Anno 2009_ fine Maggio
Alla fine di Maggio, la Lidu, attraverso una ricerca affidata al suo ufficio stampa, decide di occuparsi di malati mentali.
La LIDU, attraverso questa ricerca, risponde alle sollecitazioni pervenutele dall’A.R.A.P. (Associazione per la Riforma dell’Assistenza Psichiatrica), costituita, di fatto, dai familiari di persone, per così dire, psichiatramente “disordinate”, con le quali, a motivo della Legge 13 Maggio 1978, n°180, altrimenti detta “Legge Basaglia”, recepita, poi, nella legge 23 Dicembre 1978, n°833, sono costretti, giocoforza, a convivere.
Questo in quanto la norma, pur con le massime buone intenzioni di sottrarre i malati a duri regimi di contenzione coatta, nell’ambito della quale venivano esercitate violenze d’ogni genere e grado, se, da una parte, ha portato, alla chiusura di queste vergognose Case di Cura (Manicomi), lasciando in piedi quelle carcerarie riservate ai criminali dichiarati “incapaci d’intendere e di volere”, dall’altra, ne ha disperso i ricoverati qua e là per il Paese, alla mercé di loro stessi e delle loro patologie, contestualmente vittime ed autori di violenze, nell’abbandono più totale e miserevole.
Ovvero, affidati alla cura delle famiglie che, senza sostanziali aiuti dallo Stato, cercano di provvedere ad essi, correndo spesso il rischio d’aggressioni gravi allo scatenarsi, ciclico, di crisi incontenibili.
Fanno fede al riguardo impressionanti dati statistici che contemplano innumerevoli omicidi ed altri tipi di gravi lesioni, dati che, anche a guardare soltanto agli anni immediatamente successivi all’applicazione della legge Basaglia, denunciano, senz’ombra di dubbio, una dinamica d’incremento delle morti, direttamente od indirettamente riconducibili alla malattia mentale, estremamente preoccupante, in quanto riassumibile nelle cifre che seguono: da circa 6.500 morti, nel 1973, si è passati ad oltre 19.000, nel 1996.
Di più, l’Italia è l’unico Paese europeo in cui, la mortalità dei depressi, degli schizofrenici e dei malati di mente in genere è aumentata, dopo il 1980, di ben sei volte (negli altri stati, appena due volte).
Parimenti la media degli psicotici, che si suicidano, s’attesta sul numero di circa 3.000 all’anno, che non ha eguali in nessun Paese del continente.
Così come non ha eguali la “circostanza” che la maggioranza degli omicidi sia perpetrata in famiglia, e che pure il loro numero sia tanto elevato (quasi 200 all’anno).
Il lavoro di ricerca e documentazione, affidato al responsabile del suo Ufficio-stampa ed alla stagista, Sara Lorenzelli, che lo coadiuva, porta, sia alla redazione del documento che segue, inviato alla stampa e pubblicato da alcune testate, sia alla condivisione dell’iniziativa dell’A.R.A.P., tesa, dopo anni ed anni di lotta e di “cauta” pressione esercitata a livello di pressoché ogni forza politica (per varie ragioni, non tutte giustificabili, la “Legge Basaglia” è diventata, nel frattempo, un vero è proprio moloch di dottrina che fa testo e che, sostanzialmente, nessuno intende mettere in discussione), ad ottenere il varo di una norma migliorativa della grave situazione in essere. Norma che consenta alle famiglie, in caso di bisogno e con vari e diversi accorgimenti di garanzia, cui presiedano decisioni “responsabili” affidate ad autorità sanitarie, civili e “magistrali”, in concorso tra loro, di potersi “separare”, se necessario, da “soggetti” diventati incontenibili, violenti e, quindi, pericolosi per se stessi e per gli altri, attraverso ricoveri temporanei o permanenti.
Nel 1978, anche noi fummo tra coloro che gioirono per l’approvazione della legge 13 Maggio 1978, n. 180 (“Legge Basaglia”), recepita, poi, nella legge 23 Dicembre 1978, n° 833.
Gioimmo perché ci immaginavamo i manicomi come quello del famoso film del 1948, “La fossa dei serpenti”, di Anatole Litvak, con Olivia De Havilland e Leo Genn, ovvero luoghi “stranianti” ed ossessivi, fatti di letti di contenzione, camicie di forza, pareti ottundenti ed insonorizzate, sale d’incontro a frequentazione comune ove, talvolta, senza cause parventi, esplodeva la violenza, soffocata, poi, da altra “meditata” violenza.
Gioimmo perché ci immaginavamo che i cosiddetti, in linguaggio moderno, inabili o, meglio, diversamente abili mentali, liberati dalla “prigione”, sollevati dalle loro catene e dai loro incubi di costrizione, avrebbero trovato accoglienza in luoghi più umani, e, confortevoli, senza sbarre alle finestre.
Luoghi il cui personale, altamente specializzato, li avrebbe amorevolmente accolti, curati, nutriti, assistiti, magari anche stimolati a dar libero sfogo alla loro creatività repressa (al riguardo si tengano presenti le pregiate opere del pittore Antonio Ligabue da Guastalla), fornendo, quindi, a quelle anime “perse” uno scopo.
Purtroppo, così non è stato e con gli anni, a loro carico, salvo casi numericamente poco significativi, in cui c’è stato un vero reinserimento sociale in ruoli per soggetti, ancorché “disadattati”, in grado di esercitare, comunque, qualche attività subalterna e prettamente esecutiva, imposti, per legge, alle pubbliche amministrazioni, si sono determinate quattro specifiche realtà (è solo un modo di dire) d’accoglienza: la strada, con l’accattonaggio e la sostanziale “scomparsa” sociale, fatto salvo qualche picaresco giullare, come quel tizio di buona famiglia che, a Piazza Barberini, in Roma, acconciato alla maniera d’un “pazzariello” partenopeo, quale il Totò dell’“Oro di Napoli” di Vittorio De Sica, per anni, gesticolando dal marciapiedi, s’illudeva di dirigere il traffico; i manicomi criminali, ovvero gli Ospedali Psichiatrico-giudiziari, il migliore dei quali sembra essere quello di Castiglion dello Stiviere (MN), meta ineludibile di coloro che si sono macchiati di gravi delitti; la famiglia, contestualmente facente funzioni, ad alto rischio, di “struttura” improbabile e inadeguata di cura; i plessi ospedalieri, articolati e compositi, per lo più polifunzionali, in cui qualcuno, d’animo mite e cordiale, privo d’un qualsiasi “retroterra” familiare, con la compiacenza delle autorità sanitarie, ha potuto nascondersi, trovare rifugio e sostentamento, diventando immancabile oggetto o vittima di scherzi, per solito, lievi e ridanciani.
In proposito, ci ricordiamo d’una signora di mezza età, in veste da camera e dall’aria assai svagata che, con la sigaretta in bocca, ai tempi in cui ci occupavamo di cooperative di costruzioni, all’interno d’un ospedale modenese, che aveva bisogno di opere impegnative di riqualificazione e ristrutturazione sanitaria, seguì, passo passo, il gruppo dei responsabili delle società e dei professionisti, “chiamati” a gestire la gara d’appalto, fino all’interno d’un magazzino. Magazzino in cui, assieme ai “capolavori” dei diversi progetti edilizi erano stipate cataste di derrate alimentari. Ebbene, la signora, impossessatasi, con destrezza, di alcuni pacchi e di un paio di bottiglie di vino, dopo averli riposti in una capiente busta di plastica per portarseli via, con lo sguardo simpaticamente sornione ed un vago sorriso, avvicinò il dito indice della mano destra alla punta del naso, chiedendoci di tacere e di farle, quindi, da complici.
Insomma, queste persone, che hanno “visioni” perché, come si diceva nell’antica Grecia, Zeus aveva loro rubato il senno, queste creature, che i Pellerossa degli Stati Uniti d’America, in quanto “segnate” da Manitou, temevano e rispettavano, con la legge Basaglia, sono state sostanzialmente abbandonate a se stesse.
A questo punto, anche a voler trascurare la sorte o le vicende umane di quelli che “orbitano” ai margini della società organizzata, come monadi ignorate ed abbandonate a se stesse, capaci od incapaci d’organizzare, in qualche modo, la loro vita, ovvero destinati, via via, a scomparire, come si usa dire, in the crowed, perdendo identità e, talvolta, anche dignità sociale, rimane, a voler essere egoisti, il problema di tutti quelli che, fuori dalle strutture organizzate di temporanea ed estemporanea assistenza sanitaria a termine (sempre breve), sono ritornati o stazionano permanentemente nella famiglia.
Famiglia che, come ebbe a dichiarare un volta, in un pubblico convegno sull’Alzheimer, il professor Bernabei, tra i “maggiori” geriatri del Paese, costituisce, in Italia, l’ASL di gran lunga più importante.
Con questo intendiamo dire che le famiglie, spesso a serio rischio d’incolumità personale (i casi di violenza, di omicidio e di suicidio all’interno delle mura domestiche sono praticamente quotidiani e reiterati, al punto da non fare più notizia), sono costrette a farsi carico di consanguinei ormai per lo più irrecuperabili, nonché inaccessibili a qualsiasi tipo di razionale e logico contatto, sia affettivo che di semplice relazione parentale.
Penosa condizione, per lo più, determinata, in passato, dalla abnorme somministrazione di neurolettici, barbiturici, sedativi di varia natura e specie, ansiolitici etc., onde sedare, ad ogni costo, il soggetto affetto da “disturbi”.
Nell’ambito, poi, delle patologie di natura “schizoide”, la cui eziologia è, sovente, di difficilissima rilevazione, al cospetto di malati, in apparenza tanto lucidi da sembrare ben capaci d’intendere e di volere (di fatto, invece, secondo le cronache, i più pericolosi), s’evidenzia spesso un’anomalia sostanzialmente irresolubile, ovvero quella di non riuscire, se non attraverso atti di vera e propria costrizione, a farli curare.
E questo, perché il soggetto interessato alla terapia, non ritenendosi affatto malato, s’oppone a qualsiasi tipo d’intervento medico o farmaceutico.
Questo ha fatto sì che il professor Luigi De Marchi (che ricordiamo impegnato , in passato, sui diritti civili, in tema soprattutto di contraccezione, aborto e divorzio) sulla legge psichiatrica intestata a Basaglia, nel corso di uno specifico congresso, avesse a dire testualmente “Negli ultimi tempi, il ritmo già alto delle stragi di familiari si è ulteriormente intensificato e sulla stampa clericale è ripresa la solita geremiade sulla decadenza della famiglia, mentre su quella sinistrese tutti deprecano i guasti del cinismo e dell’egoismo prodotti (manco a dirlo!) dal consumismo capitalista. Ma nessuno indica il vero fattore dell’orrenda mattanza, né tanto meno, fa nulla per fermarla.
Esso, però, è indicato, da vent’anni, nella famigerata legge psichiatrica 180/833, da molte associazioni dei familiari dei malati mentali, del tutto ignorate, per altro, dalle nostre autorità cosiddette responsabili”.
Le stesse considerazioni, erano state sostanzialmente scritte, nel 1986, sul libro “La tragedia psichiatrica”, da Maria Luisa Zardini, madre di una schizofrenica, nonché fondatrice e presidente dell’A.R.A.P. che, avendo gravissimi problemi in famiglia e dovendo, quindi, rischiosamente conviverci, sulla base di esperienze dirette, sottolineò duramente: “La legge 180/833, smantellando le cliniche psichiatriche e pretendendo di curare la malattia mentale in una miriade di piccoli ambulatori di quartiere, dominati dalle solite clientele parassitarie e regolarmente disertati dai malati più gravi (che notoriamente rifiutano ogni terapia), era sbagliata alla radice e non poteva che approdare, com’è approdata, ad un sostanziale azzeramento dell’assistenza e della ricerca”.
Senza volerci “schierare”, anche perché non abbiamo la competenza professionale per addentrarci più di tanto nel campo di un problema socio-sanitario particolarmente “vissuto” da tante e tante famiglie, non solo non ancora risolto, ma addirittura fomite, come per tanti altri settori della vita del Paese, di scandali e sperperi di pubbliche risorse (vedasi quel che ha denunciato e documentato, in materia, appena una decina di giorni fa, la trasmissione televisiva “Report”), possiamo solo dire che, nell’ambito della nostra vita professionale, più è più volte, a riprova che le cose proprio non vanno, c’è capitato di “trattare” casi assai tragici, costituiti da omicidi e suicidi efferati, ovvero epiloghi di drammi tenuti, per pudore e per paura, anche fisica, nascosti in seno alle famiglie.
Così come c’è capitato di temere per la nostra stessa incolumità, perché minacciati e seguiti, soprattutto di notte, in stradine di almeno due borghi di montagna in cui, di tanto in tanto, andavamo in vacanza.
Incolumità che, invece, non sono riusciti a conservare i due anziani coniugi di Palermo, aggrediti e gravemente feriti a martellate, alla stazione di Palermo, Lunedì 11 Maggio, da un “massiccio” energumeno squilibrato alto due metri, poi fermato, a rischio della loro stessa vita, da due extracomunitari nigeriani senza permesso di soggiorno (i due coniugi si trovano ora ricoverati con prognosi riservata presso due distinti ospedali di
Palermo).
Questa vicenda dovrebbe anche indurre a riflettere bene sulla sorte che molti italiani del Nord vorrebbero riservare agli immigrati.
“Purtroppo – proseguì De Marchi, con accenti di severa critica alla 180/833 e con il supporto di dati statistici allarmanti – ... Si tratta di una legge tanto sballata nei suoi assunti teorici quanto tragica e criminogena nei suoi effetti pratici [soprattutto n.d.r.] …. Sulle famiglie…. Nei primi anni di applicazione della 180/833, cioè dal 1978 al 1983, i decessi per disturbi, rilevati dall’ISTAT, aumentarono del 43,5% ed, in particolare, i suicidi per disturbi psichici aumentarono del 20%, mentre i ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari (cioè gli autori di azioni delittuose giudicati incapaci d’intendere e di volere, spinti al delitto dalla mancanza d’ogni cura psichiatrica) aumentavano complessivamente di quasi il 60% e, tra i giovani (l’età tipica dell’insorgenza della schizofrenia), di quasi l’80%.
Purtroppo, in seguito, (...) la raccolta di questi dati è cessata e la mattanza di malati e familiari, prodotta dalla legge basagliana, ha potuto essere occultata a lungo”.
Per fortuna che, negli anni successivi (esistono dati precisi fino al 2002), alcune centinaia di “madri separate”, organizzatesi in associazione, commissionarono, nel silenzio di dati statistici provenienti da fonti istituzionali, un’indagine sulle stragi familiari ad una nota organizzazione di ricerche e sondaggi, l’Eurispes. Indagine che ha portato alla “….scoperta – è sempre De Marchi che parla – di una “fossa comune” degli eccidi psichiatrici”.
Svelando che, negli anni 2000, 2001 e 2002, “In media, ci sono stati ben 180 delitti familiari l’anno”.
E che, circa il 70% dei delitti familiari “risultava consumato da soggetti squilibrati.
Ovvero, che 125 persone erano state assassinate da psicotici, cui era mancata una valida assistenza psichiatrica, che da quando era stata approvata la “Legge Basaglia” c’erano state ben 3.000 vittime tra i familiari dei malati e che, valutando statisticamente, anche le lesioni prodotte, c’erano da mettere nel conto cifre da capogiro: 6000 vittime all’anno per 25 anni, ovvero 150.000 vittime (dati che, se pure fossero errati per difetto, darebbero, comunque, la dimensione di una vera e propria tragedia).
Purtroppo, a quanto ci risulta, ancorché negli anni a seguire un’indagine sistematica non sia più stata documentalmente effettuata e portata a conoscenza dai mass-media, la situazione non è assolutamente cambiata, né con il centro-sinistra, né con il centrodestra.
Anzi, forse si è addirittura aggravata, considerato il fatto che la condizione di un familiare affetto da “follia” viene considerata una vera e propria vergogna, senz’altro da occultare nelle dichiarazioni rilasciate ai “rilevatori”, a dispetto di ogni espressa assicurazione di tutela della privacy.
Alla luce di quanto sopra esposto, ed in base al fatto che, di recente, un sondaggio televisivo ha accertato che l’80% degli Italiani ritiene urgente una profonda modifica della 180/833, nel senso che non viene chiesto il ritorno ai vecchi manicomi ma la creazione di cliniche specialistiche, come quelle predisposte per la cura specifica di altre malattie (cliniche umanizzate, così come impone il diritto di salvaguardia psico-fisica d’ogni persona e come, ancor più, esige la malattia mentale; cliniche con servizi altamente professionalizzati, agili e di rapido intervento, come quelli britannici, accompagnate da “strumenti” assai qualificati di reinserimento sociale) qualcosa sembra si stia finalmente muovendo nella giusta direzione.
Finalmente, da quando, nella Primavera del 1981, M. Luisa Zardini, prima d’impegnarsi nella “costruzione” dell’ARAP, scrisse a “La Repubblica” lamentando l’impossibilità di curare una figlia affetta da malattia mentale, in quanto il Centro di Salute Mentale (CSM) di riferimento da lei contattato in momenti di emergenza, ogni volta rispondeva che era il paziente che doveva recarsi al centro e che, senza la sua volontà, il Centro non poteva agire, e che a nulla era servito far presente che lo schizofrenico, non “rendendosi conto d’essere malato”, mai l’avrebbe fatto di sua volontà, anche con il “contributo” di garanzia della LIDU, cui l’Associazione per la Riforma dell’Assistenza Psichiatrica si è rivolta, qualcosa sembra muoversi nel verso giusto.
L’A.R.A.P., infatti, costituita, come s’è visto, da famiglie perennemente a rischio di rimaner vittime di tragedie irreparabili, famiglie cui, un arrogante sinistrismo di maniera, acriticamente schieratosi, ad oltranza e senza alcuna riserva, a favore della “Legge 180/833”, reiterava con insistenza, in modo aperto ed altamente offensivo, d’essere una “congrega di farabutti, bramosa di scaraventare i loro congiunti nel lager manicomiale”, dopo decenni di sforzi continui, atti a sollecitare le forze politiche a trovare adeguata soluzione umanitaria ad una “causa” talmente importante quanto specularmente trascurata, è giunta alle soglie del tanto auspicato risultato, ovvero ad un “approdo”, che si preannuncia, per così dire, confortevole e sicuro, nonché conforme ai desiderata ed ai bisogni delle famiglie e dei loro congiunti malati.
Infatti, dopo che, l’ARAP, nel 1987, animata da tante e tante speranze, tutte immancabilmente mortificate, è riuscita ad organizzare, presso la sala della Sacrestia di Montecitorio, con il conforto della raccolta di ben 50.000 firme di cittadini qualsiasi, che chiedevano la riforma della “180/833”, un incontro con parlamentari e giornalisti; dopo essere stata, nel 1992, tra i “costituenti” della Federazione Europea delle Associazioni dei Malati di Mente (EUFAMI); dopo aver reiterato, per anni, petizioni e petizioni a Camera e Senato ed alla stessa Presidenza della Repubblica; dopo aver ottenuto programmi televisivi e radiofonici che trattavano la causa di milioni di famiglie, in modo diretto ed indiretto, diuturnamente coinvolte nel “dramma” di oltre 700.000 malati; dopo il “famoso” sit in tenuto davanti alla Camera Alta, in occasione della prima interpellanza parlamentare in materia, presentata da un gruppo di senatori, per così dire, “informati e ben consapevoli” della delicata questione; dopo che, nel 1998, contando sulle sue sole forze ed avvalendosi di operatori qualificati, ha saputo dar vita, alla
“meglio”, ad un servizio di assistenza domiciliare; dopo 31 anni di sofferenze; dopo decine e decine di disegni di legge presentati, senza esito, anzi senza mai essere stati neppure presi in esame e discussi, nei due rami del Parlamento, sembra che, presto, grazie anche al “sostegno” della LIDU, avrà la soddisfazione di veder giungere in porto il “provvedimento” di legge di riforma della “Basaglia”.
Non a caso, sulla base di un sostanziale consenso generale, preventivamente espresso dalle diverse forze politiche, è stato presentato in Parlamento, per iniziativa dei deputati Ciccioli, Barani, Bocciardo, Castellani, Di Virgilio, Garofalo, Mancuso, Palumbo, Patarino, Porcu, Saltamarini, Scapagnini ed altri, il “Disegno di Legge”, intitolato “Disposizioni in materia di Assistenza Psichiatrica”. Disegno di legge che, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, alla quale è stato fatto pervenire, in via preliminare, sta attentamente esaminando per suggerire eventuali modifiche ed integrazioni, atte a renderlo massimamente garantista dell’incolumità, libertà e dignità delle persone cui è destinato.
Per sommi capi, il Disegno di Legge, superando ogni residua remora di conflittualità legislativa tra Stato e Regioni, ivi comprese le province autonome di Trento e Bolzano, recupera centralmente, nell’ambito di un coordinamento con i massimi enti territoriali, ogni potestà normativa in materia: coinvolge, per la prima volta, sia le “rappresentanze” organizzate delle persone affette da disturbi psichici, sia quelle che sono espressione degli operatori della salute mentale (confidiamo che, attraverso un apposito emendamento siano anche inserite rappresentanze istituzionali costituite a difesa dei Diritti Fondamentali del cittadino); recupera e garantisce ogni attività finalizzata alla prevenzione della salute mentale, in ambito scolastico, lavorativo ed a livello d’ogni situazione socio-ambientale a rischio psicopatico; prevede che i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) assumano responsabilità di centralità operativa, ai fini dell’erogazione delle prestazioni assistenziali e sanitarie in ambito ospedaliero, territoriale, residenziale e semi-resindenziale, a favore di ogni e qualsiasi persona, comprese quelle appartenenti ad altri contesti etnici; conferisce alle Regioni il compito di creare, all’interno di ogni “presidio” ospedaliero, uno spazio specifico ed adeguato per le emergenze e per le osservazioni psichiatriche, équipes mobili di pronto intervento, nonché centri di ascolto e di “orientamento” specialistico, finalizzati alla raccolta di “richieste” provenienti da pazienti, familiari, istituti ed istituzioni, e strutturati in modo tale da poter fornire adeguate e tempestive indicazioni per risolvere problematiche specifiche.
Al DSM, chiamato ad assistere il malato in fase di acuzie, impone la presa in carico, successiva al ricovero od alla consultazione, attraverso un “contratto terapeutico” con il paziente o con il suo rappresentante legale, e, ove opportuno, con i familiari che con esso convivono in modo continuativo, escludendo i casi di “accertamento sanitario obbligatorio (ASO) e di trattamento sanitario obbligatorio (TSO), che impongono d’intervenire senza preventive intese con i soggetti di tutela. Prevede che l’”osservazione clinica” non superi le quarantotto ore di degenza, che il TSO, di norma, non superi i 30 giorni (in caso di necessità, la degenza può essere, comunque, prolungata per altri 30 giorni ed oltre), che le condizioni del malato siano “verificate” e riportate, per iscritto, in apposita cartella, ogni 7 giorni, e che, al termine della degenza, siano comunicate al medico curante le “conclusioni cliniche” riguardanti la successiva assistenza da erogare.
Inoltre, il TSO, secondo il provvedimento di legge, potrà essere erogato in condizioni di degenza ospedaliera, all’interno dei servizi di diagnosi e cura, così come presso altri centri accreditati, ovvero presso il domicilio del paziente, qualora sussistano adeguate condizioni di sicurezza per lo stesso e per la famiglia.
In aggiunta, la procedura d’assistenza diventa obbligatoria quando esistano “situazioni” cliniche che richiedano un urgente trattamento terapeutico, quando non vi siano, in relazione al contesto di vita del paziente ed al suo livello di autonomia, diverse ed alternative possibilità di trattamento, quando l’assenza di un trattamento sanitario, ai fini della tutela della salute del malato, comporti seri rischi di aggravamento, al cospetto di un soggetto che, incapace d’intendere e di volere, rifiuti gli interventi terapeutici.
Viene, infine, istituito il Trattamento Sanitario Prolungato (TSOP) senza consenso, per pazienti che persistano in fase di acuzie, o che abbiano bisogno di un trattamento protratto ai fini di ricondurlo, se possibile, alla “ragione” attraverso un “percorso” terapeutico-riabilitativo di tipo prolungato.
Questo “protocollo” che ha, di norma, una durata di sei mesi e che può anche essere interrotto o ripetuto, deve essere formulato per iscritto dallo Psichiatra del DSM, disposto dal Sindaco entro 48 ore dalla trasmissione della “proposta”, nonché approvato dal Giudice Tutelare.
Nel corso del trattamento devono anche essere disposte “azioni” volte ad ottenere il consenso del paziente al programma terapeutico e la sua collaborazione.
Qualora ci si trovi, invece, di fronte ad un paziente che esprima esplicito consenso, si può far ricorso ad un “contratto terapeutico” vincolante per il proseguimento delle cure. Contratto che preveda il mantenimento degli accordi intercorsi tra il paziente, i suoi familiari, eventualmente coinvolgibili, e lo Psichiatra, cui spetta lo sviluppo del programma terapeutico-riabilitativo.
Il contratto terapeutico può sostituire il TSOP purché ne sia data preventiva comunicazione al Sindaco ed al Giudice Tutelare, che può revocare la nomina dell’Amministratore di sostegno.
In conclusione, il disegno di legge contempla che il Dipartimento di Salute Mentale, che, ai fini del reinserimento del paziente nel contesto familiare e sociale, assicura le attività riabilitative psico-sociali, con gestione, a seconda dei casi, sia diretta che indiretta, in strutture ambulatoriali o residenziali, a ciclo diurno o continuativo, oppure in “plessi” sanitari di natura socio-assistenziale, nonché attraverso interventi domiciliari, è tenuto a “verificare”, puntualmente e periodicamente, che le “attività di riabilitazione” garantiscano la qualità del percorso riabilitativo e, per così dire, gli “stati di avanzamento” verso l’auspicato traguardo di “normalizzazione” del paziente.
Speriamo che, magari emendato e corretto, in primis, secondo le eventuali “osservazioni” della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, il tanto auspicato Ddl, potenzialmente risolutivo dei gravi problemi delle famiglie italiane, fino ad oggi abbandonate, di fatto, a se stesse nella convivenza e nella cura del loro malato mentale, trovi giusta approvazione ed applicazione prima della fine della “Legislatura”.
Da noi interpellata in proposito, l’ARAP ci ha fatto pervenire queste note che testualmente riportiamo: “Nonostante tutto, un aspetto sembra quasi sfuggire ai più. Ci riferiamo alle vittime, di gran lunga al di sopra dei dati censibili, che la recente Rubrica “Report” ha confermato riguardare dieci milioni di famiglie italiane.
Sfugge il significativo aspetto che sono principalmente morte d’indifferenza, ovvero, di una omissione di soccorso lunga trent’anni. Non sono solo numeri, sono Vite Umane ed in quanto tali i Diritti Umani riguardano anche loro, uccisi da chi più hanno amato, dopo aver, per anni, “urlato nel deserto”.
Dire la verità dinanzi a tanto soffrire e tanto silenzio, è un tributo che ogni persona responsabile è chiamata doverosamente a pagare.
Contiamo tanto che sia giunto veramente il momento di porre la parola fine a questa grande tragedia.
Contiamo tanto che le associazioni di rappresentanza dei Diritti dell’Uomo continuino ad appoggiarci ed a darci speranza.
Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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