I POTERI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
LA GRAZIA
A norma dell’art. 87, 11° co., il Presidente della Repubblica può concedere la grazia e commutare le pene, esercitando una attribuzione che incide nella fase della esecuzione della pena, con effetti eliminativi o riduttivi della sanzione irrogata in casi singoli e individuali.
La competenza in materia conversa in capo al Presidente una delle più antiche e originarie attribuzione della sovranità , si collegava nella previsione del testo originario dell’art. 79 Cost., al conferimento al Capo dello Stato anche della competenza a concedere i provvedimenti collettivi di clemenza, l’amnistia e l’indulto, su legge di delegazione delle Camere.
La recente modifica Costituzionale dell’art. 79 (L. Cost. 1/1992), ha concentrato la competenza sull’amnistia e l’indulto esclusivamente nella mani del Parlamento, con legge approvata a maggioranza dei 2/3 sia nel voto sui singoli articoli che nel voto finale, escludendo ogni forma di intervento presidenziale, è così distinguendo nettamente i provvedimenti di clemenza, che costituiscono determinazioni di indirizzo politico in materia penale, dal provvedimento individuale di grazia, la cui logica e la cui la ratio vanno invece ricondotte alla tutela della equità , alla realizzazione della cosiddetta giustizia nel caso singolo, che consentono l’apprezzamento di quelle circostanze individuali che sfuggono persino all’applicazione della norma generale astratta(1).
L’atto di grazia conserva forse unica tra le attribuzioni sovrane trapassate al Presidente l’impronta originaria del potere prerogativa, inteso non già come potere comunque spettante al di fuori e indipendente dal suo riconoscimento in Costituzione, ma come un’attribuzione suscettibile di natura sui limiti giuridici sostanziali nell’esercizio, e dalla quale, di conseguenza, non è possibile una disciplina legislativa delle modalità di esercizio.
Si tratta di una antichissima competenza dei Capi di Stato ( e ancora prima dei Re e capi in generale ), mantenuta costantemente per tradizione e per ragioni di prestigio.
A livello di opinione popolare non c’è dubbio che il dispensare dalle pene è il segno massimo del potere, e che il concedere grazia cinge di una particolare autorità , prestigio, benevolenza e fiducia la figura del Capo dello Stato(2).
La grazia e la commutazione della pena, previste nell’art. 87, co. 11°¸sono provvedimenti di carattere individuale con effetti eliminativi o riduttivi della pena in ordine al singolo caso che costituisce specifico oggetto dell’atto presidenziale; lo scopo di quest’ultimo sarebbe quello di evitare per quanto possibile, il cosiddetto « summun ius summa iniuria »(3).
La formula adottata nell’art. 87 è identica a quello dell’art. 8 dello Statuto Albertino e concerne una delle più antiche competenze dei Capi di Stato, tra le quali, si dice, la concessione della grazia rappresenterebbe « autentico residuo ».
Si nota, del resto, che il costituente, ripetendo la stessa dizione presente nello Statuto, non avrebbe tenuto conto del fatto che, dal punto di vista tecnico-giuridico, la grazia comprende sia la remissione che la commutazione della pena.
L’atto presidenziale è preceduto da un procedimento preparatorio nel quale sembrerebbe prevalere la volontà del Ministro di Grazia e Giustizia, dato che in base all’art. 595 c.p.p. la domanda di grazia va inoltrata al suddetto Ministro, il quale , ricevuto il parere degli uffici competenti, archivia la domanda oppure la invia al Presidente della Repubblica.
Secondo una autorevole dottrina di procedimento di cui all’art. 595 c.p.p. costituirebbe esclusivamente un onere per il condannato, e non impedirebbe la possibilità di utilizzare altri procedimenti preparatoti dell’atto presidenziale(4).
Per questo motivo si ritiene che, in ordine alla concessione della grazia, il P. d. R. avrebbe il potere d’iniziativa, ovvero potrebbe sollecitare il Ministro competente ad esaminare una particolare situazione di cui al Presidente della Repubblica fosse venuto a conoscenza anche informalmente, così collaborando con il Ministro stesso.
L’iniziativa presidenziale, però, dovrebbe essere esercitata con estrema cautela e riservatezza, perché altrimenti si violerebbe gravemente l’uguaglianza tra i condannati, e precisamente tra quelli la cui domanda di grazia segue l’iter normale  previsto dall’art. 595 c.p.p. e quelli per i quali si verifica il diretto interessamento del P. d. R..
Da diverso punto di vista si conclude che la concessione della grazia apparterrebbe alla competenza propria del P. d. R. , il quale agirebbe nella veste di rappresentante dell’unità nazionale e quindi offrirebbe la piena garanzia che l’esercizio del potere in oggetto si svolga fuori dall’influenza di interessi di parte;  la controfirma ministeriale secondo tale tesi, riserverebbe un mero carattere formale(5).
E’ comunque pacifico in dottrina che il P. d. R. avrebbe la possibilità sia di discostarsi dalla proposta ministeriale, sia di esercitare il potere di iniziativa; in quest’ultimo caso il Ministro competente sarebbe pertanto atto a partecipazione uguale(6).
Sembra prevalere in dottrina l’opinione di coloro i quali escludono l’eventualità che il Ministro competente sia obbligato a controfirmare il decreto di grazia anche quando non condivida la decisione  presidenziale; a tal proposito si afferma che solo tramite il concorso di entrambi gli organi al contenuto deliberativo dell’atto si può evitare che la grazia divenga fonte di privilegi penali(7).
Nel corso della presidenza Cossiga, la questione della natura presidenziale o governativa del potere di grazia è arrivata alle soglie di un conflitto istituzionale, avviato dal ricorso del Ministro della Giustizia proposto in sede di conflitto di attribuzioni, sia nei confronti del Presidente della Repubblica che nei confronti del Presidente del Consiglio, in difesa della propria esclusiva competenza decisionale in materia, ricorso peraltro successivamente rinunciato dallo stesso Ministro nella fase preliminare all’instaurazione di un vero e proprio rapporto processuale(8).
La vicenda ha tratto origine da una iniziativa del presidente Cossiga che sollecitava il Ministro di Grazia e Giustizia ed il Governo, « per gli eventuali aspetti di politica generale interessati », a dar corso alle iniziative ed alle deliberazioni necessarie per la concessione della grazia al brigatista Renato Curcio, manifestando il proprio intendimento favorevole; in seguito alla presa di posizione del Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio si avvaleva del potere di avocazione previsto dall’art. 5, lett. C. legge 400/1988, provocando la reazione del Ministro della Giustizia.
L’ipotesi di concessione della grazia a Curcio, anche la pubblicità ed il clamore sollevati, ha assunto valenza oggettivamente politica, tale che ognuno degli organi intervenuti avvertiva il bisogno di coinvolgere nella decisione la responsabilità di altri organi.
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Salvatore Dott. Carlone
1 Digesto delle Discipline Pubblicistiche vol. XI Utet 1996
2 Rescigno in Commentario alla Costituzione Branca, Zanichelli 1978
3 Lavagna, Istituzioni di Diritto Pubblico, p. 644
4 Zagrebelsky, Amnistia, Enci. Dir., p. 186
5 Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, II, p. 781
6 Valentini, Gli atti del P. d. R., p. 55
7 Paladin in Enciclopedia del Diritto vol. XXXV Giuffrè Editore 1986
8 E. Gallo, Ancora sul potere di grazia, Nomos, 1992
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