In memoria ad Antonio Gelsomino
Thursday, November 21, 2024

I messaggi alle camere, i messaggi liberi del Capo dello Stato

napolitano

I MESSAGGI ALLE CAMERE, I MESSAGGI “LIBERI” E LE ALTRE ESTERNAZIONI.

Nel testo della Costituzione non si rinvengono se non due cenni espliciti, oltre ad un’implicita allusione, al “potere presidenziale di messaggio”: in via principale e generale, nel comma 2° dell’art. 87, che abilita il Presidente ad inviare «messaggi alle Camere»; più specificatamente, nel comma 1° dell’art. 74, per cui «il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con un messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione» (il che, per altro, attiene al potere di controllo, piuttosto che alle «esternazioni» presidenziali, per sé considerate); ed implicitamente, infine, nell’art. 91, che si limita a disciplinare il giuramento prestato dal Presidente, prima di assumere le sue funzioni, ma con ciò stesso comporta un riferimento indiretto ai «messaggi introduttivi» ovvero a quelli che già Einaudi definiva come i «messaggi dopo il giuramento» (anche se, a stretto rigore, si tratta non tanto di messaggi alle due Camere, quanto di “discorsi” tenuti dai vari Presidenti al Parlamento in seduta comune per fissare o preannunciare lo «stile» della presidenza appena incominciata(1)).

 

I messaggi sono stati però classificati fra gli atti d’iniziativa presidenziale e le relative controfirme si sono risolte in adempimenti formali, dei quali si è fatto varie volte a meno.

Si pensi, in tal senso, alla lettera inviata al Presidente Gronchi ai Presidenti delle due Camere, il 3 aprile 1957, circa il problema dell’integrazione dell’Alta Corte per la regione siciliana; e si ricordi, inoltre, il caso del discorso celebrativo, letto dallo stesso Gronchi dinanzi alle Camere riunite il 25 marzo 1962, nel centenario dell’Unità d’Italia (per non dire del messaggio indirizzato al Parlamento il 22 dicembre 1957, del decennale della promulgazione della Carta Costituzionale(2)).

Ovviamente esenti da controfirma sono anche i «messaggi introduttivi».

Ma ciò non toglie che la correttezza costituzionale richieda la previa comunicazione del loro testo al Presidente del Consiglio dei Ministri (come si è verificato, in effetti, anche per il discorso d’insediamento del Presidente Pertini).

Nella prassi la controfirma non è apposta nei messaggi di insediamento, né è stata controfirmata la «lettera» inviata nel 1957 dal Presidente Gronchi ai Presidenti delle Camere, nella quale si esprimevano dubbi sulla reintegrazione della Alta Corte presso la Regione Siciliana.

Sono stati controfirmati, invece, sia il messaggio formale inviato dal presidente Segni il 16 settembre 1963 nel quale si segnalava l’opportunità di sopprimere il «semestre bianco» e di prescrivere il divieto di rieleggibilità del P. d. R., sia quello del Presidente Leone inviato alle Camere il 15 ottobre 1975, nel quale si tracciava un quadro globale della situazione delle pubbliche istituzioni, dei loro difetti e della necessaria opera di rinnovamento da compiere.

Sebbene nei lavori preparatori si fosse sottolineato che il messaggio avrebbe potuto provare applicazione soprattutto nei momenti di particolare gravità della vita nazionale, attribuendo perciò all’istituto in esame il carattere della straordinarietà, taluno afferma che la sempre maggiore estensione del potere di esternazione presidenziale, nelle forme e nelle occasioni più varie, coinvolga anche i messaggi formali, i quali dovrebbero essere quindi ritenuti di esercizio di un potere assolutamente ordinario(3).

Il potere di messaggio, in contrapposizione alla generalità degli altri poteri effettivamente presidenziali, si è inaridito e sembra destinato a cadere in quella «sorta di disuso» che lo stesso Leone paventava; né si può dire accidentale che la Presidenza Pertini non abbia offerto in maniera casistica alcuna, malgrado, il ripetuto preannuncio di un messaggio alle Camere, che il C. d. S. pareva propenso ad elaborare.

Da diverso punto di vista si nota che lo scarso numero di messaggi formali sino ad ora inviati alle Camere sarebbe sintomo del disuso in cui è caduto tale strumento presidenziale, ormai «spuntato»; l’esperienza, inoltre, avrebbe dimostrato che i messaggi formali sono risultati inefficaci o addirittura, dal punto di vista dei riflessi politici, “disturbanti”.

Circa il contenuto e le finalità del messaggio formale, parte della dottrina è dell’opinione che esso dovrebbe essere ricollegato alla funzione di controllo esercitata dal C. d. S. in base all’art. 74, co. 1° anche al fine di controllare l’operato governativo sotto il profilo dell’indirizzo politico costituzionale, senza però interferire nella formazione della volontà del Governo(4).

Altri rilevano che oggetto di messaggio possa essere la pubblica denuncia di violazioni costituzionali commesse dall’esecutivo, oppure la segnalazione di necessità comuni o il richiamo ad esigenze particolarmente sentite nel Paese, ponendosi sempre al di sopra e fuori dagli schieramenti politici, o l’invito alla concordia e alla conciliazione nazionale.

Nella prassi, cioè, appare ormai del tutto svalutata l’originaria opinione che il Parlamento fosse l’unico interlocutore pubblico del C. d. S. quanto tale (parallelamente al Governo, che del Presidente costituisce invece l’interlocutore riservato).

In effetti, concezioni del genere, che in sostanza ritenevano connaturato alla carica presidenziale il silenzio anziché la parola, hanno cominciato ad incrinarsi già nel corso della Presidenza Einaudi, allorché le lettere e gli appunti trasmessi con grande frequenza dal Presidente ai diversi Ministri furono talvolta resi noti, sebbene in via successiva.

Non a caso, è stato appunto nel corso della Presidenza Gronchi che la dottrina costituzionalistica ha tentato di configurare uno specifico “potere di esternazione” ed ha talvolta esaltato i messaggi informali fino al punto di definire il Presidente della Repubblica come «Viva vox Constitutionis»(5).

Ed anche la Presidenza Leone ha ribadito la tendenza stessa, come stanno a dimostrare le interviste presidenziali alla stampa, rilasciate sia prima che dopo l’invio del ricordato messaggio formale alle Camere.

Non può far trascurare l’ulteriore, grandissimo rilievo che i messaggi informali hanno infine acquisito durante la Presidenza Pertini; tanto da spingere i commentatori a ragionare senz’altro di un «nuovo corso» delle esternazioni presidenziali e a considerare tale settennato come un’esperienza forse unica ed irripetibile, di cui le manifestazioni in esame rappresenterebbero la chiave di volta(6).

Nei messaggi formali, inoltre, si individua una possibile funzione propositiva, che consentirebbe l’attiva partecipazione del Presidente alla vita politica nazionale; ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, quando si richiamasse l’attenzione del potere legislativo su specifiche esigenze non pienamente soddisfatta dalla vigente legislazione(7).

In definitiva appare corretta la tesi dottrinale che constata la possibile pluralitĂ  di contenuti e di finalitĂ  del messaggio formale.

In relazione alla procedura da seguire nell’esercizio del potere in oggetto, dall’interpretazione testuale dell’art. 87, co. 2°, si deduce che il messaggio debba essere inviato al P. d. R. ad entrambe le Camere (e non ad una sola di esse), rigettando l’ipotesi che il C. d. S. possa leggere direttamente il messaggio davanti alle Assemblee Parlamentari(8).

Riguardo ai messaggi non formali, essi sono ricondotti al potere di esternazione e definiti come manifestazioni del pensiero presidenziale rivolto non alle Camere, ma a qualunque altro destinatario e genericamente alla pubblica opinione o al popolo; tali dichiarazioni, non concretizzandosi in atti tipici, sono per definizione sottratte alla controfirma ministeriale.

In proposito parte della dottrina ricorre alla figura della controfirma tacita o implicita, consistente nella presunzione che l’adesione del Governo sussista a posteriore per il solo fatto che quest’ultimo non si sia dimesso a seguito della dichiarazione presidenziale(9).

Premesso che in materia di esternazioni informali non sussistono specifici limiti giuridici normativamente previsti, ma solamente regole convenzionali o di correttezza (sulla difficoltà di intendere e di rispettare tali limiti convenzionali), la dottrina ritiene che il P. d. R., quando esterna informalmente il suo pensiero, non debba assumere posizione di parte, né impegnare con le proprie dichiarazioni l’autorità governativa, soprattutto quando si trovi al di fuori dei confini dello Stato o quando indirizzi tali esternazioni ad organi di Stati stranieri(10).

Si tratterebbe di auto limiti necessari, in quanto riconducibili alla posizione presidenziale di organo imparziale e super partes ; essi, però, dipenderebbero dal senso di misura e responsabilità proprio di ciascun Presidente e perciò potrebbero variare da Presidente a Presidente.

In particolare le dichiarazioni rilasciate dal C. d. S. in materia politica estera dovrebbero essere preventivamente concordate con il Governo e comunque armonizzate con gli indirizzi di quest’ultimo e della maggioranza parlamentare(11).

Parte della dottrina ritiene che il P. d. R. potrebbe esternare il proprio pensiero quando ciò fosse richiesto dall’esercizio delle funzioni attribuitegli.

Sarebbero perciò da considerarsi inammissibili conferenze stampa, interviste o comunicati alla stampa che, non essendo legati ad alcuna specifica funzione presidenziale, potrebbero creare la convinzione che il C. d. S. fosse centro politico distinto da Governo e Parlamento, e perciò soggetto politicamente ed autonomamente responsabile.

Altra parte della dottrina ritiene che le esternazioni presidenziali informali trovano giustificazioni non solo sulla base delle funzioni specifiche attribuite al C. d. S., ma anche e soprattutto sulla base della qualifica costituzionale di «rappresentante dell’unità nazionale», perciò consentendo al C. d. S. di «parlare a nome del paese»(12).

Si dovrebbe tener conto però dei necessari limiti di riservatezza e di «rigida economia», che devono sempre guidare il Presidente della Repubblica anche nelle dichiarazioni informali.

Le esternazioni riguardano le funzioni o esorbitano dalle funzioni: non è data la possibilità di creare attraverso le esternazioni attribuzioni che si collocherebbero in una zona intermedia.

Ogni eccesso od abuso in tal campo rischia di offuscare infatti l’imparzialità cui il Presidente deve scrupolosamente attenersi, infirmando la funzione di garanzia costituzionale e di rappresentanza dell’unità nazionale, cui l’istituzione deve primariamente adempiere.

Il quadro delle esternazioni deve quindi essere drasticamente ridimensionato rispetto alla prassi, per conservare un saldo fondamento in relazione alle funzioni costituzionali.

Le esternazioni vanno così ricondotte a tre diverse categorie:

1. esternazioni con attribuzione espressa principale nei confronti del Parlamento: secondo l’art. 87, 2° co. Cost. il Presidente può inviare messaggi alle Camere al fine di attivarne le competenze;

2. esternazione come attribuzione espressa accessoria al potere di rinvio delle leggi: secondo l’art. 74 Cost. il Presidente motiva attraverso il messaggio alle Camere la richiesta di una nuova deliberazione della legge prima della promulgazione;

3. esternazioni come attribuzioni implicite accessorie alle altre attribuzioni residenziali, sia nel senso che devono avere per presupposto e giustificazione l’esercizio di una specifica competenza, sia nel senso che sono strumentali alla ratio di questa, cui devono ricondursi e non contraddire.

La differenza tra le esternazioni del primo e del secondo gruppo e quelle del terzo, cioè tra le attribuzioni esplicite ed implicite del potere di esternazione, conduce ad affermare il carattere prioritario e privilegiato della comunicazione tra Presidente e Parlamento: ogni volta che il Parlamento possa essere interessato quanto all’esercizio di specifiche funzioni, questo è il canale ordinario di comunicazione da seguire, mentre l’attribuzione implicita si configura come eccezionale.

 

Salvatore Dott. Carlone

[1] Motzo Il potere presidenziale di esternazione e di messaggio, in Arch. giur., 1957, 64

[2] Digesto delle Discipline Pubblicistiche vol. XI Utet 1996

[3] Crisafulli Ras. Parl., pag. 64

[4] Cheli, Atto politico, pag, 126

[5] Calamandrei, Viva vox Constitutionis, in II Ponte, 1955

[6] Cheli in Commentario alla Costituzione, Branca, Zanichelli editore 1978

[7] Virga, Diritto Costituzionale, p. 238

[8] Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, p. 666

[9] D’Orazio, Riv.Trim., 460

[10] Lavagna, Istituzioni di Diritto Pubblico, p. 646

[11] De Vergottini, Quaderni costituzionali 84, 499

[12] Domenidò, Raccolti Scritti, III, p. 201

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