In memoria ad Antonio Gelsomino
Tuesday, December 03, 2024

Narrativa di Jovine

fioreverde

LE TERRE DEL SACRAMENTO

Nella narrativa di Jovine appaiono evidenti alcune tematiche che ritornano dalle prime giovanili prove fino all’ultima, la più alta e matura. Le terre del Sacramento; e tale fedeltà non è segno di povertà immaginativa, al contrario denota un impegno profondamente radicato nella vita interiore, sentimentale e intellettuale.

Attraverso le opere, lo scrittore chiarisce a sé, prima che agli altri, il rapporto tra l’identità del provinciale colto, in cerca di un ruolo nella società, e quella contadina, chiusa in un secolare immobilismo.

I due poli non sono inconciliabili e dispersivi bensì intrecciati e compresenti nella specifica individualità dell’autore, che percorre un faticoso e interiore cammino di indagine razionale sia sulle radici della dolorosa realtà quotidiana della terra di provenienza, il Molise, sia sulle direzioni da seguire nella propria missione di intellettuale.

Nelle ultime creazioni è finalmente raggiunta la sintesi a lungo ricercata tra i due aspetti di fondo della sua persona morale ed artistica.

BERLUE’

Stabilitosi a Roma dal 1925, Jovine conquista una certa notorietà con alcune novelle, un libro per ragazzi (Berluè, 1929) e soprattutto gli articoli critici sulle riviste Quadrivio, I diritti della scuola. L’Italia letteraria.

Berluè, strutturato sullo stampo del Pinocchio di Collodi, è opera trascurabile, di nessun interesse tematico o stilistico, da considerare solo nell’ambito dell’esperienza didattica dell’autore.

IL BURATTINAIO METAFISICO

Vale la pena, invece, di accennare ad un primo tentativo di proposta teatrale, risalente al ’28-’29, la commedia in quattro atti Il burattinaio metafisico.

Scritta per il “Teatro sperimentale” diretto da Anton Giulio Bragaglia, viene da questi apprezzata per la vivacità del gioco scenico, l’uso del “grottesco”, la disinvoltura del dialogo, ma non è rappresentata e lo stesso Jovine non deve valutarla più di un esperimento poiché non vuole mai pubblicarla e non ne fa cenno nei suoi profili autobiografici.

Il testo è stato meglio studiato e inquadrato dalla critica più recente (E. Ragni, F. D’Episcopo); si profila come interessante documento del periodo formativo e sperimentale vissuto dall’autore che, attraverso l’arma dell’ironia, esprime il rifiuto della commedia borghese, del pirandellismo allora in voga, del teatro intimista, non senza punte polemiche sulla psicanalisi.

La trama non è complicata: Gemma Siderea, la protagonista, è un’attrice celebre e annoiata. La finzione scenica le ha fatto perdere identità, a forza di incarnarsi in tanti personaggi diversi. E’ stanca anche dei suoi amanti, per cui invita, nella villa di Posillipo, il “burattinaio metafisico”, uno strano tipo di psichiatra, che intende rappresentare dei “soggetti” allegorici.

Il burattinaio, in effetti, è un noto critico teatrale, Darlemi, che ha imbastito il grottesco stratagemma per dichiararle amore e fuggire con lei. Siderea se ne innamora e quindi “si salva”.

L’opera risente di qualche squilibrio e dispersione e Jovine non sa ancora contrapporre una proposta costruttiva alla denuncia che muove sui mali della coscienza contemporanea, tuttavia già pone l’accento sul motivo dell’“autenticità”, - nell’arte come nella vita -, sul grosso tema della falsificazione dell’essere umano in una società alienante e contraddittoria.

Ulteriore rilievo assume la commedia per il “filo diretto” di correlazione con il romanzo Un uomo provvisorio.

A riguardo, Francesco D’Episcopo sviluppa un’accurata esegesi critica che, nel sottolineare “gli intimi rapporti di complementarità e interdipendenza” delle esperienze narrative e teatrali nel primo Novecento, propone una “lettura incrociata” tra Il burattinaio metafisico e Un uomo provvisorio, elaborati da Jovine quasi contemporaneamente “in quel faticoso processo di conquista di una identità intellettuale, che egli sin dai lontani anni Venti tentava”. La parabola dello scrittore e dei suoi personaggi è protesa ad un “ciclico” ritorno alla vita, alla sua più profonda umanità, cioè alla sincerità. “Il centro resta alla fine l’uomo, la sua umanità, soprattutto la sua sincerità, la sua capacità di garantire un progresso, prima e oltre che scientifico e tecnico, morale”.

(cfr. F. D’Episcopo, introduzione a Il burattinaio…., op. cit. p.94. Il critico ha curato la pubblicazione delle due commedie inedite, Il burattinaio metafisico e Giorni che rinasceranno, e delle cronache teatrali di Jovine apparse nel ’45-’46 sul periodico La nuova Europa).

 

Tratto da:

Francesco Jovine

Redatto a cura di: Anna Maria Sciarretta Colombo

Con la collaborazione di: Miranda Jovine Tortora

Della F.I.D.A.P.A (Federazione Italiana Donne Arti Professioni  Affari) Sezione di Termoli (CB).

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