IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEI LAVORI PREPARATORI DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Nella serrata e radicale critica alla figura del Presidente della Repubblica, quale veniva emergendo in sede costituente, Vittorio Emanuele Orlando oppose soprattutto due ordini di considerazioni.
Così concepito – sosteneva l’Orlando(1) - il futuro Capo dello Stato repubblicano appariva destinato alla “esautorazione completa”, fino al punto di rappresentare meno ancora del “re travicello” proprio di certe monarchie costituzionali.
D’altra parte, nella nuova forma di governo – che Orlando riteneva spuria e non più riducibile a quella parlamentare – sarebbe stata comunque interrotta l’unità fra i massimi poteri dello Stato; e ne sarebbe risultata - di riflesso – una «inconcepibile lacuna», consistente nella fondamentale incertezza dei rapporti fra i ministri e il Presidente della Repubblica(2).
Ora non vi è dubbio che il primo argomento critico fosse eccessivo e derivasse da un giudizio troppo poco equilibrato del nuovo ordinamento costituzionale.
Disposizioni «pompose e di fastigio», rimaneva in concreto «abbastanza forte e spiccata»(3).
Già in vista del progetto elaborato nella Commissione per la Costituzione, Ruini poteva giustamente replicare che era necessario mantenere distinta la forma della sostanza; si che la posizione del Capo dello Stato, pur essendo depennate le vecchie. Nell’interpretazione del progetto, alcune ulteriori attribuzioni presidenziali vennero del resto escogitate in Assemblea, quasi per contrappesare il preteso depotenziamento del Presidente della Repubblica: come nel caso esemplare disegni governativi di legge, cui lo stesso Ruini fece un primo accenno.
Ma anche la previsione del rinvio delle leggi, in alternativa alla promulgazione di esse, fu introdotta a stretta maggioranza, subito dopo che Orlando aveva espresso il suo dissenso circa l’esclusione del Capo dello Stato dall’esercizio della funzione legislativa(4).
Ben altra è invece l’importanza che riveste, sia per chi rilegga gli atti della Costituente sia per chi abbia presenti i problemi della prassi costituzionali, il secondo motivo di censura.
Quale sarà il nesso – si chiedeva l’Orlando – che collegherà il Governo ed il Capo dello Stato? A un tale interrogativo né Ruini, né Tosato, né altri protagonisti di questa parte del dibattito, vollero o seppero rispondere alcunché di veramente preciso e significativo.
Dagli atti della Costituente si desumono alcuni punti fermi; ma essi concorrono piuttosto a stabilire quanto è stato escluso dal disegno costituzionale, che non a definirlo nell’insieme dei suoi aspetti caratterizzanti.
Si pensi al pur fondamentale ordine del giorno Perassi approvato fin dal 5 settembre 1946: per cui «la Seconda Sottocommissione …., ritenuto che né il tipo del governo presidenziale, né quello direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare…… ».
Dalle discussioni e dai voti dell’Assemblea risulta cioè consolidata questa opinione prevalente: che il Presidente della Repubblica vada collocato fuori dai tre tradizionali poteri dello Stato, non facendo più parte del legislativo (una volta eliminata la sanzione delle leggi(5)) non disponendo affatto dal giudiziario (salva la presidenza del consiglio superiore della magistratura) e non essendo né «il detentore» né «il capo» del potere esecutivo alla maniera dello statuto Albertino, come ebbe a precisare l’onorevole Ruini a nome della Commissione dei 75(6).
Ciò che più conta, si afferma la tesi che il presidente debba rimanere estraneo alla funzione di indirizzo politico, in quanto il titolare di un «quarto potere» di carattere «neutro»: tanto che Preti ripropone, ancora il 22 ottobre del ’47, l’idea che convenga sopprimere la denominazione di «Capo dello Stato» riconoscendo con ciò la preminenza del Parlamento ovvero del raccordo di maggioranza Parlamento-Governo(7).
Chi voglia stabilire quali i costituenti intendevano che fosse il compito essenziale del Presidente della Repubblica, si trova dinanzi una serie estremamente ripetuta di espressioni retoriche o comunque evocative di interventi dai contorni molto sfumati, anche per i loro spiccati elementi di novità rispetto al passato costituzionale italiano.
In questo senso, si definisce il Capo dello Stato come un «grande regolatore del gioco costituzionale» (Tosato) oppure come un «arbitro supremo», «equilibratore dei poteri dello Stato» (Ruini), con «attribuzioni di carattere prevalentemente moderatore» (Mortati); e Russo Perez, rifacendosi allo stesso Ruini assume con accentuata enfasi che il Capo dello Stato «è il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale prima che temporale della Repubblica» rappresentante «l’unità e la continuità della Nazione, la forza dello Stato, che rimane ferma ed uguale nel fluttuare e nel mutare di uomini e di partiti»; mentre Tosato ripete più volte che al Presidente spetta la «funzione fondamentale di tutore e guardiano della Costituzione». Rimane irrisolto un quesito di particolare importanza come concepire e configurare funzioni del genere.
Scarsamente conclusive si dimostrano le indicazioni ricavabili in tema di controfirme ministeriali degli atti del Presidente della Repubblica.
Su questo punto, non hanno avuto successo le insistite proposte di alcuni costituenti (principalmente di Benvenuti), affinché si esentassero determinati atti alla controfirma, e dunque dall’«approvazione o disapprovazione» del Governo, facendoli invece rientrare in una sorta di prerogativa del Capo dello Stato: come nel caso dello scioglimento delle Camere, dell’impugnativa in via diretta delle leggi e di altri fonti normative, degli atti presidenziali pertinenti al Consiglio Superiore della Magistratura, della nomina dei funzionari spettanti alla Presidenza della Repubblica(8).
Sebbene Benvenuti ammonisse che l’esercizio di certe attribuzioni avrebbe naturalmente determinato una situazione di conflitto fra Presidente e Governo, la maggioranza fu invece dell’avviso (Tosato) di considerare essenziale al tipo di ordinamento, proprio della nuova Repubblica Italiana, che l’irresponsabilità del Presidente non potesse «patire eccezioni»: donde la formula Perassi, poi riversata nel comma I dell’art. 89 Cost., per cui «nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità»(9).
Perassi, sottolineava l’indispensabilità di un effettivo concorso del Governo, sotto forma di deliberazione del Consiglio dei Ministri; Ruini affermava che il Governo non avrebbe potuto rifiutare il proprio apporto, sia pure per ragioni di mera «correttezza costituzionale»(10).
Ma le discordanze fra le varie tesi, non ricomposte né in seno all’intera Assemblea né entro la stessa maggioranza, assumono la massima evidenza nel corso dei dibattiti sulla più controversa fra le attribuzioni presidenziali: vale a dire, in riferimento ai limiti, ai presupposti giustificati dello scioglimento delle Camere.
Salvo l’emendamento Laconi, sul divieto di scioglimento del cosiddetto semestre bianco, sono state respinte tutte le iniziative miranti a restringere il potere in questione, prevenendo il pericolo di abusi: dall’idea che non dovesse essere consentito al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere se non «con il consenso espresso dei rispettivi Presidenti», all’emendamento inteso ad escludere in partenza una simile eventualità – secondo il modello della Quarta Repubblica francese -.
Domenidò ragionava del Capo dello Stato come «dell’autentico moderatore della Costituzione, capace di ravvicinare il Parlamento al paese e di dirimere il conflitto con un Governo non più rispondente alle esigenze della coscienza comune».
Analoghi equivoci sono riaffiorati in occasioni di altri dibattiti: come quando si discuteva se attribuire al Capo dello Stato, in via di «giudizio arbitrale» o quale «supremo moderatore», la facoltà di indire un referendum popolare preventivo, sia per dirimere i conflitti eventualmente insorti fra Camera e Senato dell’esercizio della funzione legislativa, sia per esimersi dalla promulgazione(11).
Salvatore Dott. Carlone
(1)Atti dell’Assemblea costituente 22 ottobre 1947, 1458.
Per altro, fin dal 10 marzo del ’47 Orlando si chiedeva :«e il capo dello stato? Ma il capo dello stato ha veramente la figura di un faineant di un fannullone, in questa prossima Costituzione», dotato com’è di una «funzione puramente simbolica e quindi come azione soltanto decorativa».
(2)Atti dell’Assemblea costituente, 23 ottobre 1947, 1468.
(3)Atti dell’Assemblea Costituente, 23 ottobre 1947, 1466.
Ma già nel discorso del 12 marzo 1947, a chiusura della discussione generale del progetto di Costituzione, Ruini ebbe a dire (pag. 2022): «Il Capo dello Stato, quale risulta del progetto, non è il fannullone che sembra all’Onorevole Orlando. L’elenco delle funzioni che gli abbiamo dato non è scarso e lieve….Basta pensare alla facoltà di sciogliere le Camere, che è decisiva». E prima ancora, del resto, era esplicita in tal senso la relazione presentata all’Assemblea il 6 febbraio 1947: «nel nostro progetto, il Presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre costituzioni». A conferma di ciò, vale anche la considerazione che alcuni costituenti (Nenni, La Rocca) nutrirono dubbi di segno opposto a quelli manifestati da Orlando, in quanto ritennero eccessivi i «diritti accordati al Presidente della Repubblica», fino al punto di ipotizzare che «il figlio spirituale di qualche Boulanger, anche senza i galloni da generale, avrebbe modo di preparare brutti giorni al Paese e gettarlo in pericolose avventure».
(4)Atti dell’Assemblea costituente, 23 ottobre 1947, 1472ss., 1481ss. Si noti che l’Onorevole Orlando prese le distanze dallo stato emendamento. Bozzi (poi concretatosi – quasi integralmente – nell’art. 74) consentendovi solo perché lo riteneva «un male minore» e non perché lo reputasse consono ad una Repubblica di stampo parlamentare. D’altra parte, ben prima che fosse presentato l’emendamento Bozzi, ad un potere presidenziale di «veto» avevano già fatto cenno, circa la formazione delle leggi, le relazioni di Mortati e di Conti, precedenti la predisposizione del progetto (Atti della seconda sottocommissione, 3 – 4 settembre 1946). E tali spunti furono quindi ripresi, in Assemblea, da arte di Baronia, di Aldisio e dello stesso Tosato, a nome della Commissione dei 75 (Atti dell’Assemblea costituente, 22 ottobre 1947, 1443ss, 1447).
(5)Tuttavia, la stessa sanzione costituì l’oggetto di approfonditi dibattiti. Ancora nella seduta pomeridiana del 22 ottobre 1947, Codacci Pisanelli intervenne per insistere che il «potere sanzione» fosse conservato al Capo dello Stato, consentendogli così di prender parte, «sia pure sotto la sola forma del controllo, all’esercizio della funzione legislativa»; ma l’emendamento presentato a questo fine fu respinto, dopo che Tosato aveva ribadito il punto di vista negativo della Commissione, salvo il diverso problema del potere presidenziale di «veto sospensivo» (Atti dell’Assemblea costituente, p. 1448s., 1450s.).
(6)Atti dell’Assemblea costituente, 23 ottobre 1947, 1467. Nel medesimo senso, erano già state molto significative alcune prese di posizione, implicitamente od esplicitamente adottate nella seconda sottocommissione: dall’immediato abbandono del progetto Conti, nella parte in cui prevedeva che il potere esecutivo fosse invece «attribuito al Presidente della Repubblica», sia pure a condizione di essere esercitato «per mezzo dei ministri» (Atti della seconda sottocommissione, 4 settembre 1946, 100), fino alla mancata approvazione dell’art. 15 del progetto, laddove si disponeva che il Presidente avesse la «facoltà di presiedere il Consiglio dei Ministri» (Atti della II° sottocommissione, I sez., 4 gennaio 1947).
(7)Atti dell’Assemblea costituente, 22 ottobre 1947, 1445ss ma già da parte di Nenni si era sostenuta la tesi che nella vita moderna di uno Stato Repubblicano la figura del Presidente potesse essere eliminata senza nessun inconveniente.
(8)Atti dell’Assemblea costituente, 22 ottobre 1947, 1441ss l’ultimo dei passi citati è relativo ad un emendamento presentato dagli onorevoli Dominerò e Benvenuti, per eccettuare in genere dalla controfirma gli atti presidenziali emanati in «via di prerogativa».
(9)Atti dell’Assemblea costituente, 23 ottobre 1947, 1490.
(10)Perassi sosteneva l’esigenza di considerare «sempre sottointeso il concorso del Governo», non potendo «il decreto del Presidente della Repubblica essere emanato, se non in conseguenza di una deliberazione del Consiglio dei Ministri»; similmente si esprimevano Einaudi e Piccioni, Per contro, Ruini obiettava che lo scioglimento avrebbe costituito «uno dei casi in cui per correttezza costituzionale la controfirma non sarà rifiutata»; nel medesimo senso avevano già concluso Zuccarini, a Rocca e Fabbri (Atti della II sottocommissione, I sez., 13 gennaio 1947).
(11)Nell’ottica di Mortati, che ne fu il promotore, il referendum alternativo alla promulgazione avrebbe potuto essere indetto dal Capo dello Stato, ma in seguito ad una iniziativa del Governo (Atti della II sottocommissione, 17 gennaio 1947, 817).
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