Pane
Tra le testimonianze più antiche connesse al pane ed alla panificazione vera e propria sono quelle della civiltà Egizia, in essa la prima panificazione venne fatto con l'orzo, che assieme al miglio era la più antica graminacea conosciuta dall'uomo. Quale sia stata la patria del grano non si sa con certezza, si avanzano varie ipotesi: l'Asia Minore per i grani teneri, l'Africa Orientale per quelli duri, Strabone dice l'India, Diodoro Siculo la Sicilia. Nelle anfore delle piramidi furono rinvenuti chicchi di grano, che gli Egizi attribuivano alla generosità della dea Iside; sarebbe stata lei ad insegnare alle donne a macinarlo, pestandolo tra due pietre, e a impastare la farina con i piedi.
Nell'antico Egitto il lavoro del fornaio veniva considerato una professione, il pane cotto nei forni rappresentava una moneta di scambio ed in un catalogo del Nuovo Regno (oltre il 1000 a.C.) si enumerano almeno quaranta varietà di pani e di dolci. Anche nell'antica Grecia il pane rivestì un ruolo molto importante nell'alimentazione, tanto da essere oggetto di culto, rappresentato da una dività femminile, la dea Demetra, ossia la madre Terra o dea del pane. Il pane in Grecia divenne un alimento diffuso indipendentemente dal gruppo sociale di appartenenza: la "focaccia" a base di orzo era destinata ai poveri, ma altri tipi di pane furono vari e raffinati. Sembra che i pani prodotti in Grecia antica fossero circa una sessantina, con i nomi legati alle forme, ai tipi di cereali impiegati, agli ingredienti, alle modalità di cottura e soprattutto ai riti a cui erano destinati.
Tra i pani greci più famosi erano: “olyra” preparato con farina di segale, “condrite” fatto con farina di spelta, “syncomitos” di farina di frumento, “semidalis” pane di lusso privo di lievito e dal colore bianco candido. I Greci istituirono i primi forni pubblici e delle associazioni di panificatori con precise regole di lavoro. Importata in Italia dalla Grecia, circa nel III° sec. a.C., l’arte della panificazione diventò presto un rituale religioso, e Demetra la madre terra greca(Ved.), si indentificò in Cerere la dea bionda, in onore delle quale verrà dato il nome alle spighe di grano di cerealis cioè sacre a Cerere. Questa nuova “dea della crescita” veniva celebrata in coppia con Bacco, dio della fecondazione e delle vigne, e le feriae seminativae(feste della semina a loro dedicate), erano occasione di banchetti e libagioni di vino.
Quello di Cerere diventò da subito un culto popolare: i plebei le dedicarono un tempio sull’Aventino, venerandola insieme alla figlia Proserpina(dea dell’oltretomba) ed a Bacco, nella cosiddetta Triade Plebea, contrapposta a quella Capitolina di Giove, Giunone e Minerva, simbolo del potere nobiliare. Come già in Grecia, dove insieme ai primi chicchi di frumento, la dea aveva donato agli uomini la giustizia, anche a Roma le pratiche agricole si legarono a quelle civili, sancendo un legame indissolubile fra i tempi dei campi e i tempi della città. Secondo la interpretazione mitologica classica, l’alternanza della stagione fredda e sterile con quella calda e opulenta, (fasi della vita del frumento: quattro mesi di riposo per le sementi, otto mesi dalla semina alla mietitura), dipendeva dal dispiacere causato a Cerere per il distacco periodico ed obbligato dalla figlia Proserpina. Il grano assumeva così valore di cibo sacro, addirittura di viatico per accedere al mondo degli Inferi: fu ad una focaccia di farina impastata con erbe e miele, che Enea ricorse per addormentare Cerbero, custode infernale, ed entrare nell’aldilà, come racconta Virgilio nel VI libro dell’Eneide. Il tema virgiliano del pane quale legame fra i due mondi, ricorre frequentemente nella tradizione religiosa popolare e nelle narrazioni fantastiche, successivamente, con il cristianesimo, diventerà ulteriore simbolo di nutrimento spirituale.
Dal libro "Culti misteriosi ed orientali a Pompei" di Antonio Virgili
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