Provvedimento di legge sulle espulsioni
Anno 2009_09 Luglio
Il 9 Luglio, la LIDU, preso in esame il cosiddetto “Provvedimento di legge sulle espulsioni”, ritenendolo un vergognoso esempio di sostanziale “aberrazione giuridica”, elabora un documento d’analisi d’insieme, che, di seguito, riportiamo, e che denuncia, assieme ad una vergognosa incultura “politico-sociale” di chi l’ha concepito ed elaborato, una visione dei rapporti umani tra simili, non soltanto permeata da una valutazione assolutamente egoistica della vita, ma anche una concezione strutturalmente intollerante e razzistica nei confronti di chi, “diverso” da noi, sotto varie fattispecie, per ciò stesso è, senz’altro, da discriminare e “coartare” ab origine.
Innanzi tutto, in merito al recente provvedimento di legge sulle espulsioni, è necessaria una riflessione preliminare. Riflessione che deve partire da due domande: Quali sono le ragioni che inducono un essere umano a migrare, magari affrontando gravissimi rischi personali, come, ad esempio, quello di perdere la vita nel corso di una naufragio o di morire d’asfissia o di stenti all’interno di un container o nel doppiofondo di un camion rimorchio? Una volta che, dopo aver, letteralmente, “tagliato i ponti” con la realtà d’origine ed essere approdato, pieno di speranze, in un altro Paese, se non ha di che vivere onestamente, cosa è disposto a fare per sopravvivere?
Le due domande, che, tanto sono scontate la risposte da dare, possono sembrare addirittura tautologiche, dovrebbero consentire a tutti, indiscriminatamente, un “approccio” al “problema” sostanzialmente scientifico, ovvero un giudizio che, del tutto avulso da ideologie, razzismi e pregiudizi, guardi al fenomeno delle migrazioni sulla base dell’assunto che chi migra non lo fa certamente per “diporto”; così come non lo fecero per diporto le tante generazioni d’Italiani che, nei secoli scorsi, si “mossero” per l’Europa o traversarono gli oceani.
Quindi, chi migra lo fa, in larga parte, per stato di necessità o per fuggire da condizioni di vita impossibili, sia dal punto di vista sociale che politico.
Se così è, come è, una società giusta e solidale, mentre, da una parte, deve essere, in grado di accogliere tutti coloro che reclamano asilo, a prescindere dallo status di perseguitati politici che eventualmente li assista, dall’altra, deve pure “esportare” Democrazia nei Paesi di provenienza e promuovere iniziative economiche in grado di emanciparne, al più presto, le popolazioni.
Naturalmente, la soluzione del secondo corno del problema, a meno che non si vogliano fare chiacchiere, od “abbaiare alla luna” come i cani da pagliaio, non può che passare, visto che, nella fattispecie, si tratta di una partita da giocare sostanzialmente “fuori casa”, attraverso una rivisitazione concreta dei modi d’intervento e d’approccio nelle aree sottosviluppate sotto tutti i punti di vista; in primis, quelle in cui alla mancanza di Democrazia si associa il disfacimento economico, sociale e morale.
Rivisitazione da realizzarsi, soprattutto, modificando il modo d’agire degli organismi internazionali di rappresentanza comune, ricomprendendo fra questi, assieme alla costosissima Organizzazione delle Nazioni Unite (che, sempre più fa mostra d’essere afflitta dalle medesime defaillances ed impotenze, cui andò incontro la “fallita” Società delle Nazioni), anche le istituzioni preposte alla difesa comune.
L’ONU, ad esempio, dovrebbe cominciare ad espellere dal proprio consesso assembleare gli Stati che praticano la pena di morte e quelli in cui non esiste Democrazia né formale, né sostanziale.
Sulla base di queste premesse, diventa addirittura scontato il fatto che la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, così come insistentemente ci raccomandano le organizzazioni internazionali cui aderisce, sia, per principio, contraria, in assoluto, ad ogni tipo di “respingimento”.
Sia che esso si formalizzi verso chi chiede asilo politico, sia che venga applicato verso chi semplicemente migra nella speranza di accedere ad un “sistema” socio-economico che gli consenta di vivere. E siccome siamo altresì convinti che, all’ombra dell’egoismo, non solo si costruisce una società ingiusta, ma si coltiva anche l’illusione di non dover, prima o poi, volenti o nolenti, in modo ponderato od indotto da stato di necessità, fare i conti con l’insorgere di movimenti migratori transcontinentali cui, per forza di cose, sarà impossibile, in futuro, opporsi pacificamente, giudichiamo il recente provvedimento sulla sicurezza, in cui, nel contesto di un coacervo di problematiche, anche antitetiche le une con le altre, si pensa di dare soluzione alle tante “angosce” che opprimono il nostro Paese, un atto assolutamente sbagliato e “sgradevole”, sia per le motivazioni razziste che lo sottintendono, sia per il malanimo che lo permea, sia, infine, per la sostanziale incapacità di risolvere i problemi da cui sembrerebbe trarre ragion d’essere.
Riteniamo, quindi, che il provvedimento legislativo, non solo risulterà complessivamente inutile per la società, ma addirittura dannoso, in primo luogo, per gli Italiani.
E questo, soprattutto, per chi è, più d’ogni altro, abbisognevole di sostegni e di servizi primari, quali, ad esempio, quelli relativi all’Assistenza in senso generale, che, allo stato delle cose, se non all’altezza delle sue tasche, è fruibile esclusivamente attraverso risorse umane derivanti dai flussi migratori.
Ad abundantiam, senza voler proprio affermare che, forse, è solo attraverso il lavoro nero degli irregolari, i versamenti previdenziali dei regolari, e, comunque, attraverso l’”accumulo” di risparmio degli uni e degli altri, che la nostra economia ed i nostri conti pubblici, al limite del default, riescono ancora a stare in piedi, ci sentiamo, con sicurezza, di dire che, ad ogni buon conto, è certamente utile perseguire il disegno di un’accoglienza umanamente organizzata in modo da metabolizzare al meglio chi è, a prescindere dall’etnia di provenienza, portatore di valori, prerogative, culture ed esempi di civiltà, che, seppure diversi, possono intrecciare sinergie evolutive con la nostra, a vantaggio di ognuno.
Ragion per cui, riteniamo parimenti utile e doveroso analizzare i vari punti del contestato provvedimento, composto da 66 articoli.
Ebbene, espungendo quelli relativi al “giro di vite” nei confronti dei reati di mafia, come quelli, in sedicesimo, contro chi (il cosiddetto “graffitaro di strada”), soprattutto nottetempo, “imbratta” monumenti e proprietà pubbliche o private, riteniamo di poter già dire, in premessa, che l’applicazione degli altri articoli, in un contesto ai limiti del collasso in cui già si trova il nostro sistema giudiziario, è probabile finirà per determinare una paralisi procedurale che, prima d’ogni altra causa, è fomite indiscusso d’ingiustizia.
Parimenti, con l’assimilazione automatica dello stato di clandestinità alla perpetrazione di un reato (chi è clandestino è automaticamente reo), non solo si compie un atto di brutale violenza contro inermi, in disdoro dei più elementari diritti dell’uomo, ma, nella fattispecie, si determina, di converso, un’ipotesi di reato di correità nei confronti dei cittadini italiani (soprattutto delle famiglie poco abbienti) che, pur a conoscenza della condizione irregolare del clandestino, soprattutto a ragione delle scarse risorse economiche di cui possono disporre, non sono in grado di rinunciare ad un minimo di ausilio domestico.
Tralasciando, infine, dal considerare come ineludibili e, quindi, da assecondare, in termini di disponibilità all’“accoglienza”, i flussi migratori, se non altro per “tamponare” come, da tempo, asseriscono gli esperti in materia, il “deflusso demografico” (bassi indici di natalità) da cui sembra essere irreversibilmente afflitta l’Italia, con gravi conseguenze sul PIL, riteniamo che, se si ha una visione ed un comportamento laico nella conduzione della “cosa pubblica”, non debba e non possa essere “paventato”, come molti, invece, sono sollecitati a credere, il rischio di un’islamizzazione del Paese.
Al riguardo, infatti riteniamo di non essere, affatto, utopistici se affermiamo, con piena convinzione, che uno Stato forte, democratico, laico e condiviso, supportato dal rispetto dell’etnia, delle abitudini, del pensiero e della convinzione religiosa di ciascun cittadino, non consentirà mai a nessuno atti di sopraffazione religiosa, ideologica o fisica contro il “prossimo” diverso, ivi compreso il diverso per costume sessuale.
Entrando, quindi, più in concreto nel “palinsesto” relativo al Ddl sulla sicurezza, dobbiamo, innanzitutto, ribadire che è, non solo un’anomalia giuridica ma, addirittura, una perversità morale, l’istituzione di un reato quale quello dell’”Immigrazione clandestina”, dal momento che viene ad essere punita una condizione di fatto e non il comportamento e l’azione di una persona; azione e comportamento che soli sono alla base del diritto penale e della conseguente perseguibilità del reo.
L’obbligo, poi, della denuncia da parte dei pubblici ufficiali, premesso che rischia di riaprire il “contenzioso” con la categoria dei medici, soprattutto quelli ospedalieri che, assimilati, di fatto, a pubblici ufficiali, avrebbero l’obbligo di “segnalare” alle autorità costituite l’”irregolare” che si affidi alle loro cure, riteniamo che, anche solo questo aspetto del “provvedimento” legislativo in fieri, a prescindere dall’’ulteriore disumanità dell’”insieme”, si configuri, non solo, come sicuro prodotto di una mentalità, più da sbirraglia austriaca d’infausta rimembranza risorgimentale, che da Polizia di uno Stato evoluto e sovrano, quale dovrebbe essere il nostro, ma anche come “scaturigine” di altre problematiche gravi e dannose per la nostra società.
Basta solo pensare che i clandestini, magari affetti da malattie contagiose, eviteranno fino all’ultimo, di affidarsi ad un presìdio sanitario pubblico, ovvero cercheranno nel circuito clandestino, magari malavitoso, sollievo alla loro salute, per finire inevitabilmente taglieggiati ed esposti ad ogni sorta di ricatto.
Di più! È di questi giorni, infatti, la notizia della ragazza clandestina che, temendo di recarsi in ospedale e così facendo d’esporre ai rischi della legge se stessa e la persona che accudiva come badante, è morta d’emorragia conseguente ad un aborto spontaneo.
È, altresì, sempre di questi giorni l’altra notizia relativa a quell’operaio che è giunto cadavere in ospedale perché il datore di lavoro, un artigiano, ha ritardato oltre ogni ragionevole indugio il suo trasporto al pronto soccorso.
Per quanto, poi, riguarda la categoria dei o delle “badanti”, ultimo scalino dell’occupazione clandestina (addirittura emblematica del turn over delle etnie che, nel corso degli ultimi anni, si sono avvicendate in questo pesante lavoro: prima i Filippini, poi i cittadini dell’Europa dell’est, cui hanno fatto seguito i Sudamericani e, via via, i Cingalesi, gli Africani del nord ed i “neri” dell’Africa continentale e del Capoverde; oggi i nostri “vecchi” sono soprattutto assistiti da valide badanti moldave ed ucraine) non sono solo a rischio i clandestini ma, addirittura, le famiglie degli assistiti.
Ed è, soprattutto, in questo settore di attività che si “misura” quanto sia pretestuosa e fallace l’asserzione di molti che, in malafede, “gridano” impunemente che i clandestini “rubano” il posto di lavoro agli Italiani. Menzogna delle menzogne! Basta controllare ed è facile accorgersi che (salvo casi rarissimi) gli Italiani non accettano un lavoro così disagevole qual è quello del o della badante, disponibile (a prescindere dal vitto e dall’alloggio, ad assistere, fatta salva la giornata di riposo, un disabile irreversibile per un compenso pari ad un massimo di 1.000 Euro al mese, 24 ore su 24).
Rischi similari li correrà chi affitta una casa od una stanza a stranieri “irregolari”.
Inoltre, il “combinato disposto” tra questa norma, che trasforma i Centri di Permanenza Temporanea (CPT) in Centri di Identificazione ed Espulsione (CEI), e la recente sentenza della Cassazione, a nostro parere del tutto ingiustificata, se non addirittura aberrante quanto iniqua, in merito al fatto che, trovarsi in un centro di accoglienza, in attesa di ricevere risposta ad una richiesta di asilo politico, non può più valere come sospensiva del provvedimento d’espulsione, ha fatto sì che, giorni addietro, nel CEI di “Ponte Galeria”, alle porte di Roma, quattro immigrati clandestini, di cui abbiamo già “trattato”, venissero letteralmente aggrediti da alcuni agenti di polizia, in assetto da antisommossa, che, dopo averli “abbondantemente” percossi, in quanto “resistenti”, li hanno trascinati via a forza per l’espulsione.
“Rischi” quali quelli che, di fatto, tengono lontani dai presìdi sanitari pubblici e privati chi si trova in stato di clandestinità, possono pure essere paventati per quel che riguarda l’accesso alla scuola ma, soprattutto, è intollerabile la “disposizione”, che, sottintendendo, a nostro parere, una disumanizzazione totale del rapporto tra simili, impedisce il “riconoscimento” dei figli naturali, frutto di matrimoni “rituali” o di semplice convivenza.
Lasciamo, quindi, alle pagine de “Il Corriere della Sera” il compito di fare chiarezza in merito.
“Il Corriere” dopo aver premesso, sotto il titolo “La registrazione all’anagrafe”, che “Il permesso di soggiorno diventa obbligatorio per qualsiasi atto: registrazione nuovi nati, matrimonio, etc.”, si domanda: “Che cosa cambia?”.
Questa la risposta letterale: “La registrazione all’anagrafe non sarebbe possibile e i bambini appena nati, non potendo essere riconosciuti, diventerebbero adottabili” (sic!).
Da queste ed altre disposizioni, che è altamente limitativo definire insulsaggini, e che trasudano di razzismo, intolleranza, autoritarismo e quant’altro, una cosa è certa: in ogni caso e comunque, questo governo, sotto ogni più diverso aspetto, cerca di “far cassa” sulle miserie di esseri inermi ed indifesi, alla totale mercè di chi, “strafregandosene” dei diritti primari dell’uomo, patrimonio, ab origine, d’ogni individuo, non si vergogna di “vendere” (anche sulle rimesse di danaro alle famiglie” si taglieggia) permessi ed autorizzazioni, addirittura a prezzi da strozzini.
Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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