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Thursday, November 21, 2024

Da Caporetto a Vittorio Veneto - Il 1917 anno critico per l'intesa

battaglie-1916

Il 1917, anno critico per l’intesa

Il 1917 è l’anno più duro e difficile della guerra, non soltanto per l’Italia, ma per le potenze belligeranti in generale.

Le origini dei cedimenti del ’17 risiedono nelle sanguinose, estenuanti battaglie del 1916 caratterizzate da impressionanti consumi ed usure di materiali e di mezzi, da perdite umane terrificanti. Al termine delle carneficine di Verdun (378 mila morti, feriti o dispersi francesi; 336 mila tedeschi), il bilancio è sconsolante, opprimente: nessuno dei contendenti è riuscito a conseguire risultati strategici di qualche rilievo! I due blocchi contrapposti, nel valutare la pesante situazione venutasi a creare, concordano circa la diagnosi: il sostanziale equilibrio di forze stabilitosi in campo, renderà sempre più ardui i tentativi di infrangerlo. Divergono invece completamente le terapie prescelte dai contendenti:

i francesi (che decidono a nome dell’intesa) credono ancora fermamente nella vittoria, sebbene comincino a preoccuparsi di non riuscire ad alimentare adeguatamente la lotta. Di fronte al profilarsi di una “crisi degli effettivi”, domandano l’impegno massimo di tutti per una vittoria terrestre non soltanto decisiva, ma anche sollecita sui fronti giudicati più importanti: quello francese e quello italiano;

 

i tedeschi, ormai disposti ad accettare una pace senza vincitori né vinti, decidono invece di tendere a paralizzare le forze morali prima di quelle materiali dell’avversario, ricorrendo all’inedita “strategia indiretta”: le loro armi più efficaci dovranno essere quelle subdole ed insidiose della guerra sottomarina indiscriminata e della propaganda pacifista.

Gli avvenimento del 1917 dovranno dare ragione alla scelta operata dalla Germania, che giudica le sorti del conflitto ormai legate più alla saldezza dei fronti interni che non all’arditezza ed all’intensità degli sforzi offensivi terrestri.

Nel quarto anno di guerra (terzo per l’Italia), la stanchezza e lo scoraggiamento serpeggiano ormai fra i soldati e le popolazioni degli opposti schieramenti; non sarà difficile esasperarli e farli dilagare in campo avverso. I blocchi navali e gli attacchi sottomarini atrofizzano il flusso dei rifornimenti dai mercati extra-europei, mentre i richiami hanno già indotto la mano d’opera e di conseguenza la produttività delle fabbriche e dei campi; la produzione di guerra deve essere intensificata ovunque a scapito della produzione di pace; si accentuano anche per le popolazioni civili i disagi connessi al prolungarsi del terribile scontro armato che nelle previsioni ottimistiche dei politici e dei militari avrebbe dovuto concludersi rapidamente – Più frequenti divengono le manifestazioni di protesta, gli scioperi, le diserzioni.

I combattenti continuano a dar prova di disciplina e di valore, ma dopo gli iniziali entusiasmi, qualcuno comincia a domandarsi se tanti sacrifici e sì gravi perdite trovino ancora giustificazione o non costituiscano invece “inutile massacro”(x).

La “strategia indiretta” dei tedeschi, applicata su un terreno psicologico così propizio, non tarda a dare frutti copiosi. Prima e più che altrove, i cedimenti morali si verificano nell’Impero degli ZAR ed in Francia:

in Russia, dove il fronte interno è già scosso dalle  mutilazioni del territorio nazionale, malgrado oltre due milioni di morti. La prima rivoluzione di Kerenskj è dall’inizio di marzo 1917; la nuova rivoluzione di Lenin porterà in ottobre al disfacimento completo dell’esercito;

in Francia, dove la delusione per il completo fallimento dell’offensiva Nivelle (aprile-maggio) provoca ammutinamenti e disordini: interi battaglioni tentano di marciare su Parigi, per portarvi la rivoluzione(xx).

L’Italia, potrà rimaner a lungo immune da cedimenti? In tutte le nazioni più duramente impegnate, nel corso del 1917 la stanchezza e lo scoraggiamento determinano rifiuti di obbedienza, diserzioni ed anche ammutinamenti. Dopo ogni sconfitta, specie se pesante, le autorità militari e quelle politiche si palleggiano le responsabilità, scambiandosi accuse reciproche.

Alle autorità politiche viene in genere elevato addebito di interferire dannosamente nella condotta delle operazioni militari e di tenere al contrario atteggiamento fiacco e tollerante di fronte al dilagare della propaganda pacifista (o addirittura disfattista), della borsa nera, della corruzione in genere.

Alle autorità militari viene sovente rivolta accusa di aver perduto la fiducia dei subordinati e di emanare ordini poco meditati, talvolta ineseguibili, in conseguenza di un eccessivo distacco e di una scarsa sensibilità riguardo i sacrifici dei combattenti di prima linea. Distacco e scarsa sensibilità che si sarebbero tradotti – si sosteneva – in:

insufficienza degli avvicendamenti dei reparti in linea; dei turni di licenza, delle misure di assistenza e benessere;

eccesso di severità nelle sanzioni disciplinari; nelle denunce e nelle pene, nella destituzione di comandanti di battaglione e di reggimento.

 

 

(x) Un ufficiale italiano così descrisse la logorante e deprimente vita di trincea: “Piove, piove, piove. Si diguazza nel fango, si respira nebbia. Gli abiti sono sempre inzuppati; le tende, le baracche, le tane distillano acqua. Di notte si cammina sotto uno scroscio senza fine… Quando vedo i soldati scendere dal monte carichi di assi o di filo spinato e li vedo cadere, alzarsi e proseguire il cammino, comprendo cosa sia la fatica…”.

“La fatica  che uccide e che martirizza rimarrà, fra le impressioni di Oslavia, la dominante; resistere al proprio posto vedendo nell’avvenire una nebbia più fitta di quella che ci separa dal nemico, resistere nella trincea avanzata, sapendo che si è una sentinella perduta di fronte al nemico, resistere senza poter valutare l’importanza della posizione che si difende; resistere con una malinconia senza nome in questo fossato di fango che si chiama trincea… ricordarsi di essere stato fino a ieri un uomo con un lavoro proprio, una famiglia propria, una responsabilità propria, ed essere ora un numero nel fango, consapevole del proprio sudiciume che non si lava, della propria stanchezza che prostra, del proprio avvilimento che toglie l’intelligenza, questo è…. Il martirio di Oslavia”.

(xx) In Francia, dal maggio al luglio 1917, il bilancio delle condanne per ammutinamento è stato di 277 condanne a morte, di cui 25 eseguite.

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