In memoria ad Antonio Gelsomino
Saturday, November 16, 2024

Le due libertà di Constant nell’epoca dei social network

liberta-epoca

La libertà degli Antichi e dei Moderni al tempo dei social network:

Benjamin Constant e J.J. Rousseau oggi

 

3. La libertà politica o la libertà civile?

 

3.4 Le due libertà di Constant nell’epoca dei social network

 

Quando un termine assume significati troppo numerosi, equivoci o indeterminati, è buona norma sottoporlo a ridefinizione, ossia individuare un senso che, pur mirando a riprodurre il più fedelmente possibile gli usi lessicali correnti, risulti sufficientemente preciso e idoneo a evitare almeno una parte dei fraintendimenti che così spesso riducono il dibattito filosofico a un dialogo fra sordi. Questo è il caso di “e-democracy” e dei suoi sinonimi “democrazia elettronica” e “democrazia digitale”, i quali hanno un nucleo semantico comune, derivato dall’etimologia della parola, “democrazia” appunto dall’idea di potere politico del popolo.

 

Già nel 1955 Erich Fromm, trattando i rimedi contro gli effetti alienanti della società moderna, propose l’impiego delle nascenti tecnologie informatiche come strumento di coinvolgimento e partecipazione diretta degli individui alla vita della comunità. Nel giro di pochi anni, tale strumento, sempre crescente, è stato ritenuto in grado far partecipare collettivamente il demos a un “continuo plebiscito sul futuro”[1] che avrebbe consentito “all’opinione pubblica di diventare legge dello stato”[2] e reso obsoleti gli istituti di una rappresentanza ormai considerata come un relitto storico in un processo graduale ma inevitabile.

 

Il demos diventa così una comunità virtuale in cui ogni membro è al tempo stesso autore e fruitore potenziale di processi informativi e deliberativi non mediati, che sul piano politico-istituzionale potrebbero estrinsecarsi in una democrazia elettronica diretta, “ridefinibile come la procedura egualitaria basata sull’uso delle ICT attraverso cui il demos, direttamente e senza la mediazione di rappresentanti, si autogoverna adottando decisioni politiche generali”[3].

 

Evgeny Morozov, nel suo libro “L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet”, denomina questa ingenua fiducia nel potenziale anti-autoritario della comunicazione online, secondo la quale un numero maggiore di connessioni e network porteranno necessariamente a più libertà e democrazia, “cyberutopismo”. L’autore con decine di esempi descrive tale fenomeno, tra l’altro afferma: “I cyber-utopisti non sono riusciti a prevedere le misure adottate dai governi autoritari nei confronti di Internet; inoltre non si sono resi conto di quanto esso potesse rivelarsi utile alla propaganda, di quanto sarebbero diventati sofisticati i moderni sistemi di censura online, della sapienza con cui i dittatori avrebbero imparato a usare la rete a scopi di sorveglianza. […] Paradossalmente, rifiutandosi di considerare i risvolti negativi del nuovo ambiente digitale, i cyberutopisti hanno finito per sminuire il ruolo di Internet, e non si sono resi conto di come essa penetri e rimodelli tutti i sentieri della sfera politica, non solo quelli che conducono alla democratizzazione”[4].

 

La ridefinizione di e-democracy che si prospetta è la seguente: “procedura egualitaria, nel senso che si svolge su un terreno di parità tra i partecipanti, tutti ugualmente titolari del potere politico, di autogoverno del demos esercitata mediante le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.[5]

 

Tra i fini più tipicamente ascritti alla democrazia elettronica rientra la soluzione di quello che è spesso denominato the Problem of Scale, alludendo alla questione di come determinare la volontà collettiva di gruppi che, lungi dall’essere costituiti dalle poche migliaia di individui che periodicamente si riunivano nell’ekklēsía ateniese, comprendono milioni di cittadini dislocati in territori talora vastissimi.

 

In tal senso, abbiamo visto quanto questo concetto di “volonté générale” risulti problematico perfino nella versione idealizzata di Rousseau (cfr. Il contratto sociale, Libro II, cap.3)

 

Il problema è naturalmente aggravato qualora si acceda a una concezione della democrazia diretta che insista particolarmente: 1) sul ruolo dei cittadini nell’iniziativa e nella deliberazione intesa come discussione ragionata che precede la votazione; 2) sul carattere non occasionale o periodico, bensì continuativo dell’apporto decisionale del demos.

 

Questi punti sintetizzano quello che comporta l’attività di partecipazione alla vita politica, da parte dei cittadini, e non si tratta certamente di un semplice impegno: “Robert Dahl, ad esempio, ha calcolato che se a ciascun cittadino di uno stato di soli 10.000 abitanti fossero dati dieci minuti per esporre opinioni e proposte in un pubblico consesso, la discussione durerebbe 208 giorni di seguito”[6].

 

Del resto, proprio allo scopo di evitare il rischio di paralisi dei processi decisionali, Rousseau aveva chiarito che il suo ideale democratico fosse praticabile al più in comunità assai piccole, socialmente ed economicamente omogenee e in cui ciascuno potesse facilmente conoscere tutti gli altri.

 

Ci si domanda allora se e come sia possibile assicurare la partecipazione effettiva dei cittadini alla discussione e alla definizione delle numerosissime ed eterogenee questioni che rientrano nel governo delle grandi democrazie contemporanee.

 

Tale partecipazione richiederebbe infatti un dispendio di tempo considerevole, se non addirittura un impegno totalmente assorbente e continuativo, che difficilmente la maggioranza dei cittadini sarebbe disposta ad accollarsi, anche considerando la ben documentata tendenza all’incremento dell’apatia politica nelle odierne democrazie occidentali.

 

Più realistica sembra l’ipotesi di una partecipazione generale frammentaria e discontinua, eventualmente limitata alle questioni che catalizzano maggiormente l’attenzione del pubblico, affiancata dalla partecipazione più assidua di tante minoranze di cittadini, ciascuna delle quali attiva in uno specifico ambito tematico o di rivendicazione politica.

 

In uno scenario siffatto, resterebbero naturalmente da determinare i quorum necessari affinché ciascuna delle iniziative e delle decisioni sia valida e approvata, diventando vincolante per tutta la collettività.

 

In un quadro di attuazione di sistemi di e-democracy tesi a incrementare sia il numero di partecipanti alla decisione politica sia la continuità, la frequenza, il livello di dettaglio e l’eterogeneità tematica del loro contributo decisionale, la determinazione di tali quorum porrebbe altri interrogativi: è meglio un apporto decisionale continuo (o molto frequente) e contenutisticamente dettagliato di pochi cittadini zelanti o delle consultazioni meno frequenti e limitate a poche alternative predeterminate, generali e generiche, a cui però partecipano molti aventi diritto?

 

L’era della “democrazia elettronica”, superando i limiti della distanza spaziale e consentendo a milioni di persone di incontrarsi in uno stesso luogo, seppur virtuale, riapre, appunto, un antico dibattito circa la possibilità di una democrazia diretta in sostituzione di una rappresentativa, dato che, in questo modo, il potere politico potrà rivolgersi direttamente ai cittadini, fare domande, avanzare proposte, argomentare scelte e ciascun cittadini potrà partecipare senza muoversi da casa.

 

Tuttavia, alcuni autori guardano a tale eventualità con scetticismo: i cittadini, via internet potrebbero essere manovrati, sostiene Fisichella, attraverso informazioni non attendibili, né neutrali e quindi la maggiore partecipazione potrebbe implicare anche un crescente controllo delle masse da parte di un potere che decide quali informazioni vanno passate, quali accentuate e quali, addirittura ignorate.

 

Ci si chiede se questa partecipazione pubblica, intesa come il coinvolgimento in processi politici, amministrativi e sociali, in cui i cittadini da spettatori si trasformano in individui attivamente coinvolti, realizza l’obiettivo ultimo che è quello percepito come bene pubblico.

 

Riprendendo il pensiero di Constant sul concetto di libertà, intesa come insieme delle libertà civili ovvero indipendenza per i moderni e libertà politica come partecipazione per gli antichi, ci si chiede se, nell’epoca dei social network, queste libertà trovino piena realizzazione nell’eccezione proposta dal liberale di Losanna.

 

In primo luogo bisogna considerare che la libertà può esistere solo allorché i cittadini, chiamati ad esprimersi, vengano posti nella condizione di avere accesso a quell’informazione necessaria a creare i presupposti per lo sviluppo della propria, incondizionata volontà politica.

 

“Il pericolo più grande è che luoghi di esercizio di libertà si trasformino in spazi dove diventiamo inconsapevoli consumatori, incapaci di distinguere tra contenuti reali e false verità, ma soprattutto con il rischio di finire fagocitati dalla rete, dove la legge crudele del mi piace non mi piace può distruggere in pochi istanti la credibilità di un individuo”[7].

 

L’anarchica democrazia del web rischia di condurci, neppure tanto lentamente, ma impercettibilmente (nel senso che non ce ne rendiamo conto, ubriachi come siamo di “libertà”), ad una reazione anti-libertaria che potrebbe limitare anche i più elementari diritti di espressione e di critica. Basti pensare che negli ultimi tempi sempre più si parla di controllo della Rete che, nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbe servire ad evitare che vengano diffuse false notizie, le cc.dd. fake news. Tuttavia, sorgono molti dubbi sulle reali intenzioni dei proponenti. Il rischio di un controllo generalizzato degli utenti/cittadini/elettori è molto alto.

 

Tuttavia, l’assenza di regole come totem intangibile dei profeti della Rete, sostenitori accaniti del Web come la nuova frontiera della libertà di espressione e, di conseguenza di tutte le altre libertà civili e politiche, fa sì che l’anarchia generalizzata ha portato, soprattutto negli ultimi anni, anche grazie a movimenti e schieramenti politici, ad un imbarbarimento etico e politico. La piazza virtuale è diventata il luogo ideale dove, senza particolari requisiti, chiunque si sente autorizzato a sentenziare, offendere e a recriminare.

 

Il Web è diventato il luogo ideale della battaglia politica condotta senza alcuna regola, guidata dall’istinto rabbioso di chi è legittimamente nauseato dalla vecchia politica, cioè quello che qui si è già definito “un gioioso rancore diffuso”. Una battaglia che si limita a sollecitare gli istinti viscerali cavalcando il malessere accentuato dalla crisi economica, senza favorire alcun ragionamento fondato sulla razionalità, sul controllo delle reazioni e, soprattutto, senza proporre un modello costruttivo, questo è quanto di più pericoloso si possa immaginare.

 

Alla luce di tale situazione, parlare di “libertà politica” intesa come partecipazione, nell’eccezione proposta da Constant nella sua teoria sulle libertà degli antichi, è una pia illusione. Oggi, nella piazza virtuale, non è richiesta autorevolezza, raziocinio, argomentazione, non è neppure necessario sapere di cosa si stia parlando in quel momento, inserendosi in un dibattito di cui magari non si sa niente giusto per accertarsi di “esistere”. Altro che agorà degli antichi.

 

La partecipazione, attraverso il Web, “incarna una visione troppo ingenua della politica” - sostiene Morozov- “perché non tiene conto della discussione, negoziazione, compromesso e deliberazione sottese ai processi democratici, limitandosi a gestire l’unica variabile computabile: i voti”.

 

Constant sostiene che la libertà dei moderni è libertà privata individuale; i moderni mirano alla libertà dell’individuo in tutte le sue forme e le sue manifestazioni. La categoria dei diritti della personalità si identificano nelle prerogative inalienabili, imprescrittibili e non aventi carattere immediatamente patrimoniale, esse hanno come oggetto e come fine quello di garantire, realizzare nonché ovviamente tutelare non solo le ragioni fondamentali della vita, ma anche quelle dello sviluppo della persona in ogni aspetto della sua esistenza, tanto fisico quanto morale.

 

Una società che sempre più è andata negli anni definendosi dell’informazione si è contraddistinta per la necessità di scelte sociali e politiche presentatesi in genere quali frutto dell’impiego di servizi digitali, permettendo così interazione e partecipazione maggiori, ma anche “gravi rischi di incursioni nella sfera dei diritti della personalità”[8].

 

Emergono all’interno delle situazioni legate all’utilizzo dei nuovi strumenti, nuove minacce connesse all’area dei diritti in questione, che potrebbero tradursi in lesioni delle libertà fondamentali con “spazi per la discriminazione, la stigmatizzazione e la sopraffazione”.

 

Nell’epoca dei social network l’infiltrazione sempre maggiore degli strumenti informatici all’interno del tessuto sociale, nonché la crescente delocalizzazione e concentrazione delle informazioni attraverso tecnologie distribuite e virtualizzate in Rete, rischiano di concedere inedite opportunità di controllo. Pertanto la tutela dei diritti fondamentali e della privacy è divenuta un’esigenza imprescindibile.

 

Internet ha assunto, nell’arco dell’ultimo decennio, la posizione di strumento attraverso il quale passa anche l’esercizio di libertà fondamentali nonché lo svolgimento della stessa personalità; nel tentativo di orientarne l’inclusione, lo sviluppo, la partecipazione democratica, al contempo stesso quello di arginarne i fenomeni di prevaricazione.

 

Se Internet è quindi “uno degli strumenti che maggiormente consente l’esplicazione della personalità dell’individuo in condizioni di assoluta democrazia ed eguaglianza, al tempo stesso – per via delle medesime potenzialità – esso può essere utilizzato più di ogni altro mezzo per ledere in maniera dirompente, forse irrimediabile, proprio tale aspetto della persona”[9].

 

Le considerazioni sin qui svolte dimostrano che, a fronte dell’evoluzione tecnologica in atto nel campo della comunicazione, la tutela dei diritti della personalità si va, per molti versi, affievolendo. Uno dei limiti di tale complessa vicenda può essere colto nella frammentarietà della percezione del soggetto, che non viene più avvertito per quello che realmente è, quanto per quello che invece risulta dagli archivi in cui vengono conservati i suoi dati, incompleti o non del tutto aggiornati.

 

Renata  Dott.ssa COVIELLO

 

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI NICCOLO’ CUSANO - TELEMATICA ROMA

 

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

 

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE E DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

 

TESI DI LAUREA:

 

“La libertà degli Antichi e dei Moderni al tempo dei social network: Benjamin Constant e J.J. Rousseau oggi”

 

ANNO ACCADEMICO 2017-2018

 

 

[1] A. TOFFLER, Future Shock, Bantam Book, New York, 1970, p. 242.

 

[2] http://www.irma-international.org/viewtitle/11706/

 

[3] Gianmarco GOMETZ , Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it), n. 30/2014, pag. 10                               

 

[4] Evgeny MOROZOV, L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet, Codice, Torino, pag 11

 

[5] Gianmarco GOMETZ,  in Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it), n. 30/2014, pag. 10                               

 

[6] Ibidem, pag 6

 

[7] Francesco PIRA, la Net comunicazione politica , ed. Franco Angeli, 2012, pag. 56.

 

[8]  S. RODOTÀ, Prefazione, in D. LYON, La società sorvegliata: tecnologie di controllo della vita quotidiana, Milano, 2002., pp.13-14.

 

[9] G. CASSANO, Internet, diritti di libertà, tutela dei diritti della personalità, tutela del consumatore, intervento tenuto nella giornata di studio “Internet. Nuovi problemi e questioni controverse”, organizzato a Lecce il 29 aprile 2011

 

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