La libertà degli Antichi e dei Moderni al tempo dei social network:
Benjamin Constant e J.J. Rousseau oggi
3. La libertà politica o la libertà civile?
3.1 I nuovi spazi partecipativi: le prime conseguenze
La partecipazione, da sempre, è elemento cardine di molte teorie della democrazia, al di là di quanto sopra illustrato riguardo il pensiero politico di Rousseau e di Constant. Quello che qui interessa è analizzare le nuove forme di partecipazione o, meglio, i nuovi strumenti a disposizione dei cittadini attraverso i quali gli stessi partecipano, o pensano di partecipare, ai processi democratici, e le conseguenze dell’utilizzo di questi nuovi strumenti. Naturalmente, prima di affrontare l’impatto delle nuove tecnologie, è opportuno partire dai “vecchi” mezzi di comunicazione.
Con l’espressione “mass-media”, vengono comunemente indicati i mezzi di comunicazione di massa, quali la radio, la televisione, il cinema, la carta stampata ed oggi anche la rete Internet, che nell’assicurare la circolazione delle informazioni e della cultura, raggiungono enormi masse di individui distribuiti su spazi vastissimi. I mass media si rivolgono a tutti i cittadini ma i messaggi che diffondono non sono da tutti interpretati nella stessa maniera: spesso esprimono interessi e valori di tipo elitario con orientamenti a senso unico e parziali.
Nel mondo contemporaneo il loro potere è così grande da influenzare il comportamento degli individui e il modo di pensare, di scegliere e di giudicare: infatti la comunicazione di massa contribuisce e fornisce molte delle informazioni necessarie alle persone che quotidianamente sono impegnate a capire un mondo circostante e, di conseguenza, ad assumere i comportamenti più idonei; i mass media, pertanto, non sono semplici diffusori di messaggi, ma sono essi stessi divenuti oggetti in grado di influenzare altri soggetti sociali.
Risulta chiaro, quindi, come le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione possano essere utilizzate sia per favorire il processo democratico che per danneggiarlo: partendo, dunque, dall’assunto che l’opinione pubblica rappresenta il fondamento della democrazia e che una delle fonti da cui attinge sono i messaggi informativi, risulta evidente come le scelte dell’elettore non siano sempre le proprie ma subiscano l’influenza dei mass media.
Nel bene e nel male i mass media hanno rappresentato e rappresentano i canali essenziali e ineliminabili della comunicazione politica delle democrazie contemporanee, attraverso i quali si aspira a facilitare la partecipazione delle masse al processo democratico.
Per quanto attiene ai mass media c.d. “tradizionali”, cioè in gran parte i giornali e la televisione, da tempo è prevalsa una visione pessimistica delle loro capacità di informare compiutamente i cittadini. Questa interpretazione, nelle sue forme più estreme, è giunta a ritenere che i suddetti veicoli rappresentino un ostacolo al buon funzionamento delle democrazie contemporanee.
Questa visione negativa si è tanto più sviluppata, quanto più i quotidiani e le reti televisive hanno inasprito la loro “lotta” concorrenziale, nella quale non ha trovato riparo neanche la televisione pubblica, che, uscita dalla condizione di monopolio di cui si era giovata per più di venti anni (e nella quale, pur con tutti i limiti e i condizionamenti, era riuscita a svolgere una funzione “educativa” non solo negli aspetti politici), ha dovuto giocoforza adeguarsi all’utilizzo di una comunicazione tipica della televisione commerciale, caratterizzata da messaggi standardizzati, e da un linguaggio accessibile a tutti, uniforme ed omogeneo. Allo stesso modo, è innegabile rilevare come anche i giornali, caratterizzati soprattutto nell’immediato secondo dopoguerra da una marcata diversificazione tra loro del linguaggio a seconda del proprio lettore di riferimento (per interessi culturali ovvero per affinità politiche), nel corso degli ultimi due decenni hanno progressivamente uniformato i loro codici comunicativi.
Non è questa la sede per sviluppare argomenti sociologici che, seppur d’indubbio interesse, esulano dal tema affrontato. Tuttavia, è di tutta evidenza il fatto che questo uniformarsi a linguaggi necessariamente più frivoli è perfettamente coerente con quanto “profetizzato” due secoli prima da Constant, quando aveva affermato che la libertà dei moderni si sarebbe man mano focalizzata sulla sicurezza dei godimenti personali e delle libertà private.
Del resto, il correlato scollamento dalla partecipazione politica (partecipazione che era il fulcro della libertà degli antichi) si è manifestato con la reazione di distacco, o addirittura rifiuto, della politica. La conseguenza di questo atteggiamento è stata la trasformazione del cittadino democratico da soggetto attivo a soggetto passivo, incapace di reagire in modo propositivo ai momenti di crisi e, semmai, più attratto dalla spettacolarizzazione di fatti e personaggi solo in virtù della loro capacità di fare audience. Con inevitabile corollario di un’informazione politica sottomessa a logiche di mercato che si rivolge a dei consumatori piuttosto che a dei cittadini.
Ciò è avvenuto soprattutto nell’ambito della propaganda politica dove consulenti, addetti stampa ed esperti in pubbliche relazioni, adoperano il linguaggio del marketing commerciale, riadattato al contesto politico, proprio perché “il giornalismo si è evoluto verso una commercializzazione, un’attenzione all’audience, una ricerca del profitto sempre maggiore” [1].
In un primo momento ai media è stato conferito un grande potere nell’arena politica che non risiede soltanto nella funzione di mediazione ma anche nella assunzione di ruoli che attengono alla essenza stessa della democrazia, quale quello di porsi come interlocutori e/o controllori del potere politico; i meccanismi del sistema politico si sono adattati ai media, al fine di ottenere più sostegno da parte dei cittadini, assurti a consumatori nel mercato politico.
Mazzoleni definisce la crescente centralità dei media nella politica italiana come una Rivoluzione Copernicana” nella comunicazione politica: “Se ieri tutto ruotava attorno ai partiti, oggi tutto ruota attorno e dentro i media ”[2].
Tuttavia, il messaggio politico, è necessariamente un messaggio mediatico, e ogni qual volta un messaggio di rilevanza politica viene trasmesso attraverso i media, deve esprimersi nel loro particolare linguaggio. Il ricorso ai mezzi di comunicazione impone tuttavia regole e codici comunicativi non sempre compatibili con quelli propri della politica e così, esaurito l’entusiasmo iniziale, si è diffusa una posizione fortemente critica verso il sistema dei media, accusato di minare il sistema politico provocando nei cittadini sentimenti di indifferenza e distacco nei confronti delle questioni di rilevanza pubblica.
Pertanto, le pratiche comuni della comunicazione politica realizzata attraverso i media nonché durante le campagne politiche, sono state considerate di “ostacolo” alla “partecipazione civica”, intendendo con ciò la possibilità da parte dei cittadini di avere notizie in merito agli affari pubblici, di avere fiducia nel governo e di impegnarsi nelle attività politiche.
Altra conseguenza è l’inevitabile dissolvimento della differenza tra le c.d. hard news, tipiche dei quotidiani nazionali e dei programmi di approfondimento politico, e le soft news dei giornali popolari e dei programmi d’intrattenimento, caratterizzati da “uno stile di comunicazione atto a generare reazioni di tipo emotivo nel pubblico”[3].
Non a caso è stato coniato il termine infotainment, neologismo che fonde informazione ed entertainment. Non a caso, nelle campagne elettorali degli ultimi anni, sempre più candidati partecipano a programmi televisivi che spesso non hanno nulla a che fare con l’approfondimento politico, e in cui gli stessi candidati più che parlare di politica preferiscono rivelare il loro “lato umano”.
L’obiettivo è duplice: da un lato si occupano spazi non specificamente politici con lo scopo di avvicinare alla politica fasce di elettori altrimenti distaccate; dall’altro questa pratica viene utilizzata per guadagnare voti, riducendo il gap di informazione esistente tra cittadini preparati sui temi della politica e cittadini disinteressati e potenzialmente astensionisti. “D’altra parte l’infotainment attecchisce con particolare efficacia nel nostro contesto nazionale a causa di tre fattori interagenti: l’influenza che i media hanno avuto nel plasmare il modello culturale diffuso e, quindi, i valori e i modelli di comportamento dominanti; una ragione economica legata all’assetto del mercato televisivo; infine, le peculiari caratteristiche sociologiche del pubblico italiano”[4].
Molti studiosi non ritengono “malsano” l’infotainment ad esempio Castells riconosce ad esso la capacità di facilitare i processi cognitivi dei soggetti su temi anche difficili: “Quando la notizia è presentata come infotainment, il che comprende la personalizzazione della notizia…, in modo tale da toccare le emozioni e gli interessi del destinatario, essa è più facilmente elaborata e immagazzinata nella memoria”. Dahlgren allarga la riflessione alla cultura popolare, di cui l’ infotainment è uno dei prodotti, assegnandole un “ruolo civico”- almeno a livello prepolitico-preparatorio all’impegno e alla partecipazione:” molti dei temi ripresi dalla cultura popolare possono apparire più importanti e più rilevanti sul piano personale di tanti argomenti sollevati dalla grande politica…La cultura popolare può servire a suscitare pensieri alternativi di ciò che costituisce la politica e il politico, generando riflessioni e impegno su altri tipi di preoccupazioni e problemi[5].
Del resto, tutto ciò potrebbe essere considerato, secondo la dottrina del pensatore di Losanna, un indice di salute della politica, proprio in virtù di quel distacco del corpo sociale teorizzato nella libertà civile dei moderni.
Da quanto sopra esposto si evince che, contrariamente a quanto affermato da diversi studiosi della comunicazione politica, non è stato l’avvento di Internet a mettere in crisi il paradigma democratico che vedeva la rappresentanza come principio fondante delle democrazie moderne: questo paradigma era già stato messo in crisi dai media tradizionali.
Con riferimento alla rivoluzione digitale, è importante ripartire da quanto sviluppato nella seconda metà del secolo scorso dalla Scuola di Toronto, cioè il centro delle teorie deterministe con le quali furono approfondite le relazioni tra media e cultura. Qui nacque il determinismo tecnologico, introdotto da Marshall McLuhan, teoria secondo la quale la tecnologia è la sostenitrice del progresso dell’umanità e produce autonomamente cambiamenti sociali e politici.
Secondo McLuhan era possibile leggere l’evoluzione dell’uomo attraverso l’evoluzione dei modi di comunicare. Nel suo libro “La galassia Gutenberg”, egli sottolinea per la prima volta l’importanza dei media nella storia umana; in particolare egli discute dell’influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura occidentale, e introduce quello che viene chiamato il campo dell’“ecologia dei media”.
Al determinismo tecnologico si contrappone quello sociale, nato nella Columbia University dal maggiore esponente Lazarsfeld, secondo cui la tecnologia viene plasmata dalle forze sociali e politiche a seconda delle proprie esigenze.
Gli studiosi che sostenevano il primo approccio erano definiti gli “ottimisti” o “utopisti”, in quanto credevano che Internet avrebbe potuto realmente ridefinire i rapporti di potere e di influenza delle istituzioni. I sostenitori del determinismo sociale erano invece convinti del fatto che i cambiamenti apportati dai media digitali sono controllati dagli attori politici che detengono il potere, e che quindi la rete non avrebbe apportato decisivi stravolgimenti.
In questa sede si ritiene maggiormente fondata la tesi degli utopisti, in quanto le nuove tecnologie, hanno invertito la rotta o, meglio, danno l’impressione di invertire la rotta verso un nuovo protocollo di partecipazione dei cittadini al processo di produzione delle decisioni politiche, mediante il ricorso a nuovi strumenti quali referendum elettronico, voto via computer, e così via.
In altre parole, la Rete si presenta come una nuova vestale della democrazia, promettendo di realizzare un ritorno alla democrazia del popolo, con l’opportunità di realizzare nuove procedure di decisione popolare, cioè della partecipazione diretta tanto cara a Rousseau.
Un caso emblematico è sicuramente l’elezione di Barack Obama, il primo presidente Web 2.0 della storia. “Nei due anni di campagna elettorale è riuscito a coinvolgere settanta milioni di utenti. Nessuno degli spazi di relazione è rimasto escluso. Si è creata una vera è propria galassia Obama dove ognuno si è sentito protagonista, realizzando per la prima volta un progetto di democrazia partecipativa di portata non solo nazionale ma planetaria[6].
Anche il risultato della campagna politica sulle elezioni amministrative di Milano della primavera del 2011, vinte da Giuliano Pisapia contro il sindaco uscente Letizia Moratti, sembra essere stato, almeno in parte, condizionato dal popolo della Rete, come evidenziato in un articolo di Riccardo Luna pubblicato il 9 settembre 2011 su Repubblica intitolato “La democrazia che nasce sul web”.
Sempre in tema di vicende italiane, la mancata elezione nel 2013 di Marini prima e di Prodi poi alla carica di Presidente della Repubblica potrebbe essere stata anche il frutto di una sollevazione popolare via Twitter, come ipotizzato in diversi articoli, tra i quali, ad esempio, l’editoriale de La Stampa del 19 aprile 2013.
Del resto, anche il sorprendente voto sulla “Brexit” e l’inaspettata elezione di Donald Trump a presidente degli USA, sono tuttora oggetto di dibattiti politici e sociologici sull’incidenza dei social network.
Quello che qui interessa è, comunque, il fatto che questi condizionamenti, al di là del loro effettivo peso, hanno evidenziato principalmente un improvviso apparente destarsi della passione politica, proprio in ragione di una supposta nuova forma di “partecipazione diretta”, che, però, non è affatto esente da rischi, come si vedrà nel paragrafo successivo.
Renata Dott.ssa COVIELLO
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI NICCOLO’ CUSANO - TELEMATICA ROMA
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE E DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
TESI DI LAUREA:
“La libertà degli Antichi e dei Moderni al tempo dei social network: Benjamin Constant e J.J. Rousseau oggi”
ANNO ACCADEMICO 2017-2018
[1] D. CAMPUS, Comunicazione politica: Le nuove frontiere, Roma-Bari, Laterza, 2008, pag. 82
[2] G. MAZZOLENI,, La comunicazione politica, il Mulino,2012, pag. 308.
[3] G. MAZZOLENI , Politica pop. Da «Porta a Porta» a «L’isola dei famosi», Bologna, Il Mulino, 2009, pag 86
[4] ibidem.
[5] G. MAZZOLENI, La comunicazione politica, il Mulino,2012, pag. 238.
[6] Francesco PIRA, LA NET COMUNICAZIONE POLITICA, ed. Franco Angeli, 2012, pag. 47.