VIAGGIO NEL MOLISE
Nel ’41, dopo lunghi anni di lontananza dalla sua regione, Jovine vi ritorna come inviato speciale del Giornale d’Italia e scrive, per la rubrica “In viaggio verso il Molise”, una serie di undici articoli. Solo nel 1967 saranno pubblicati in volume (F. Jovine, Viaggio nel Molise, a cura di Nicola Perrazzelli, Casa molisana del libro, Campobasso), contribuendo a richiamare l’attenzione dei critici sull’autore e a farlo conoscere presso un pubblico più vasto. N. Perrazzelli la definisce “la più molisana delle opere di Jovine”, poiché consente di individuare alcuni momenti-chiave della biografia umana ed ambientale del Molise.
Jovine è tra i primi scrittori italiani a sentire un’esigenza di modernità, a promuovere una letteratura rinnovata dal contatto con i problemi quotidiani del vivere. Su questo piano la nostra cultura si muoverà nel dopoguerra: egli era in tale direzione negli anni ’30-’41, quando lavorava al romanzo Signora Ava. Gli articoli del Viaggio nel Molise contengono in sè la poetica delle opere posteriori, da Signora Ava alle Terre del Sacramento, con le quali Jovine affermerà e maturerà la sua robusta tempra di narratore.
Il Molise è punto di riferimento costante negli scritti e nella memoria; tuttavia, tornandovi dopo un’assenza tanto prolungata, Jovine ha un doppio intento: sia confrontare l’immagine favolosa - scaturita dai racconti paterni o dai personali ricordi e nostalgie -, con un’immagine attuale e diretta della sua terra, sia verificare la validità dei giudizi che aveva elaborati sulla realtà meridionale tramite lo studio di autorevoli specialisti in materia come G.M. Galanti, G. Fortunato, I. Petrone.
La vita molisana, profondamente contadina, aveva animato il suo mondo giovanile, si era via via integrata alla creazione letteraria e ora si ripresentava al suo sguardo come umanità dolente, con un ritmo di esistenza faticosa, con vicende spesso dolorose, per esempio la necessità di emigrare.
Inizia il servizio con il tono brioso del giornalista che deve dare un resoconto immediato dell’esperienza di viaggio e subito dopo ne assume uno più meditato, indagatore e consapevole, riuscendo a scrivere, anche sotto il profilo artistico, alcune delle sue pagine più belle.
Jovine riconosce la regione, - atavicamente legata ad un dramma di solitudine e miseria -, da certi tratti geografici che la rendono inconfondibile.
Nel primo articolo, Andreo di Caianello, precisa che la gaia piana di Venafro, con i “campi grassi, irrigui”, ricchi di vegetazione, con strade diritte, “non è ancora il Molise”.
“Quando incontreremo le prime ulivelle magre, solitarie, in bilico su i dirupi con i rami stenti, tormentati dalla bufera, allora saremo in contado del Molise”.
Le immagini naturali, nel corso dei vari articoli, valgono a sottolineare che la realtà ambientale “difficile, aspra”, è stata regolata dal tenace lavoro dell’uomo, in uno stretto rapporto di geografia con economia.
Altrettanto netta è la dipendenza tra economia e psicologia: “il contadino molisano è ordinariamente taciturno”; ha un “attaccamento fisico alla terra”, ha per essa “una sorta di doloroso amore”, mentre non ha tempo e non trova parole per dialoghi sentimentali con la propria donna.
Il destino del molisano è vincolato a quello della terra in una vicenda altalenante di contrasti e conciliazioni, in cui a volte è il contadino a primeggiare sulla terra e a volte è la terra che si rivale su di lui; ne consegue che i sofferti legami del contadino col “pezzo di terra” sono “di tenerezza e di repulsione, di amore e di odio”.
Jovine indugia sui rilievi psicologici molto più che sulle notazioni paesaggistiche dimostrando che è sempre meglio orientato a cercare una dimensione storica, economica e sociale ai problemi della sua gente. Le note sulla psicologia individuale del contadino gli permettono di chiarire la stessa vita comunitaria, - dalla famiglia al villaggio -, con riferimenti ora al mito ora all’attualità storica.
Da uomo colto e sensibile qual era, non poteva non usare i toni dell’ironia di fronte a certi risvolti della provincia, ma per lo più prevale la partecipazione accorata alla vita dei cafoni, che si svolge sempre uguale e dura, in una regione isolata, tagliata fuori dalla rivoluzione industriale, con un’economia arcaica, - quella di una povera agricoltura cerealicola e di un sapiente artigianato-, senza un grande centro urbano, con sporadici agganci alla capitale, - Napoli prima e Roma poi -.
Il linguaggio degli articoli è limpido e preciso, con immagini intense ma sobrie, onde evitare sia l’enfasi retorica sia il vagheggiamento idillico.
Tale mirabile misura dello stile è la voce espressiva del profondo e schivo amore dello scrittore per la terra d’origine.
Tratto da:
Francesco Jovine
Redatto a cura di: Anna Maria Sciarretta Colombo
Con la collaborazione di: Miranda Jovine Tortora
Della F.I.D.A.P.A (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) Sezione di Termoli (CB).
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