La libertà degli Antichi e dei Moderni al tempo dei social network:
Benjamin Constant e J.J. Rousseau oggi
3. La libertà politica o la libertà civile?
3.3 Il rischio: affievolimento delle libertà civili
Si è già dimostrato come coi social network, e in particolare sulle piattaforme politiche, non sembra più irrealistico il teorizzarsi di un, seppur illusorio, “ritorno al passato”, ovvero di ripresentare il principio della democrazia diretta.
In realtà, questo principio di fatto non era mai stato del tutto abbandonato, se si considera il proliferarsi dei referendum anche nei decenni precedenti che non erano stati toccati dall’informatizzazione.
La differenza col passato è che, mentre gran parte di questi referendum non hanno avuto effetto, in quanto quasi mai è stato raggiunto il quorum che ne sancisse la validità, con le nuove forme di “suffragi informatici” è venuto a mancare il principio del numero minimo dei votanti, col paradossale effetto che decisioni importanti nell’ambito di uno schieramento politico (con conseguente riflesso sulle scelte politiche nazionali) sono state prese da una minoranza del complessivo elettorato attivo del corpo sociale.
Resta però la pericolosa illusione della partecipazione diretta. Pericolosa, perché al di là della sua effettiva inconsistenza, può generare un effetto collaterale che Constant aveva ritenuto ormai superato. I social network, infatti, restituiscono la percezione che ciascun individuo abbia un’importanza politica. Questo compromette il sentimento di difesa delle libertà individuali, che proprio secondo Constant è il limite all’autorità.
In altre parole, a fronte di una falsa rappresentazione di una nuova forma di partecipazione diretta secondo la libertà degli antichi (e quindi all’inconsapevole svilimento della rappresentanza politica), si corre il rischio che i cittadini possano col tempo, impercettibilmente ma progressivamente, rinunciare alla difesa dei propri diritti soggettivi, cioè i diritti tipici della libertà moderna, abbracciando quel patto sociale di Rousseau secondo il quale ciascuno dei componenti di una comunità sarebbe disposto a cedere ogni suo potere (ovvero: ogni suo diritto) alla comunità politica, cioè al nuovo corpo sovrano che in teoria ognuno concorre a formare e al quale ogni singolo dovrà obbedienza piena.
Una situazione irragionevole, ma che potrebbe essere veicolata proprio dall’illusoria idea di un ritorno alla partecipazione diretta o, per dirla secondo un’espressione abusata del linguaggio politico degli ultimi anni, da una falsa percezione di una politica che “parta dal basso”.
A titolo di esempio, il Movimento No Tav è espressione di democrazia dal basso, ovvero di partecipazione politica non istituzionale o istituzionalizzata, che viene rivendicata come un perfetto “utilizzo” diretto di sovranità popolare, ovvero di (ri)appropriazione di processi decisionali, e come modalità di organizzazione e azione del movimento. È un interessante esempio della (difficile) relazione fra democrazia dal basso e democrazia rappresentativa (istituzionale); del faticoso rapporto fra i diversi livelli territoriali della democrazia (istanze locali e decisioni nazionali). Rappresenta, inoltre, un emblema dei “nuovi movimenti sociali”, di questo primo scorcio del XXI secolo, che si possono definire “movimenti territoriali”.
La politica “dal basso”, però, potrebbe rivelarsi l’incubatrice di nuove forme di autoritarismo, poiché mentre secondo Rousseau la sottomissione del cittadino al corpo sovrano sarebbe stata consapevole (anzi: auspicata), per il rischio che qui si paventa potrebbe non esserci alcuna percezione della perdita della propria libertà. Questo perché all’elemento di falsa illusione della partecipazione diretta si associa il reale distacco dalla politica, intesa nel senso più nobile del termine, distacco che rimane, ma che anzi è amplificato proprio dall’impersonalità degli stessi strumenti informatici che offrono l’allucinazione di “essere parte” di un organismo, di un gruppo, di una comunità. Da qui il fondato pericolo che si possa sviluppare una “democrazia autoritaria” senza che i cittadini se ne rendano conto.
Un ultimo aspetto, non meno importante, sul rischio di perdita della libertà, deriva da un tema che è ormai preponderante in ogni dibattito politico, e cioè il tema della “sicurezza”.
In tal senso, si è già evidenziato come per la gran parte dei filosofi della politica, lo Stato nasca per garantire la sicurezza interna ed esterna degli individui. Secondo Constant, mentre il fine della sicurezza era garantito dagli antichi tramite la guerra, per i moderni la sicurezza può essere raggiunta solo attraverso il mantenimento dello stato di pace.
Una buona parte della politica contemporanea occidentale (quella “democratica”), invece, ha intrapreso, attraverso un ossimoro mai troppo censurato, un percorso di mantenimento della pace interna tramite il coinvolgimento di azioni belliche “esterne”, non mancando altresì di paventare imminenti pericoli di sicurezza interni provenienti da cittadini esteri. Non si tratta probabilmente solo di demagogia o di tattica elettorale. Quello che il potere autoritativo vuole ottenere, più o meno consapevolmente, è soprattutto una legittimazione (Constant direbbe un “tacito consenso”, Rousseau una manifestazione della volontà popolare) a esercitare forme di affievolimento delle libertà civili, che in futuro potrebbero essere “osannate” dal “gioioso rancore diffuso” della comunità virtuale di cui si è già in precedenza fatto accenno.
- Renata Dott.ssa COVIELLO
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI NICCOLO’ CUSANO - TELEMATICA ROMA
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE E DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
TESI DI LAUREA:
“La libertà degli Antichi e dei Moderni al tempo dei social network: Benjamin Constant e J.J. Rousseau oggi”
ANNO ACCADEMICO 2017-2018