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Friday, November 15, 2024

Il posto di Francesco Jovine nella narrativa italiana

risveglio

IL POSTO DI FRANCESCO JOVINE NELLA NARRATIVA ITALIANA

Da «Un uomo provvisorio», a «Signora Ava», a «Le terre del Sacramento» - La «questione meridionale» e la lotta dei contadini per il possesso della terra - Graduale conquista della realtà.

CAMPOBASSO, settembre,

Domenica scorsa, in occasione del Premio Giornalistico Nazionale «Francesco Jovine», a Campobasso, Natalino Sapegno, nel suo discorso commemorativo, ha puntualizzato gli aspetti più importanti dell'opera dello scrittore molisano e precisato anche il significato che essa assume nella nostra letteratura contemporanea.

L’opera di Jovine si svolse su un piano appartato, personale e remoto: le sue radici sono al di là e al di fuori delle poetiche contemporanee.

La sua prima opera, per esempio, Un uomo provvisorio (1934), sembra nasca e s'inserisca nella polemica allora in atto tra calligrafi e contenutisti, ma in realtà i suoi fondamenti vengono da molto più lontano: certo, la evidente adesione ad una narrativa attenta alle cose, il rifiuto del frammento, del lirismo e dell'autobiografismo legano l'opera a taluni aspetti della cultura del tempo, ma i legami riguardano la parte esteriore e più ingenua e debole del libro, quella per cui esso rimane opera di un novizio: la parte più autentica nasce invece da un fondo che ha le sorgenti in un'esperienza personale e istintiva.

E da qui affiorano gli elementi che poi risulteranno essenziali della sua narrativa: il motivo dello studente povero che faticosamente s'inurba e che poi, deluso, ritorna e riprende il suo destino autentico nella sua terra e nella sua condizione sociale d'origine: il motivo della terra contadina, della terra avara: e quello della vita provinciale arida, vuota, oziosa.

Le radici di questo insieme di temi, che sorgono fin dall'inizio e ritornano poi sempre nella sua narrativa in un processo di approfondimento e di arricchimento di una sostanza primordiale di poesia, occorre ricercarle nella umanità e nella cultura di Jovine: acquisite l'una nel corso dì una formazione dura, stentata laboriosa, che passa per le fasi di istitutore nei collegi, di maestro elementare, di direttore didattico: l'altra attraverso la lettura delle pagine di meridionalisti quali Fortunato e Dorso o, risalendo

più indietro, dallo studio dei grandi teorici dell'illuminismo meridionale Galanti e Genovesi.

Tuttavia, anche il primo libro che gli dà fame, Signora Ava (1942), è al suo apparire frainteso: s'insistette allora sul tono favoloso che sembrava involgere il libro e collocarne gli eventi in un passato indefinibile e conferirne al tessuto un tono lirico.

In realtà, il tono favoloso rappresenta una sorta di maschera analoga a quella che sarà la funzione del tono epico, corale, dell'opera maggiore: dove, cioè, il tono epico rappresenta lo strumento della sua ironia, della sua capacità di distacco da una materia che, per essere autobiografica, non è nemmeno lo specchio di una realtà che egli vuol rappresentare.

Tenendo presenti Le terre del Sacramento, ci si accorgerà difatti che in Signora Ava, dietro il tono distaccato, c'è un tessuto ideologico molto preciso: il senso delle stratificazioni sociali, una visione molto netta delle differenze di ciascun ceto e dei rapporti sociali diversi.

In uno scritto che precede Le terre del Sacramento («Come ho visto la società meridionale», ora nel volumetto pubblicato dal Comitato Promotore del premio, Viaggio nel Molise), Jovine descrive le varie manifestazioni della società meridionale, tutte condizionate da quello che è il problema centrale: il possesso della terra. E questo, dice Sapegno, chiarisce come anche il romanzo Le terre del Sacramento nasca sulla linea

di una personale ricerca dell'autore piuttosto che rispondere a certe esigenze di rinnovamento dei contenuti secondo proponeva il neorealismo. Perciò, Sapegno confuta che il romanzo sia riconducibile a quella poetica: il suo realismo non nasce da sollecitazioni momentanee, ma viene da più lontano, da un assiduo intenso processo di personale acquisizione di cultura attraverso cui lo scrittore realizza direttamente il suo legame con la tradizione letteraria.

Per una giusta valutazione di Jovine, occorre sottolineare, insiste Sapegno, questo senso di una attività che si svolge sempre coerente dall'inizio fino a che è spezzata dal destino, proprio quando sembra promettere di più. E occorre caratterizzare in lui la capacità progressiva della presa di coscienza dei suoi mezzi e dei suoi limiti: assunzione di coscienza che si realizza in una assidua operazione di graduale conquista della realtà. La conquista della realtà in Jovine è, afferma il critico, prima che un modulo di narrazione, un fatto di pensiero, attitudine a cogliere la realtà in tutta la sua pienezza, e nella sua interna dialettica.

Questa conquista in Jovine ci fu e sì fondò sempre sull'ambizione di un'opera di grande respiro, che non si chiudesse nell'esame di un proprio mondo interno, né si contentasse di ritrarre la realtà di superficie, ma che movesse da una complessità di temi con l'intento di rappresentare la realtà integrale.

Armando La  Torre

 

Questa ambizione in Jovine nasceva su due presupposti: di una esperienza umana intensamente vissuta e dì una non comune formazione culturale.

Ed è ambizione di cui oggi pare si sia smarrito il senso, poiché, dice Sapegno, l'attività letteraria sembra avviata a corrompersi e a disgregarsi nelle operazioni degli sperimentali che, per perseguire una «moda», sì precludono la possibilità dì richiamarsi al «modello» di Jovine come a «un segno di tendenza», a una «direttiva potenziale», a una «linea» per una valida attività culturale.

Sapegno, dunque, riafferma la validità del realismo letterario di Jovine e, per questo, giustamente si preoccupa di sottrarre la sua opera alle «mode» letterarie, a chi la contrasta ma pure a chi se la appropria. Alla gran guardia rimprovera la sordità nei confronti degli scrittori che non rientrano nei canoni dello sperimentalismo: al neorealismo deteriore contrappone la validità della ricerca di Jovine che fu scrittore impegnato, ma al dì là di ogni schema e di ogni formula, perché seppe trovare forme nuove e moderne per il suo moderno messaggio di rivoluzionario.

Per questo conclude Sapegno, l'opera di Jovine conserva ancora oggi la sua forza e la sua validità: per questo allo scrittore molisano è riservato il destino che tocca ad ogni grande scrittore: quando il messaggio umano, che la sua opera comporta, viene interamente assorbito, assimilalo nella storia, allora egli diventa «classico».

Armando La  Torre

 

Da: PAG. 16 / c u l t u ra l’U n i t à / giovedì 14 settembre 1967

LETTERATURA

Lo scrittore molisano ricordato da Sapegno

nel diciassettesimo anniversario della morte

Immagine:morguefile

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