Il 1918, anno della vittoria
All’inizio del 1918, la situazione dell’intesa non appariva entusiasmante: l’esercito russo ha abbandonato il campo, l’inglese ed il francese sono duramente provati, quello italiano, non meno provato, è destinato a sostenere da solo – dopo il cedimento dell’esercito serbo nel 1915 e di quello russo del 1917 – l’intero peso della potenza austro-ungarica. Unico elemento incoraggiante, l’afflusso in Francia di forze statunitensi, al ritmo di 20-30 mila uomini al mese (successivamente si intensificherà).
Non meravigli quindi che gli Imperi Centrali cerchino una rapida decisione della lotta: tre offensive tedesche sul fronte francese; la grande offensiva austriaca del 15 giugno dall’Astico al mare Adriatico.
Le offensive primaverili tedesche alla fronte francese (in Piccardia ed in Fiandra, 21 marzo - 25 aprile, nonché nella Campagne, 27 maggio - 13 giugno) colgono importanti successi, ma per insufficienza di forze non raggiungono la decisione.
In Italia dopo Caporetto tutto il paese s’è scosso, sente veramente la guerra come responsabilità di tutti i cittadini, che coinvolge anzi l’avvenire dell’Europa e del mondo. Vittorio Emanuele Orlando assume la presidenza di un governo di unione nazionale, gli onorevoli Turati e Treves, socialisti, incitano il proletariato alla resistenza*.
Le operazioni militari italiane nella primavera del 1918 non sono appariscenti, perché l’industria deve anzitutto reintegrare gli agenti quantitativi di artiglieria, di mitragliatrici, di munizioni, di materiali vari consumati o andati perduti nella ritirata e nella battaglia d’arresto (dal novembre ’17 al maggio ’18 vengono ricostruiti, non solo unità varie di supporto, ma intere brigate di fanteria e reggimenti di artiglieria da campagna). Non di meno, in attesa di poter riprendere l’atteggiamento offensivo, già si adotta quello della “difesa attiva” che frutta la riconquista di importanti posizioni sull’Altopiano di Asiago (27-28 gennaio, battaglia dei Tre Monti), sul Sile (colpi di mano tra gennaio e maggio), nella zona Tonale-Adamello (metà maggio).
La prova decisiva per l’Italia avrà inizio il 15 giugno, su iniziativa austriaca, con la battaglia del “solstizio” nella quale gli austro-tedeschi hanno riposto le loro speranza più ambiziose.
L’unica grande battaglia difensiva italiana segnerà il capovolgimento delle sorti dell’intero conflitto, tramutandosi in grande vittoria.
Questo nuovo ciclo operativo iniziato sul Piave si concluderà solo a Vittorio Veneto, col disfacimento dell’impero austro-ungarico ed il conseguente cedimento tedesco. Nella seconda battaglia del Piave – come noto – gli austriaci, sorpresi dalla contropreparazione di artiglieria italiana e dalla efficienza e reattività della difesa, perdono 150 mila uomini e rilevanti quantitativi di armi e munizioni: dopo le illusioni frustrate di un successo decisivo, crolla il fronte interno austro-ungarico. L’esercito austriaco, conosciuto per la sua solidità e disciplina, comincia allora a manifestare cedimenti, logorato dai tre anni di vigorosa lotta contro l’Italia, mai stanca di attaccare, che apparentemente doma, tira invece fuori le unghie.
La ripresa italiana alla fine del 1917 e nel corso del 1918 è realmente ammirevole e contribuisce sostanzialmente all’evoluzione generale della situazione militare in senso favorevole all’Intesa.
A seguito degli avvenimenti del marzo 1918 alla fronte francese, sei divisioni franco-inglesi – delle undici inviate dopo Caporetto – già potevano essere ritirate dall’Italia: le F.A. italiane rimanevano in pratica sole a fronteggiare quelle austriache quantitativamente superiori**.
E’ quindi nei fatti la dimostrazione di una riconquistata saldezza morale e di un vigore che non potevano non stupire l’avversario ed il mondo. Il governo adottò adeguate misure in favore dei combattenti, ma si risollevò soprattutto la coscienza nazionale, nei soldati, nei cittadini.
* La maggioranza dei socialisti e dei cattolici si era a suo tempo battuta per la neutralità, come del resto anche numerosi liberali (incluso Giovanni Giolitti).
** Nel corso del 1918, 51 divisioni italiane e 5 franco-inglesi si contrapposero a circa 60 di austriache. L’Italia, inoltre, inviò in Francia il II° Corpo d’Armata e mantenne sul fronte macedone, in rinforzo ai francesi, la 35ª divisione, che aveva la forza di un C.A. (24 battaglioni).
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