In memoria ad Antonio Gelsomino
Saturday, November 23, 2024

Michele a Guadalajara di Francesco Jovine

tragica-avventura

Michele a Guadalajara di Francesco Jovine

Dall’“Impero in provincia”, una delle ultime opere di Francesco Jovine, abbiamo tratto questo brano di grande efficacia narrativa. In esso rivive la tragica avventura di Spagna, così come fu sentita e vissuta nel Molise, dalle ignare popolazioni contadine.

«Chiunque vuole andare alla guerra di Spagna ché è arrivato don Primiano il seniore di Larino; stasera alle nove alla sezione».

La voce del banditore, una voce indifferente e squillante, piena degli echi delle mura antiche, si sparge per i vicoli del villaggio e trae gli uomini sugli usci, le donne alle finestre, e provoca la gazzarra dei bimbi.

Si fa un allegro rumore, le voci s’intrecciano tra finestra e finestra.

Rosalba dice al marito:

- Devi andare.

Michele è abbattuto ed esitante:

- Vedrai che non mi prendono.

- Ti prendono – dice la moglie; si alza e fa un giro vigoroso per la stanza prillando sulle anche giovani, rizzando il capo carico di capelli sul collo di latte.

Michele si muove e scende in piazza; ci trova Angelo il calzolaio che veniva a chiamarlo.

 

- Te lo avevo detto io; quando io dico una cosa ci metto il sale e il pepe. Se non la so non parlo, ma quando parlo ci puoi giurare.

- Non mi prendono – ripete Michele.

- Ti prendono; ci parlo io con don Primiano.

- E tu non vieni?

- Io? Io no; non ho debiti io; adesso ho il capitale per la suola e le forme e apro bottega mia.

Michele non risponde; parla poco perché ha l’abitudine di pensare.

Pensa pensa e poi finisce col fare quello che fanno gli altri perché i suoi pensieri sono una matassa troppo aggrovigliata.

Capisce che deve partire se lo prendono, ma vorrebbe sapere la ragione; ha letto su un giornale che in Spagna c’è la guerra tra i comunisti e i falangisti e che i comunisti sono nemici del re, del popolo, della Santa Chiesa; che lui Michele Antonacci può fare una opera buona, levarsi i debiti e ubbidire al re.

Per strada incontrano dei compagni; alcuni si sono messi in divisa di militi, altri portano come lui la camicia nera.

Prima di entrare fanno gruppo davanti all’ingresso della sezione.

Uno grida: - Per don Primiano eja eja eja.

Anche Michele risponde: - Alalà – confondendo la sua voce con quella dei compagni; e quel robusto grido in cui c’è anche il fiato e la voce di Michele Antonacci lo riempie di momentanea forza.

Le due stanzette della sezione sono illuminate; dal vano dell’ingresso si vede un tavolo nella stanza in fondo; e seduto di fronte al tavolo don Primiano che parla con don Pasquale Minadeo arciprete.

Don Pasquale dice:

- Guardalfiera è paese di gente in gamba; vedrete che tutti vorranno partire.

Don Primiano aggiunge:

- Già, il signor console mi ha detto: ci vogliono ancora trenta uomini per completare la seconda centuria. Dove li trovo?

Lui mi dice: andate a Montelongo.

Ma io rido e dico: - A Guardialfiera vado; Guardalfiera ha dato sempre un largo contributo; allora lui s’è persuaso.

Il segretario politico dice:

- Era corsa voce in paese che si poteva partire per la Spagna; e molti erano addolorati che nessuno avesse pensato a noi. La vostra premura, diciamo, ci conferma nella fiducia che i nostri bisogni non sfuggono alle alte gerarchie.

L’arciprete approva con un sorriso di aperta adulazione, si mette le mani sul petto e dice a voce bassa con il consueto tono vibrato:

- Questa è terra generosa per i soldati di Cristo e per tutte le cause sante.

Don Primiano fa cenno a un milite che lasci entrare; e tutti i contadini e gli artieri entrano contenti, spingendosi, accavallandosi per essere in prima fila.

Il seniore si alza e fa cenno di tacere a un gruppo che canta «Giovinezza» con voci discordanti e con i versi sbagliati; poi dà un colpo marziale al cinturone che sfugge troppo volentieri al giro della pancia e incomincia a parlare.

- Camerati; ancora una volta nel giro di pochi mesi siete chiamati a dar prova del vostro spirito volontaristico, - scroscia un applauso, - il Duce ha detto, - scroscia un altro applauso e Angelo calzolaio grida una frase troppo lunga per essere capita dall’uditorio plaudente.

Don Primiano s’infiammò e parlò reciso e smozzicato; siccome tutti mostravano, applaudendo, di aver capito benissimo quello che lui aveva pensato di dire, si convinse della chiarezza della sua esposizione e della intelligenza degli ascoltatori.

Si mise a sedere tra un uragano di grida festose.

Il caposquadra che lo aveva accompagnato trasse di tasca un foglio, una matita e disse:

- Chi vuol partire faccia un passo avanti.

Una ventina di contadini si precipitarono verso il tavolo.

Erano tutti giovani o appena maturi, adusti e membruti e con lo sguardo, ora che non gridavano più, velato di opaca e antica tristezza.

- Ti chiami?

- Giovanni Sella.

- Soldato da permanente?

- Trenta mesi.

- Va bene.

- Carlo Sfanuti.

- Giacomo Menna.

Michele non era riuscito a passare avanti; ora stava facendo un debole tentativo di introdursi tra la siepe dei corpi che gli sbarrava la strada. Angelo lo prese alle spalle e gli disse in un orecchio:

- Lascia fare a me; non ti muovere.

Ventinove erano già arruolati; e ce ne erano almeno altri cinque che avrebbero voluto farlo; ma qui Angelo calzolaio balzò in prima fila e disse: - Ci sono io.

Poi aggiunse fieramente tutto di un fiato:

- Angelo Lafratta, classe 1907; ventidue mesi da permanente, campagna di Abissinia, medaglia di bronzo.

Poi si avvicinò di nuovo a Michele e gli fece:

- Non te ne andare: aspettiamo che abbiano sfollato. Adesso vedi che faccio.

Quando tutti furono andati via sussurrò qualcosa all’orecchio di Michele e si avvicinò al tavolo dove il Caposquadra stava mettendo in bella l’elenco.

Il caposquadra alzò la testa e lo guardò con un sorriso furbesco. – Dunque, - incominciò Angelo – questo è il mio amico che vorrebbe partire…

- Ma non c’è più posto, - fece l’altro, - dovevano essere trenta e trenta sono.

- Come si fa? – Lui vorrebbe partire perché è padre di famiglia ed è pieno di debiti.

- Tutti sono padri di famiglia; tutti quelli che abbiamo presi hanno figli.

- Sicché, - fece Angelo strizzando leggermente l’occhio senza farsi vedere da Michele, - non c’è rimedio?

- Ci sarebbe un rimedio; potresti dargli il tuo posto.

Michele ascoltava i due apatico e perplesso; sapeva che Angelo faceva tutto apposta e non capiva perché dicessero tante chiacchiere.

- Beh, - fece Angelo, - per l’amicizia; a me piace fare del bene. Io non parto, prendete lui.

- E’ piccolo, - fece il caposquadra maliziosamente.

- Sono piccolo ma alla terza visita mi hanno fatto abile.

- Va bene, - fece il caposquadra; e annotò il nome di Michele.

Usciti ritrovarono in Piazza Vincenzo Sciarrito e alcuni altri che partivano; stavano discorrendo.

Michele era contento di essere come gli altri e di dover pensare anche lui alla partenza.

- Vedi, - diceva Vincenzo Sciarrito, - le Madonne della Spagna saranno tante, saranno vestite diversamente, ma la Madonna è sempre una e uno è Cristo. Quando bruciano un Cristo in Spagna arde pure quello che è nella cappella del Redentore. Sempre uno è Cristo e sempre uno è il Re; uno comanda la Spagna e uno comanda l’Italia e uno comanda l’America. Tante persone ma tutti sono re; tu ammazzi un re: è come se tu volessi ammazzarli tutti.

- In America non c’è Re, fesso, - disse Angelo.

- C’è uno che comanda con tanta gente che l’aiuta a comandare e tanta gente che lavora e lo rispetta?

- Certo.

- Allora c’è il Re.

- Michele si mise a ridere all’improvviso, poi si spaventò per il minaccioso sguardo di Pietro Sciarrito e tacque.

- Non dite fesserie, - aggiunse Angelo. – Neanche in Spagna c’è più il re.

- Apposta ci andiamo noi; ci mettiamo il nostro e ci freghiamo pure la Spagna.

Angelo non rispose.

Il caposquadra non glielo aveva detto ma poteva essere vero.

Lui, furbo, sapeva che non tutti i segreti si dicono.

Si sentì umiliato di non poter rispondere nulla; ma fu un attimo.

Riprese subito:

- Voi credete di partire e di andare subito in Spagna? Lo vedete come siete stupidi. Che credete che i comandanti son bambini e dicono: manderemo i nostri soldati a combattere in Spagna. Macchè, dicono: imbarcatevi, siete spedizione oltremare. Chi indovina con tanti mari che ci sono dove va una nave? Invece una notte suona la radio e la nave va in Spagna e si sbarca di notte. Gli spagnoli si trovano le camicie nere addosso; da dove vengono? Ma chi lo sa? Spuntano dalla terra come funghi; nessuno li ha mandati e ci sono e mettono paura a tutti.

- Chi te l’ha detto, - domandano in coro.

- Lo so, - risponde Michele categoricamente. – Solo quando tornate si può dire dove siete stati.

- E se uno non torna? – fece Vincenzo Sciarrito.

- Lo dicono gli altri; gli altri raccontano…

FRANCESCO JOVINE

 

Tratto da:

 

  • Il giornale: L’Unità, pag. 4, mercoledì 3 Maggio 1950

 

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