Aung San Suu Kyi dal contesto abitativo in cui è situata.


Questo plateale ed ulteriore sopruso, ovvero il prolungamento degli arresti domiciliari, perpetrato a suo danno dalle autorità militari cambogiane, l’ha indotta a proclamare ed effettuare, per protesta, uno sciopero della fame ad oltranza.
Sciopero che, in base alle informazioni circa il suo stato di salute (si è detto che sia ormai giunta allo stremo delle forze), ha consentito al Governo, con la scusa di salvarle la vita, un “sequestro” sanitario ed un trasferimento in località ed in sede ignota.
Cose ne è di Aung San Suu Kyi?
Lo chiediamo alle autorità birmane, così come lo chiediamo al nostro Ministro degli Esteri, onorevole Franco Frattini, che, assieme al Premio Nobel della Pace del 1991, ovvero alla combattiva signora asiatica, leader della Lega per la Democrazia del Myanmar, il 10 Dicembre 2007, presso la “Fondazione Europea Dragan”, a Roma, presente il senatore Francesco Cossiga, Presidente emerito della Repubblica Italiana, ricevette dalla LIDU il prestigioso “Premio Paolo Ungari”.
Premio che, anno per anno, appunto, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, conferisce a personalità nazionali od internazionali che, durante il loro cursus honorum civile e politico si siano particolarmente distinte nella salvaguardia, senza distinzioni di razza, etnia, sesso, credo politico e religioso, dei Diritti Fondamentali dell’Uomo, patrimonio, ab origine, di ogni cittadino del mondo.
Chiediamo questo perché ci risulta che la “dissidente” signora Aung San Suu Kyi, costretta, da anni, da un regime “miserabile” ad una carcerazione forzata nel suo Paese e nel suo alloggio, senza la possibilità d’avere “contatti” sostanziali con l’esterno e, quindi, con i propri seguaci, dopo che, qualche giorno fa, ormai giunta a rischio di vita, aveva interrotto uno sciopero della fame di protesta contro il governo birmano, che durava da qualche settimana, sia stata arrestata e condotta non si sa bene dove (ospedale o prigione), e con essa sia stato pure arrestato il medico che l’aveva assistita nel corso del lungo digiuno.
Riteniamo, per tanto, che il nostro governo debba sollecitare la Comunità Europea affinché inoltri, in veste di entità e potestà sovranazionale, una vibrata e dura protesta in merito alle condizioni in cui è tenuta la signora Aung San Suu Kyi, sia all’ONU che allo Stato birmano. Stato che, pur membro delle Nazioni unite, si rivela ogni giorno di più del tutto indifferente alle regole della Democrazia ed al rispetto dei Diritti Fondamentali dell’Uomo e del Cittadino, persistendo, senza remore o pudori, nel perseguimento di un sistema di governo strutturalmente dittatoriale e “feroce”.
Riteniamo, inoltre, che debba essere chiesto conto, non solo dello stato di salute del Premio Nobel per la Pace, ma anche della condizione e del luogo specifico in cui si trova, di fatto, “segregato” e, con esso, anche della sorte del medico che l’ha assistito.
Sempre il 14 Maggio, la LIDU fa pervenire alle agenzie-stampa ed ai diversi organi d’informazione un comunicato in cui, in piena consonanza con la presa di posizione dell’Episcopato italiano in merito ai “respingimenti”, effettuati dalle navi militari italiane a ridosso delle coste libiche, degli ultimi flussi di migranti, senza produrre alcun “serio” accertamento circa un potenziale loro diritto a fruire di asilo politico, condanna la brutalità e l’ingiustizia degli interventi “interdettivi”.
Interventi che sortiscono esclusivamente il risultato di mettere questi “disperati” nelle mani delle autorità libiche che, una volta ridottili in sostanziale stato di pesante “contenzione”, all’interno di campi di concentramento assai simili ai lager nazisti, li vessano e li brutalizzano.
E questo, senza che i rappresentanti degli organismi internazionali specificamente preposti al controllo ed alla salvaguardia della loro incolumità e del loro stato di salute, siano, come, nei fatti, ormai avviene regolarmente, messi in grado di svolgere il loro compito, in quanto, a loro volta, sottoposti a minacce ed impedimenti d’ogni tipo.
La LIDU, però, non paga di questo, sempre attraverso il comunicato che segue, condanna parimenti l’atteggiamento ipocrita e sostanzialmente ambiguo degli organismi e delle autorità internazionali, perché, mentre si scandalizzano per i “respingimenti”, poco o nulla fanno per ausiliare l’Italia, lasciandola sola ad affrontare un fenomeno che non è solo dell’Italia, bensì di carattere generale per le comunità più ricche ed evolute del mondo e, nella fattispecie dei flussi migratori dal Nord Africa, specificamente dell’intera Comunità Europea, in quanto la maggior parte dei migranti considerano il nostro Paese esclusivamente come luogo di transito per altre destinazioni.
Noi, che della Laicità, senza attributi, che potrebbero svilire od ingigantire, a seconda dei casi, il significato dei valori morali e sociali che la connotano in modo inequivocabile, ancora una volta (non sembri una contraddizione), ci troviamo in consonanza con la Chiesa.
In consonanza sul problema dei cosiddetti (brutta parola sia in termini espressivi, sia per i significati reali che sott’intende) “respingimenti”.
Quale più antico sodalizio al mondo, sorto a difesa dei Diritti Universali dell’Uomo (nessuno può ignorare che la nostra origine affonda le sue radici nella “Associazioni per la Democrazia e la Libertà” post-risorgimentali), non possiamo, oggi, non trovarci d’accordo con l’Episcopato Cattolico quando reclama, anche per i cittadini più “disperati” del mondo, giustizia, dignità, soccorso ed aiuti, non già respingimenti. Respingimenti dietro cui, già si sa (ed è ipocrita ignorarlo o pensare che non sia un nostro problema), ci sono solo miseria, costrizioni, violenze e riduzione, in molti casi, ad una condizione di vera e propria “cattività”.
Se, infatti, le autorità italiane, sia quelle di centro-destra, che hanno formalizzato l’accordo con Tripoli, sia quelle di centro-sinistra, che ne hanno tracciato il solco, avevano ed hanno da lagnarsi con la Comunità Europea e le Nazioni Unite (parimenti ipocrite) perché, mentre sono assai pronte a lanciare contro il nostro Paese accuse di insensibilità e di non rispetto delle convenzioni relative al fenomeno delle migrazioni, nulla fanno per aiutarlo, per solidarizzare e per affrontare, con mezzi ed uomini, un evento che rischia d’essere tutto nostro e di scompaginare in senso generale il nostro sistema istituzionale, già di per sé assai “scombinato” e contraddittorio, questo non giustifica affatto i “respingimenti”.
Ovvero, nulla giustifica che, di fronte all’incapacità di ottenere ragione ed aiuto per affrontare un problema, che in quanto globale, è di tutti gli stati membri della Comunità, e, quindi, dell’intero consesso internazionale, ci si faccia “belli”, per la capacità d’interdire gli sbarchi, sulle nostre coste, della parte più debole dell’umanità migrante.

E cioè del “contrasto” attivo nei confronti di coloro che nulla, se non la loro disperazione, sono in grado di mettere in campo, per opporsi alle nostre navi da guerra.

È troppo facile e comodo agire così! Così com’è facile e comodo, per la Comunità Europea e per l’ONU, stigmatizzare uno stato membro, qual è l’Italia, che, nel corso della sua breve storia repubblicana, ha fatto, se prescindiamo da queste ultime assai reprensibili “gesta”, della solidarietà internazionale uno scopo imprescindibile dalla Democrazia del proprio assetto istituzionale.
Gesta da censurare ed esecrare senza riserve, soprattutto perchè si dà anche il caso, per molti versi addirittura “granguignolesco”, che le immigrate irregolari, impossibilitate, per mancanza di documenti, a “riconoscere” i propri figli, sono costrette a metterli, per così dire, a disposizione delle pubbliche autorità per essere dati in adozione.
Ma in quale mai nascosta “sentina” delle norme nazionali ed internazionali è stato rinvenuto questo insuperabile “capolavoro” d’aberrazione umana?
Ce lo domandiamo e lo domandiamo, visto che l’Italia si vanta d’essere la “Patria del Diritto”, alle nostre autorità, contando, sia sul primo che sul secondo problema, in un gesto di sana resipiscenza.

Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza “Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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