Appello in favore della liberazione del premio Nobel per la Pace
Anno 2008_26 Maggio
Il 26 Maggio, anche dietro sollecitazione della Fédération Internationale des Ligues des Droits de l’Homme (F.I.D.H.), prendendo atto, con soddisfazione, del fatto che le mogli dei tre più importanti leaders mondiali, ossia le signore Obama, Brown e Sarkozy, si sono pronunciate, attraverso un appello internazionale, in favore della liberazione del premio Nobel per la Pace, nonché intestataria del “Premio Paolo Ungari”, Aung San Suu Kyi, cui la dittatura birmana ha proditoriamente e pretestuosamente prolungato il periodo di ingiusta detenzione domiciliare, la LIDU invia ai giornali ed ai net-works radiotelevisivi italiani il seguente comunicato ufficiale.
Anche se, per ragioni di campanile, o meglio, soprattutto per pulsioni sostanzialmente antiscioviniste, strutturali al nostro modo di sentire, ci ha procurato grande piacere il fatto che, Monsieur Sarkozy, caratterialmente francese a tutto tondo, ancorché d’origini ungheresi, sia convolato a nozze con la “nostra” Carla Bruni, facendone la prima “madama” di Francia, non è che la famosa modella-cantante del jet-set d’oltralpe ci piacesse molto con il suo incedere rigidamente altezzoso ed il suo sorriso strutturalmente algido.
Non costituiva, insomma, il nostro modello di donna, ovvero l’”altra metà del cielo” che, seppure ne avessimo avuto l’opportunità, avremmo voluto frequentare, in quanto la sentivamo alquanto discosta rispetto alla “icona” di femmina che, nel lungo corso degli anni, ha animato le nostre fantasie.
Questo, lo confessiamo, fino a questi giorni, ovvero fino al giorno in cui, sollecitata dalla Fédération Internationale des Ligues des Droits de l’Homme, Carla Bruni ha pensato bene di prendere posizione ufficiale in favore del simbolo della Birmania repressa, Aung San Suu Kyi (Premio Nobel per la Pace, cui, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo ha assegnato il prestigioso “Premio Paolo Ungari”), vittima di una dittatura militare che, nella sostanziale indifferenza dei più prestigiosi consessi internazionali, sfiora quasi il mezzo secolo di vita.
Ci ha commosso e, per certi versi, anche stupiti, non solo il gesto di umana solidarietà che ha contraddistinto la nostra prestigiosa compatriota d’oltralpe, ma anche la valenza politica che l’ha connotato.
Non solo, infatti, Carla Bruni, ha formulato un appello acciocché alla signora Aung San Suu Kyi venga restituita quella libertà che, da anni ed anni, le è stata inequivocabilmente e rigidamente sottratta, come donna e come leader dell’opposizione politica nel suo Paese, nonché quale esempio della più pura, quanto rara, non violenza gandhiana (si rammarica talvolta di non saper odiare), contro cui, per contrasto, s’accanisce il regime dittatoriale che soggioga, da decenni, il suo Paese, ma, secondo le più accreditate agenzie internazionali, ha addirittura scritto al governo birmano una lettera articolata e perentoria di richiamo al rispetto dei Diritti Umani Fondamentali.
Lettera cui avrebbero apposto la loro firma, dietro esplicita sollecitazione, anche la signora Obama e la signora Brown.
Una notizia così inusuale nel vasto panorama degli eventi internazionali di relazione interpersonale che, per solito, vedono protagoniste le signore dei capi di stato, costituiti soprattutto da pranzi ufficiali, inaugurazioni e visite ad istituti, musei e fondazioni d’assistenza ad orfani e malati, di cui tanto si ciba il gossip mass-mediatico e che riempie le pagine d’ogni testata, è, a nostro parere, da sottolineare e da evidenziare con estrema partecipazione e condivisione, alla faccia di chi, condizionato da ragioni di real politik, tende a considerare addirittura sconsiderata l‘”uscita” coraggiosa della Bruni, della Obama e della Brown.
Coraggiosa, se non altro perché, abituati come siamo alle “esternazione” della signora Lario che, poverina, assai mortificata, forse anche a ragione, per le presunte “avventure” extraconiugali dell’ancor “valente” marito, non riesce, non ostante qualche estemporanea lettera ai giornali, a suscitare solidarietà per la sua sorte “ria”; sorte ria che la vede costretta, in una gabbia dorata, ad attendere alle faccende domestiche ed ai figli, mentre la signora Aung San Suu Kyi, sta subendo un processo iniquo, in quanto, agli arresti domiciliari in una modesta casa di bambù, ed inibita a ricevere visite, ivi comprese quelle dei familiari più stretti, a motivo della guasconata di un cittadino americano che, irridendo al servizio di vigilanza, s’è furtivamente introdotto, attraverso un corso d’acqua che ne lambisce il giardino, nell’abitazione della reclusa, rischia di perdere, a pochi giorni dalla promessa scarcerazione, definitivamente, la sua libertà.
Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli