L'ingresso della psicologia
Da tempo, ormai, si fa appello all’ “umanizzazione delle cure”, alla “presa in carico globale”, all’attenzione per la “qualità di vita”, alla necessità di abbandonare la logica riduzionista e la specializzazione estrema degli interventi di cura, per tornare, invece, ad un approccio psico-clinico al paziente: un incontro con la persona sofferente.
Differenti e complesse ragioni, di carattere non solo storico-culturale, ma anche socio-economico, hanno contribuito a delineare il mutato scenario con cui la Sanità si confronta oramai quotidianamente.
La psicologia, all’interno di questo scenario, è chiamata ad affrontare una sfida difficile, nel promuovere una cultura della relazione diversa da quella concepita secondo il modello tradizionale, nel cercare di conciliare l’esigenza dell’ “umanizzazione” con quella di “aziendalizzazione”.
L’ingresso della psicologia negli ospedali italiani è avvenuta solamente negli ultimi vent’anni, tempo tardivo rispetto ad altre nazioni, e, nonostante sia stata accolta in modo timido nelle forme iniziali di ipotesi e di sperimentazioni, l’intervento psicologico in ambito clinico è oggi un tema di grande attualità.
Le sollecitazioni che in questi anni hanno contribuito a far emergere sempre di più l’adeguatezza, se non la vera e propria necessità di una psicologia clinica ospedaliera, sono molteplici e riguardano aspetti complessi e di differente natura. Viviamo in un’epoca ipertecnologica e iperspecialistica, nella quale forme spettacolari di intervento sul vivente e sull’organismo umano convivono con un diffuso analfabetismo sugli aspetti di fondo della regolazione del benessere psicofisico e della salute umana.
Questo analfabetismo moderno riguarda persone che ricercano sempre più un aiuto per affrontare in modo unitario malesseri e problemi fisici e psichici, ma interessa anche tutti gli operatori della salute che vivono la contraddizione tra l’aumento delle conoscenze scientifiche e la riduzione del campo di intervento psicoterapeutico.
In questo quadro, la persona che chiede aiuto sparisce come unità biopsichica e viene sostituita da segmenti sovrapposti e non relazionati, su cui si applicano le diverse competenze.
Non a caso, la frustrazione è uno dei sentimenti più diffusi tra gli operatori e deriva, per l’appunto, dal sentirsi “meccanici” del corpo o della mente, e non promotori della salute.
In un passo celebre, Gregory Bateson ha scritto: “All’interno della medicina c’è una conoscenza straordinariamente scarsa del corpo visto come un sistema auto-correttivo organizzato in modo cibernetico e sistemico e le sue interdipendenze interne sono scarsamente comprese”.
Si tratta, perciò, di una realtà complessa, fortemente influenzata dal contesto socioculturale di riferimento e che comprende aspetti di natura fisiologico-organica e psico-sociale, così come riassunto nella definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stessa ne ha dato: “stato di benessere fisico, psicologico e sociale”.
In questa sede, premessa l’importanza e le difficoltà che emergono nell’affrontare la tematica in esame e, rappresentando quest’ultima un fenomeno dai contorni ancora poco nitidi, si tenta di inquadrarla e di individuare gli effetti maggiormente visibili e di naturale primaria importanza che produce sui pazienti.
Nel primo capitolo, in particolare, si cerca di dare una definizione di neuropsicologia: una disciplina scientifica che studia i deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali causati da lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale.
Ogni volta che il mondo circostante muta, anche di poco, il nostro organismo deve essere in grado di percepire tale modifica e di elaborare una risposta adeguata, la quale è determinata da meccanismi fisiopatologici messi in moto dal sistema nervoso.
Per questo motivo ci si sofferma, per di più, sulla complessa organizzazione del sistema nervoso e sui principali disturbi psico-patologici determinati dalle sue disfunzioni: disturbo della programmazione motoria, disturbo della rappresentazione del corpo e disturbi video-spaziali.
Di ogni disturbo si sottolinea l’importanza delle afferenze sensoriali e periferiche per la percezione del proprio corpo e delle sue attività.
Nel secondo capitolo si intende dare un panorama della stimolazione neuropsicologica e della relazione integrata presente tra psiche e sistemi biologici.
Molteplici sono le influenze dei sistemi biologici sulla psiche, dall’attività fisica al cibo alla parola, e tutti risultano essere determinanti nelle modificazioni psichiche di ogni paziente.
Il terzo capitolo è invece dedicato ad una nuova forma di intervento psicoterapeutico: la psicologia clinica ospedaliera.
Viene evidenziato il ruolo dell’infermiere ed il rapporto che instaura con il paziente: la difficoltà della relazione risulta scaturire principalmente da una carente comunicazione, che emerge specialmente nei pazienti con forti deficit neurologici e dunque incapaci di esprimersi verbalmente.
Emerge così l’importanza della comunicazione non verbale e delle tecniche idonee per metterla in atto.
Ma quanto può essere complesso tollerare i cambiamenti ed accettare le diversità legate alla malattia e alla sua gestione terapeutica?
Si è così ritenuto opportuno discutere circa il “counseling sanitario”: un intervento che nasce con lo scopo di far emergere e potenziare le capacità adattive e le risorse individuali della persona malata e dei familiari, nonché di incrementare le capacità comunicative degli operatori sanitari.
In questo modo, la relazione infermiere-paziente avrà una nuova chiave di svolta, tanto da divenire un vero e proprio strumento terapeutico.
Infine, l’ultimo capitolo, mette a confronto due esperienze vissute con due pazienti: Germano B., un paziente della rianimazione dell’ospedale M.G. Vannini di Roma, e Luciano M., paziente soccorso a domicilio e trasferito nell’ospedale S. Eugenio di Roma.
Esperienze differenti che fanno riflettere, in modi diversi, all’importanza della consapevolezza di “esserci” e di voler combattere la malattia.
Germano è l’esempio eclatante di quanto detto fin’ ora; durante la sua degenza non ha mai smesso di dimostrare la forza e la volontà di esprimere tutti i suoi pensieri mediante carta e penna.
Li teneva sempre con se, perché rappresentavano per lui un senso di sicurezza e di partecipazione attiva alla sua situazione clinica, per poi diventare elementi determinanti della sua guarigione.
Luciano, al contrario, si è lasciato andare alle sofferenze della malattia, tutte le sue forze le ha riposte nell’amore per la moglie, nell’esserci li accanto a lei ogni giorno, nonostante la sua malattia si facesse sempre più aggressiva. Ma a lui, tutto questo, non ha mai spaventato.
Entrambi i pazienti, pur in modi diversi, sono riusciti a trasmettere l’importanza di combattere, di utilizzare tutte le forze rimaste per raggiungere un piccolo miglioramento e soprattutto sono stati in grado, con i loro risultati, di darne la prova certa e reale della loro importanza.
Seguono, poi, le conclusioni in cui si rappresentano gli elementi di sintesi della tematica trattata, soffermandosi, in particolar modo, sulle indagini empiriche svolte.
Martina Dott.ssa Cordeschi
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE – ROMA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA “A. GEMELLI”
ISTITUTO FIGLIE DI SAN CAMILLO
SCUOLA “PADRE LUIGI TEZZA”
CORSO DI LAUREA I LIVELLO IN INFERMIERISTICA
Tesi di laurea
Il pensiero è azione: stimolazione neuropsicologica come strumento di assistenza
ANNO ACCADEMICO 2011-2012