Presa di Porta Pia
Anno 2008_20 Settembre
Il 20 Settembre, la LIDU, al termine delle celebrazioni rituali per la “Presa di Porta Pia”, che, ogni anno, le associazioni laico-risorgimentali e del libero pensiero, insieme alla municipalità, promuovono ai piedi del sacello commemorativo dell’ingresso dei Bersaglieri in Roma papalina, letteralmente basita per lo sconsiderato intervento d’un generale in pensione, consigliere comunale, nonché delegato, dal sindaco Alemanno, a rappresentare il Comune, stila il duro comunicato che segue.
Del tutto irritualmente, infatti, il rappresentante del sindaco, tra lo stupore e l’indignazione generale dei presenti, anziché commemorare i soldati italiani, che, prodotta la breccia ed entrando in Roma, erano caduti, per abbattere, una volta per tutte, l’antistorico ed oppressivo, per le libere coscienze e per i sudditi, potere temporale dei Papi, s’era abbandonato a suffragare, anziché i quarantotto “sfortunati” liberatori italiani (cui non aveva riservato cenno alcuno), i sedici “zuavi” mercenari, al soldo di Pio IX, periti negli scontri, elencandone, in aggiunta, i nomi, uno ad uno.
Conclusione peggiore non avrebbe potuto avere la 138^ celebrazione della presa di Roma, organizzata e tenuta, com’è tradizione, il 20 Settembre, a Porta Pia, nel punto esatto in cui fu aperta la “breccia”, attraverso cui, provenienti, di corsa, dalla Via Nomentana, irruppero irrefrenabili all’interno delle mura capitoline i bersaglieri; i bersaglieri che, occupata, dopo qualche scontro a fuoco, l’intera città, determinarono, contestualmente, la fine del potere temporale dei papi e l’acquisizione della città eterna quale capitale d’Italia.
Non avrebbe potuto avere conclusione peggiore perché, in un contesto di labari, di bandiere e vessilli che, in rappresentanza di molteplici associazioni laiche, del libero pensiero e dei valori risorgimentali, garrivano al vento di una mattinata di sole dopo giorni e giorni di pioggia fastidiosa, sono stati compiuti due “gesti” parimenti gravi e gratuiti, ai limiti dell’offesa dei princìpi che presiedono all’unità d’Italia ed alla laicità dello Stato repubblicano.
Il primo, giunto del tutto inaspettato al cospetto di un pubblico alquanto numeroso, costituito da esponenti politici e della cultura cittadina, membri autorevoli dei sodalizi che, sotto le più diverse fattispecie, fanno capo alla difesa dei Diritti Fondamentali dell’Uomo, ivi compreso il “Grande Oriente d’Italia”, unità militari in assetto d’onore, drappelli di bersaglieri in congedo, tra cui una soldatessa in servizio permanente effettivo, con tanto
di copricapo con le piume, due canuti garibaldini con i petti ricolmi di medaglie, che orgogliosamente sostenevano un labaro cosparso di ben 60 medaglie d’oro, ha visto protagonista oltremodo “sfrontato” e provocatorio il generale Antonino Torre, consigliere del Comune di Roma, con delega alla “memoria” da parte del sindaco Alemanno.
Questi, non sappiamo se per autonoma iniziativa, ovvero dietro suggerimento dello stesso sindaco, presa la parola, ha riservato l’intero suo, non breve intervento, elencando nomi e cognomi, alla commemorazione dei 16 soldati “mercenari” che, in occasione e dopo l’apertura della “breccia”, prodotta dalle batterie dell’esercito italiano, caddero per difendere il potere temporale della Chiesa.
Di più, l’esimio “generalconsigliere” della destra comunale, con delega alla memoria (a questo punto assolutamente di parte), mentre si è ben guardato dal ricordare, quali meritevoli della gratitudine della Patria, i quarantotto soldati italiani che perirono nella storica impresa (i loro nomi stavano, tra l’altro, ben scolpiti sulla lapide alle spalle del temerario oratore), si è pure astenuto da attribuire le colpe di quelle morti, come, del resto, quelle dei caduti per la difesa di Roma nel 1849, a chi ne era stato incontrovertibilmente responsabile; ovvero al “beato” Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, così come afferma il Padre gesuita Giacomo Martina, docente all’Università “Gregoriana”, nella monumentale biografia di quel Pontefice.
Il secondo, automatica conseguenza dell’inqualificabile gaffe del Consigliere alla memoria, è avvenuto allorché, dopo che il vicesindaco Cutrufo, l’assessore provinciale, Cecilia D’Elia, e l’assessore regionale, Alessandra Tebaldi, avevano portato il “saluto” delle rispettive rappresentanze istituzionali del territorio, gli esponenti, appunto, delle associazioni laiche, del libero pensiero e dei sodalizi, facenti capo ai valori del Risorgimento ed alla difesa dei diritti dell’uomo, hanno chiesto la parola, così come è, ormai, consuetudine ultracentennale.
Alla prima richiesta, gli organizzatori dell’evento, che riteniamo facciano capo al Comune di Roma, nel timore che alcune di queste autorevoli persone, se non addirittura tutte, intendessero replicare alle incaute quanto temerarie parole del consigliere Torre, tra l’indignazione generale, hanno sottratto il microfono e spento gli altoparlanti.
A questo punto ed alla luce di recenti fatti pregressi, non ci resta che preoccuparci per la piega che sembra stiano prendendo, per altro assai speditamente, in termini di revisionismo “forzato”, gli eventi politici relativi alla storia recente e meno recente del nostro Paese.
Ieri, l’onorevole Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, in occasione dell’8 Settembre, ha chiesto di commemorare, in pari misura, sia coloro che caddero per impedire alle truppe tedesche di occupare Roma, sia i giovani della “Nembo” di Valerio Borghese, uno dei più importanti comandanti militari della Repubblica di Salò, che caddero sul fronte di Anzio e Nettuno, opponendosi alle truppe “liberatrici” degli Alleati.
Oggi, il consigliere comunale di Roma, con delega alla memoria, giunge addirittura a riesumare, attraverso la commemorazione dei mercenari che caddero per difendere il potere temporale dei Papi, i ”fastigi” di uno Stato che, prima e dopo l’effimera quanto preziosa esperienza della Repubblica Romana del 1849, ebbe a distinguersi, rispetto alla generalità degli altri Stati del tempo, soprattutto per alcuni sintomatici quanto esclusivi “primati”: un regime di polizia talmente duro e feroce da non temere confronti; l’applicazione sistematica della pena di morte; un numero spropositato di carcerati rispetto alla popolazione residente; la diffusione generalizzata del meretricio a Roma e nel resto del territorio; una condizione di miseria che, oggi, definiremmo da “Terzo Mondo”; una sperequazione sociale vergognosa quanto strettamente codificata ed immutabile.
Non a caso, sempre il Padre gesuita, Giacomo Martina, scrive che, a quel tempo, nello Stato Pontificio, su poco più di 2.500.000 abitanti, ben 400.000 erano “carcerati, accattoni, ciarlatani, oziosi, ed altra gente compresa in questo genere sì pernicioso alla società”.
A chiusura di questa amara cronaca di una commemorazione, “stravolta”, di fatti che, per quel che ci riguarda, ritenevamo e continuiamo a ritenere abbiano significativamente “segnato”, in positivo, l’evoluzione della nostra storia recente, ci sia consentito porre una domanda retorica: ma come fa la Destra Nazionale a commemorare oggi i mercenari dello Stato Pontificio, caduti in occasione della liberazione di Roma dal giogo papale, quando neppure il Fascismo, che pure con la Chiesa realizzò l’intesa del “Concordato”, ebbe il coraggio di apporre, in loro memoria, una lapide sul luogo della breccia?
Non ci rimane che aspettarci che, la prossima volta, questi incauti epigoni del Fascismo, visto che Pio IX, è addirittura assurto, di recente, alla gloria degli altari attraverso la beatificazione, ne chiedano la riabilitazione storica.
Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli