In memoria ad Antonio Gelsomino
Thursday, September 19, 2024

Liberta' di culto

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Liberta' di culto

 

Anno 2009_11 Febbraio


L’11 Febbraio, la LIDU, grazie ad una “rendicontazione” puntuale ed esaustiva della stagista “collaboratrice” Sara Lorenzelli, in merito allo svolgimento ed alle conclusioni di un apposito convegno, in materia di libertà di culto, tenutosi, qualche giorno prima, presso un’importante scuola superiore di Nettuno, grazie all’impegno del dirigente periferico, nonché giornalista, Marcello Ciotti, informa, attraverso le pagine del sito istituzionale, su una condizione discriminatoria, di fatto e di diritto, in cui trovasi proditoriamente confinata, soprattutto in Asia ed in Medioriente, ogni comunità di fede cristiana, in primis se di liturgia cattolica, che voglia professare apertamente il proprio credo ed attendere ai riti che ne conseguono.

 

Sara Lorenzelli, attraverso l’esposizione di fatti incontrovertibili, comunicati ai numerosi partecipanti al convegno da Padre Bernardo Cervellera, direttore dell’Agenzia di stampa “ASIANEWS”, fa un quadro agghiacciante delle intolleranze e delle violenze, di puro stampo fondamentalista, cui sono, in quell’area geografica, sempre più di frequente, sottoposte le comunità cristiane. Quadro, i cui colori, già strutturalmente “esasperati” per il sostanziale disinteresse che, rispetto alle varie soperchierie perpetrate contro i cristiani, contraddistingue le autorità dei luoghi “interessati”, diventano addirittura “foschi” anche solo a ricordare che, nello Stato indiano dell’Orissa, nel corso del primo semestre del 2008, sono state martirizzate oltre 500 persone, distrutte 183 chiese, più numerosi villaggi e strutture sociali create dai fedeli.

Nel corso del Convegno, soprattutto con riferimento alle vere e proprie persecuzioni in atto, a danno dei Cristiani, nell’area dell’Asia orientale, al cospetto del sostanziale silenzio dei mezzi d’informazione occidentali, che solo raramente dedicano un po’ di spazio a questo tipo di “tragedie” di stampo prettamente fondamentalista, particolarmente interessante è risultato l’intervento di Padre Bernardo Cervellera, direttore dell’Agenzia di stampa “ASIANEWS”.

Interessante e preoccupante perché, in certe aree del globo, così come ha tenuto a sottolineare l’amico Marcello Ciotti, che ha organizzato l’assise ed ha presentato al numeroso pubblico il presule, “professare oggi la propria fede religiosa, in particolare quella cristiana, sta diventando una colpa, un motivo per essere accusati di ogni nefandezza e per essere sottoposti ad ogni genere di violenza”.
Dal canto suo, entrando più a dentro nel merito della “questione”, l’autorevole prelato, ha sottolineato che “ogni qual volta la religione, qualsiasi essa sia, viene violata, si determina, non solo una grave limitazione della libertà politica, in quanto strettamente correlata alle libertà generali del genere umano, ma anche dello stato di eguaglianza sostanziale tra gli uomini.”

Padre Cervellera, inoltre, cui va, tra l’altro, il merito d’aver denunciato, attraverso la sua agenzia, le atrocità commesse dai fondamentalisti indù nello Stato dell’Orissa, ove, in pochi mesi, sono state uccise oltre 500 persone, distrutte 183 chiese, più numerosi villaggi e strutture sociali, create dai Cristiani, così come ha informato i convenuti sulle difficoltà e sui divieti di culto che, quotidianamente, si registrano in Vietnam, Birmania e Cina, ha pure aggiunto che “In una società come quella indiana, in cui persistono stratificazioni storiche ai limiti della insormontabilità, quale, ad esempio, la rigida suddivisione in caste della popolazione, il messaggio cristiano è dirompente. Dirompente, in quanto la Chiesa considera tutti figli di Dio, anche i paria, ovvero i cosiddetti intoccabili, che vivono in condizioni di semischiavitù”.
“Questo significa, - ha proseguito – che il Cristianesimo apre loro la possibilità di acquisire coscienza della propria dignità di essere umani, secondi a nessuno, con la prospettiva di progredire moralmente ed economicamente, in linea con quanto auspicavano Ghandi e Maritain [ammiratori, senza riserve, di Giuseppe Mazzini e del suo pensiero politico. n.d.r]), circa la necessità di perseguire un’evoluzione sociale e culturale aperta a tutti, ad ogni individuo e ad ogni casta, in netta contrapposizione ai fondamentalisti indù, strettamente legati al regime di disuguaglianze del passato, centrato sullo sfruttamento di milioni e milioni di individui.”

Per quanto, infine, riguarda la Cina, Padre Cervellera ha spiegato che, mentre in Europa i valori storici della religione sembrano dimenticati, se non addirittura ripudiati, sempre più ampi strati della popolazione del “Paese dell’Impero di mezzo” ne ricercano, invece, le origini e guardano, con dinamica, via via, crescente, al Cristianesimo come ad una delle fonti primarie del Diritto e come ad un sicuro antemurale d’ogni “motivo” fonte di discriminazione e d’ingiustizia.“Ed è, per questo, - ha concluso – che il regime di Pechino, che ha paura della Chiesa, cerca di imbrigliarne le attività, negando la libertà di culto e calpestando, con ciò, uno dei Diritti Universali dell’Uomo”.
Sempre l’11 Febbraio, “provvidenzialmente” conclusosi il “caso Englaro” con il decesso naturale della giovane, afflitta da circa diciotto anni di sofferenze, prendendo spunto da quella tragica vicenda e dallo stato dei “lavori” per l’approvazione di una legge organica sul “Testamento Biologico”, che vede, in prima linea, come abbiamo già scritto, fortemente impegnati, grandi personaggi quali l’oncologo Umberto Veronesi, l’avvocato Maurizio De Tilla ed il magistrato-giornalista Lucio Militerni, autori, tra l’altro, di un libro assai esplicativo e significativo sulla materia (“Il Testamento Biologico. Verso una ”proposta di legge”), la LIDU, affida alla penna del direttore delle sue riviste, Gian Piero Calchetti, il compito di effettuare, tenendo sempre ben presenti i “sacri” principi su cui debbono poggiare le potestà umane, “codificati” nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, nella Costituzione Americana e nelle leggi fondamentali conseguenti alla Rivoluzione Francese, una riflessione, sul diritto a morire di cui era indiscutibilmente titolare Eluana.

Premesso che nessuno, traendo principio da postulati sacramentali o dottrinali di carattere strettamente religioso, che, in quanto basati su “atti di fede”, sono, per conseguenza, scientificamente indimostrabili in termini di “valenza”, verità e giustezza, può “imbanchettarsi” a pontificare, per tutti coloro (immancabilmente cattolici ferventi e professanti) che, non solo, osano definirsi “difensori della vita”, ma si permettono di accusare gli altri d’essere, sostanzialmente, stati, nel caso in specie (quello di Eluana Englaro), istigatori di morte, vale rammentare, allo scopo di ripristinare un minimo di
chiarezza in merito ai rispettivi ruoli storici, ciò che avvenne in Italia all’indomani della caduta della Repubblica Napoletana del 1799, in conseguenza delle mutate sorti rivoluzionarie francesi.

Ebbene, anche solo a voler ignorare che gli affossatori di quella Repubblica, una Repubblica in cui spiccavano, in veste di protagonisti, come affermano, tutt’oggi, gli storici più documentati ed avveduti, i migliori ingegni dell’Europa contemporanea, quali, tra i tanti, Francesco Caracciolo, Francesco Mario Pagano, Niccolò Carlomagno, Domenico Cirillo, Gaetano Filangeri ed Eleonora Fonseca Pimentel (mentre gli uomini furono, poi, tutti impiccati, alla Pimentel, in quanto nobile, venne risparmiata la forca, per cui fu “sottomessa” al taglio della testa, più consono ad una contessa d’antica schiatta), si distinsero per la particolare ferocia con cui devastarono la città, vale la pena ricordare la figura del tristemente famoso “controriformatore” Cardinal Fabrizio Ruffo, antenato dell’attuale regina del Belgio, Paola.
Ebbene, questi, in attesa che Napoli venisse, per così dire, “pacificata”, così come fu, poi, detto, nel 1831, della capitale polacca (“L’ordine regna a Varsavia”), dalla sanguinaria e scatenata “marmaglia”, costituita dai famigerati Lazzari, accozzaglia di fanatici devastatori, fedelissimi a Ferdinando IV, non fu da meno di quei “profanatori”.

Dopo avere, infatti, impartito ad essi “preliminare” assoluzione per ogni e qualsivoglia delitto avessero voluto o potuto commettere nel compiere le loro “eroiche gesta” (nella loro furia animalesca, come ebbe anche a scrivere Alexandre Dumas figlio, redattore di una cronaca puntuale di quegli avvenimenti, arrivarono, tra l’altro, addirittura a stuprare, brutalizzare e letteralmente squartare decine di suore di clausura ristrette nei rispettivi conventi), fissato il quartier generale alle porte della città, s’appostò presso il Ponte della Maddalena a fare incetta di teste di Repubblicani e Giacobini, pagandole secondo una tariffa preordinata assai accattivante ed incitante all’omicidio, ben sei ducati l’una.

Nel frattempo i Lazzari danzavano intorno a fuochi predisposti per bruciare i difensori della Repubblica “gridando“: “A sei grani a rotolo la carne dei Repubblicani!”.

 

Similmente, anche se con altre terrificanti procedure, si comportarono, pressoché in contemporanea, le scalmanate ed orrifiche (per i simulacri ed i tetri labari che innalzavano) le schiere e le accozzaglie, sollecitate al massacro dalla Chiesa, dei “Viva Maria”, costituite, soprattutto, da grassatori, stupratori ed assassini, che furono protagonisti di delitti d’ogni genere e specie, a Firenze, Siena ed Arezzo: Ebrei, Repubblicani e Giacobini (intere famiglie), dopo essere stati proditoriamente aggrediti, bastonati, pugnalati, infilzati ed inforcati con “forche” da fieno, ancor vivi, venivano gettati sui roghi, e la loro carne, “abbrustolita”, fatta a pezzi e messa dentro ampi panieri, era venduta, tanto all’oncia, per essere mangiata.

Di converso, è senz’altro da valorizzare, in ogni senso, la figura di Giuseppe Mazzini.

Personalità eccezionale, se non unica, nel contesto della storia moderna universale, da esaltare, non solo per le “battaglie” risorgimentali, prefigurate, preconizzate, preparate, stimolate e condotte, di cui, ancora, non ha “ricevuto” il giusto merito e la giusta riconoscenza dagli Italiani, ma anche per le virtù irreprensibili di pubblico amministratore, riconosciutagli, addirittura, dal “nemico” (basti pensare, al riguardo, che, dopo la caduta della Repubblica romana del 1949, il “restaurato” governo pontificio, ebbe ad “inquisire” il Genovese esclusivamente per aver ordinato, durante il “triumvirato”, la requisizione delle carrozze dei Cardinali), e per la “materia” delle potestà “originarie” del cittadino, in quanto strettamente attinenti, soprattutto con il suo “Apostolato popolare” ed i “Diritti e Doveri dell’Uomo”, alle tematiche relative al Diritto universale, nella sua più ampia accezione.
Ragione, quindi, di questa “incombenza”, chiarificatrice di quale sia, ab imis, la “categoria” dei diritti inalienabili ed inviolabili dell’uomo, è stata quella di rendere palesi le basi sulle quali poggia il diritto, primo e supremo, di ogni uomo di disporre innanzitutto della propria vita, senza se e senza ma, e soprattutto, senza che nessuna autorità, ivi comprese quelle religiose o statuali, possano consentirsi deroghe di compromesso o di diniego, come, invece, il governo italiano, nella persona del Ministro Sacconi e la Chiesa di Roma, a livello di ogni gerarchia, hanno tentato, a lungo, di fare in merito alla “sorte” di Eluana Englaro.

Per cui, anche se pochi possono vantarsi di conoscere a fondo Mazzini e le sue opere, per parte nostra, visto che, in più occasioni, ma soprattutto per quel che riguarda la primazialità del suo pensiero, in Italia e nel mondo, in materia di Cooperazione con la C maiuscola, riteniamo di saperne quel tanto che basta per “calare”, nel profondo del “Caso Englaro”, l’originalità delle sue valutazioni in merito alla funzione fondamentale che, nel contesto di un consesso umano, socialmente, economicamente, etnicamente ed intellettualmente composito, assume il rispetto categorico dei diritti e l’ingiunzione di precisi doveri per ogni singolo “cittadino”.
Ebbene, senza addentrarci in analisi sofisticate dei due concetti cardine della vita politico-sociale, possiamo semplicemente dire, senza timore di smentita, che Mazzini, tra i padri indiscussi della “vera” Democrazia, probabilmente attingendo anche alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, alla Costituzione Americana ed alla Rivoluzione Francese, di cui, comunque, esecrò ogni “eccesso”, affermò che ogni individuo è titolare di diritti universali inalienabili; diritti che, se pure assoluti, debbono trovare limiti e contemperamento in quelli degli altri.
Parimenti, Mazzini ebbe pure ad affermare che, nel contesto di una società naturale od aggregata, esistono doveri a cui nessuno può sottrarsi, quali quelli della famiglia, per esempio, ovvero quelli verso il prossimo, come quelli verso la società, democraticamente “testata”, all’interno della quale, per sorte, si trovi a vivere.

Democraticamente testata, in quanto, derivando dall’eguaglianza, ab origine, di ogni uomo, senza alcun elemento di discrimine etnico, religioso, politico o sessuale, questa specifica connotazione costituisce l’assunto fondamentale cui sottostanno, a garanzia generale, la fruizione complessiva dei diritti e l’impegno ad ottemperare, di converso, a tutta una serie di doveri.
Ragion per cui, secondo Mazzini: “La Patria è una comunione di liberi ed eguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale.
La Patria non è un aggregato, è una associazione.
Non v’è, dunque, veramente Patria senza un Diritto uniforme.
Non v’è Patria dove l’uniformità di ogni Diritto è violata dall’esistenza di caste, di privilegi, di ineguaglianze - dove l’attività di una porzione delle forze
e delle facoltà individuali è cancellata od assopita - dove non v’è principio comune accettato, riconosciuto, sviluppato da tutti, v’è non nazione, non popolo ma moltitudine, agglomerazione fortuita d’uomini che le circostanze riuniranno, che circostanze diverse separeranno”.

La Costituzione Italiana, “alto” documento di libertà, che, non ostante sia, per modernità di contenuti, di contrappeso di “poteri” e di giustizia sociale, universalmente invidiato, qualcuno vorrebbe modificare ad “ogni piè sospinto”, sulla base del “principio” universale che attribuisce all’uomo la facoltà di disporre, senza limiti, della propria vita e della propria persona, prevede il diritto di rifiutare ogni forma di cura, così come di non alimentarsi e morire d’inedia, o di suicidarsi.
Il diritto, quindi, in quanto espressione di libertà, sia naturale che codificata, non può minimamente essere “imposto”, bensì fruito od esercitato secondo la volontà di chi ne è titolare.
Se così non fosse, si determinerebbe un patente antinomia tra due categorie politico-giuridiche di pari valenza, quella del diritto e quella del dovere, che, in quanto concettualmente distinte, non possono, per loro stessa natura, confliggere o prevaricarsi vicendevolmente.
Se così non fosse, l’imposizione ad esercitare un diritto, diventerebbe automaticamente obbligo a compiere un dovere. E questo non può essere, in quanto evidente “contraddizione in termini”, Perché diciamo questo?

Diciamo questo perché, se la povera ragazza (in coma vegetativo ed irreversibile da oltre tre lustri), in più occasioni, quando era perfettamente “presente” a se stessa, aveva espressamente manifestato il desiderio d’essere lasciata morire in pace nel caso si fosse trovata nelle miserevoli condizioni fisiche in cui, poi, per mala sorte, è effettivamente “precipitata”, il diritto a poter disporre della propria vita, per nessuna ragione al mondo poteva essere conculcato, ovvero, trasformato in dovere di vivere comunque, sottostando, coattivamente, alla volontà di terzi.
Questo fatto, avrebbe prefigurato, di per sé, un atto costrittivo, d’imperio e di vera e propria violenza fisica.
Non a caso, la netta distinzione tra diritti e doveri costituisce l’elemento cardine di ogni sistema Democratico.
Se così non fosse, è bene ribadirlo, saremmo al cospetto di un regime automaticamente autoritario e dittatoriale. Soprattutto, se indotto da motivazioni trascendentali o confessionali, derivanti da supposte “verità rivelate” o postulati indimostrabili.
Con gli atti di fede si può nutrire la propria coscienza, non già il corpo di chi abbia chiaramente disposto, ex ante, d’essere lasciato morire in pace al compiersi di determinati eventi.

Qualcuno, anzi molti, e tra questi lo stesso Papa, per altro con più sensibilità e garbo del nostro capo di Governo, che ha addirittura accusato papà Englaro di aver voluto liberarsi di un “incomodo”, ha però messo in dubbio che la “poverina” abbia realmente manifestato la volontà d’essere lasciata morire, in caso fosse venuta a trovarsi in condizioni di coma vegetativo irreversibile.
Ebbene, pur prescindendo dai contenuti delle sentenze che si sono occupate del caso, da cui emergono testimonianze precise che smentiscono il Papa, con preciso riferimento alla Chiesa ed ai suoi comportamenti fattuali in materia di scioglimento, attraverso la Sacra Rota, di un Sacramento qual è il matrimonio, ci sentiamo senz’altro d’affermare che la Chiesa, nel complesso della sua istituzione, è l’ultima ad esser abilitata ad insinuare tali dubbi.
È, infatti, accertato (cosa su cui ci siamo soffermati anche in altre occasioni) che, nel corso dei tempi, soprattutto in quelli più recenti (non a caso, lo stesso Papa s’è sentito in dovere di formalmente raccomandare allo “speciale” tribunale comportamenti più restrittivi), molteplici, a prescindere da cause di impotentia coeundi, sono stati i matrimoni annullati con “manica larga”, in base a semplici dichiarazioni di parte e, spesso, di comodo, relative a volontà matrimoniali espresse con riserva mentale, estorte attraverso pressioni, minacce e quant’altro, a ragioni riparatorie di atti di violenza o seduzione subite in condizioni di subordinazione mentale o fisica, ovvero a rifiuto di procreare, oppure a sollecitazioni indotte da prefigurati “vantaggi” di carattere sociale od economico etc.

Di più, sempre con riferimento a coloro che si sono erti con arroganza e sicumera, a “difensori della vita”, ed a tutti quelli che, non paghi del compimento della tragedia, intendono ancora sofisticare sul fatto che, se pure la volontà di morire fosse stata espressa, questa volontà sarebbe stata, però, manifestata ex ante rispetto alla condizione di assoluta defaillance in cui il “testatore” sarebbe poi precipitato, ragion per cui nessuno è in grado di stabilire se, una volta determinatosi l’evento invalidante, questi avrebbe reiterato quei desiderata, è utile porsi una domanda.
Visto che, comunque, tutti questi sono improvvisamente diventati gli assertori ed i paladini di una legge urgente sul “Testamento Biologico”, che fin’ora è stata sostenuta soltanto da eminenti personaggi della laicità, cosa mai cambierebbe in proposito, considerato che anche il testamento biologico, per sua natura, non potrebbe che essere redatto ex ante?

Ma “lor signori”, in verità, affidano le loro velleità, ipocritamente “caritatevoli”, ad una riserva mentale: quella, cioè, di far “dire” alla legge ciò che il Ministro Sacconi ha scritto in una recente “disposizione amministrativa”, per altro invalidata da una specifica sentenza della magistratura milanese, ovvero che il personale sanitario addetto alla cura del paziente comatoso, non può interrompergli l’alimentazione e l’idratazione.
A parte il fatto che se questa clausola dovesse essere inserita in un disegno di legge sul “Testamento Biologico”, non solo si correrebbe il rischio di creare un vero e proprio “mostro giuridico”, di accelerare lo scollamento tra Paese ed istituzioni, di accentuare lo scontro tra Governo ed opposizione, di portare il conflitto di poteri istituzionali tra Palazzo Chigi e Quirinale al “calor bianco” d’irreversibilità, ma anche di evidenziare, in modo incontrovertibile, l’inutilità sostanziale di un tale provvedimento di legge.

Ci sarebbe, infatti, da chiedersi: quale mai logica e ragion d’essere presiederebbe ad un testamento biologico, espressione inequivocabile, come, del resto, avviene in tutti i testamenti, di una volontà da eseguire ex post, quando la motivazione stessa dell’atto, liberamente scritto o sottoscritto in via formale, relativa alla richiesta d’interruzione della vita al verificarsi di specifiche condizioni, non potesse trovare, poi, pratica esecutività, perché al personale sanitario è fatto divieto d’interrompere alimentazione ed idratazione?
Anche in opposizione a questo tentativo di “arrampicarsi sugli specchi”, teso a rimuovere ogni principio di rispetto per la persona, crediamo valga la pena ribadire e sottolineare, soprattutto a chi sembra non avere occhi per vedere ed orecchi per sentire, uno dei principi fondamentali dell’uomo: quello, cioè, che conferisce ad ogni individuo il diritto, insindacabile, di disporre, senza recare danno agli altri, della propria persona.
Per fortuna che, nella fattispecie della giovane Englaro, il Dio in cui tanti confidano quale principio e dominus di ogni cosa, forse ritenendo ormai impossibile fare il miracolo di restituire salute ad un corpo “devastato”, ha preferito percorrere la via più breve, semplice e sensata, accelerandone la morte, come pure tanta gente pietosamente chiedeva, rispetto ai tempi previsti dall’applicazione delle procedure sanitarie in corso.
Morte che ha liberato da uno strazio incontenibile le nostre coscienze, quella di papà Englaro, assieme a quella di tutti coloro che, in buona o cattiva fede, si sono “affannati”, comunque, per la sorte di Eluana.

Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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