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Disse la madre al figlio
Mi sei venuto in grembo,
disse la madre al figlio,
come meteora caduta dal cielo.
In me sento il tuo cuore pulsare
ed un vento di galassie lontane.
Occhi vedo di colore zaffiro
intrisi di luce divina.
Ti donerò il mio sangue,
ma tu non recidere
il cordone che lega
alla placenta primeva,
alla vivida fonte, all’essenza
da cui tutti veniamo.
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Prendi là tutto l’amore,
non basteranno il mio latte e il mio seno.
Dalla stirpe tradito
dei tuoi simili nati,
dei Giuda di se stessi,
della civiltà pirata,
sarà l’odio il tuo dio
e lo maledirai.
Questo mondo non è come speravi                                                                   Â
e allo scoperto piangendo verrai.
Ti vieteranno pian piano
di giocare perfino,
perché il gioco, diranno,
crea irresponsabili,
individui asociali.
Ladri d’amore!
Blasfemi che ignorano
quanto forti e coscienti
renda il gioco dei bimbi
e quanto smidollati
la serietà degli adulti
presi nel ludo vacanziero!
Fa’ scorta, bimbo mio, della tua fede,
del gioco costruttivo
e cresci nel mistero da cui vieni,
nell’azzurro di quel mondo
che hai goduto finora a piene mani.
Lava le tue ferite
con la tua sola acqua sorgiva.
E colma questo grembo dei tuoi cieli,
donami il coraggio
di parlare con me stessa
come tu fai e sempre più farai,
sfidando chi ti darà del pazzo. Tu
non credergli mai. Vuole
soltanto succhiarti l’anima
e teme di vederti
padrone di te stesso
come tua essenza vuole.
Vivi secondo regole del mondo,
ma vai sempre oltre,
da amico di te stesso,
come intrepido eroe.
Salpa in cerca dell’isola astrale,
verso la dolce Penelope
che sempre e giammai troverai.
Se poi sarai bellezza giunonica,
il talamo cura per il tuo eroe
e al suo fianco spingilo
a cercarti lontano.
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Franco Campegiani (della sua ultima silloge, "Ver sacrum", edita da "Tracce
edizioni" di Pescara)
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