LE RESPONSABILITA’ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
RESPONSABILITA’ PER ALTO TRADIMENTO E ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE.
Volendo configurare il Presidente della Repubblica come supremo istituto di garanzia e di controllo costituzionale, è necessario ipotizzare una vera responsabilità giuridica dell’organo, senza la quale non sarebbe pensabile, nel quadro democratico, alcuna attribuzione autentica ed autonoma di potere; di conseguenza, le due figure di reato per le quali, innovativamente rispetto al canone assoluto della irresponsabilità regia, la Costituzione repubblicana prevede responsabilità del Presidente della Repubblica, divengono decisive per la ricostruzione della figura e del ruolo del Presidente della Repubblica : l’attentato alla Costituzione e l’alto tradimento di cui parla l’art. 90, delineando la responsabilità del Presidente, forniscono infatti la misura dei poteri presidenziali(1).
Si può ulteriormente aggiungere che, in positivo, i due reati risultano comunque sufficientemente definiti dal mero porre in relazione gli elementi di qualificazione oggettivamente contenuti nella norma : cioè la speciale posizione dell’agente (Presidente della Repubblica), che agisce nell’esercizio delle funzioni, provocando un evento dannoso di destabilizzazione dell’assetto dello stato definito dalla Costituzione in termini di unità, integrità, indipendenza, rispetto alla configurazione interna dei poteri ed a quella esterna della esistenza dello stato in quanto tale.
Il giudizio sui reati è configurato dalla costituzione in forme speciali, che complessivamente accentuano il carattere politico del procedimento, innanzitutto per quanto riguarda l’individuazione del giudice competente e la sua specifica configurazione: ai sensi dell’art. 134 Cost., la competenza a giudicare sulle accuse di alto tradimento e di attentato alla Costituzione contro il Presidente della Repubblica spetta alla Corte Costituzionale, proprio perché è il solo organo nel sistema costituzionale che appare in grado di giudicare su fattispecie di reato che non sono puntualmente descritte da norme primarie precedenti, ma richiedono una applicazione sistematica del complesso delle norme costituzionali che definiscono la forma di governo e la forma di stato; la composizione ordinaria della Corte è integrata da sedici giudici aggregati, estratti a sorte da un elenco di quarantacinque cittadini con i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione, con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari, cioè a scrutinio segreto e con la maggioranza qualificata dei due terzi, o dei tre quinti (dopo il terzo scrutinio) (art. 135 Cost.)(2).
Diversamente dallo Statuto Albertino che sanciva la sacralità e l’inviolabilità della persona del Re (art. 4) e proclamava il principio della responsabilità dei Ministri (art. 67), escludendo quindi, «necessariamente» una responsabilità del monarca, la Costituzione vigente sancisce la «non responsabilità» - tranne che nei casi specificatamente previsti – del Capo dello Stato quanto agli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni presidenziali, mentre nulla è esplicitamente disposto riguardo agli atti posti in essere al di fuori delle predette funzioni(3).
Relativamente alla categoria degli atti compiuti a causa dell’esercizio del suo mandato, il Presidente della Repubblica sembrerebbe, a prima vista, penalmente responsabile solo nei casi di «alto tradimento» e di «attentato alla Costituzione» ed immune da qualsiasi giudizio politico (che dovrebbe ricadere solo sul Governo ex artt. 89 Cost. e 279 c.p.) e questa è stata a lungo la posizione dominante in dottrina(4) anche se, a questo proposito, va considerato che il principio sancito dal co. 1° dell’art. 90 – quanto alla responsabilità del Presidente in generale – si presta ad essere inteso in due modi assai diversi tra loro a seconda delle differenti prospettive in cui si può collocare per analizzare il problema.
Se si considera che «i titolari degli organi costituzionali godono …. Della irresponsabilità non solo politica, ma giuridica», quanto agli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni85) e che «guarentigia del pubblico ufficio è data dall’istituto dell’irresponsabilità», è chiaro che si finisce con il fare della irresponsabilità la regola, e, quindi, delle due ipotesi di «alto tradimento» e di «attentato alla Costituzione, le deroghe alla regola».
Qualora, invece, si ritengono prioritari i principi secondo i quali la democrazia «non consente l’esistenza di soggetti immuni» e(6) «le norme limitatrici della responsabilità sono sempre state considerate….altrettante deroghe ai principi del diritto comune, per la tutela di esigenze ritenute…..indeclinabili», ecco che allora è la responsabilità a costituire la regola, con la conseguenza di far divenire le due ipotesi summenzionate aspetti particolari in cui si estrinseca il principio generale e l’irresponsabilità eccezione alla regola.
Una tale premessa era fondata sul collegamento esistente tra le previsioni di cui all’art. 89 Cost. e quelle dell’art. 90 (provato anche dal fatto che il progetto su cui discussero i costituenti era contenuto solo nell’art. 85 che riassumeva il contenuto dei due attuali), tanto stretto da far pensare ad una sorta di perfetta coincidenza tra «la cerchia degli atti suscettibili di essere compiuti dallo stesso Presidente e quella dagli atti del Governo», il quale era logicamente chiamato a risponderne.
Il fatto, però, che ormai non si dubiti più circa l’esistenza di «autonome valutazioni e decisioni presidenziali che giuridicamente contraddistinguono…. Varie specie di atti sia pur controfirmati» - cioè degli atti cosiddetti di «indirizzo presidenziale» - ha messo in crisi quel legame tra gli artt. 89 e 90 Cost., sul quale si era fondato il ragionamento dei costituenti e sul quale si reggeva l’idea che il Capo dello Stato, politicamente, fosse del tutto non responsabile; tanto da far sì che sia oggi opinione comune in dottrina l’esistenza in capo al Presidente d’una specie di responsabilità politica di opinione o «diffusa»(7) dovuta all’esser inammissibile che il Capo dello Stato prenda posizioni pubbliche (cosa sempre più frequente negli ultimi tempi «in seguito al moltiplicarsi degli interventi….extra moenia(8) del Presidente della Repubblica»)(9) e «pretenda poi di rimanere al di sopra della polemica politica».
Se si ammette l’esistenza di una responsabilità politica diffusa, occorre interpretare molto restrittivamente il disposto dall’art 279 c.p..
Tale disposizione sancisce il divieto di imputare pubblicamente al Capo dello Stato la responsabilità degli atti del Governo; ma se esistono atti, sia pur controfirmati, di indirizzo presidenziale cui inerisce un potere e quindi una responsabilità del Presidente, non vi è motivo di non imputare allo stesso Capo dello Stato, salva restando l’estraneità di quest’ultimo quanto alla responsabilità riguardo ad atti sostanzialmente, oltre che formalmente, governativi.
Nell’ottica dei padri della Costituzione, l’art. 90 si lega all’art. 89 Cost., letteralmente interpretato, con la conseguenza che «gli atti per i quali il Presidente non è responsabile sono gli atti ufficiali, controfirmati dai Ministri, direttamente responsabili in quanto detentori del relativo potere decisionale»(10); e precisamente in quei termini si afferma che la regola dell’irresponsabilità presidenziale «non può patire eccezioni» (Tosato), sotto forma di rinnovate prerogative del Capo dello Stato. Per ciò che concerne i reati commessi nell’esercizio delle funzioni, la distinzione va fatta tra quelli espressamente menzionati nell’art. 90 (che qualcuno ammette si possano configurare anche non nell’esercizio delle funzioni) e gli altri(11).
I primi sono i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, a proposito dei quali alcuni autori – adducendo la ragione di dover rispettare il principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. – ritengono che coincidano, rispettivamente, con le fattispecie contemplate dall’art. 77 c.p. mil. di pace e dall’art. 283 c.p.; ma le difficoltà, che presenta una tale soluzione sono molte ed appaiono difficilmente superabili: si consideri, per esempio, quanto all’art. 77 c.p. mil. p., il fatto che il Presidente della Repubblica non è un militare e, inoltre, la varietà delle posizioni assunte dalla dottrina circa quali e quanti sono gli articoli del c.p. cui rinvia il detto articolo per delineare la fattispecie in questione.
L’art. 77 c. p. mil. p. punisce il fatto del militare diretto a trasferire il territorio dello stato sotto la sovranità di uno Stato Estero, oppure l’art. 9 del Decreto Legislativo 27 luglio 1944, n. 159, sanzionante il comportamento del cittadino che, dopo l’8 settembre 1943, abbia collaborato con le forze tedesche.
All’interprete s’impone il compito di definire i contenuti del dovere di fedeltà alla cui tutela è apprestata la fattispecie in esame, potendo far ricorso, per altro, agli obblighi scanditi dal giuramento previsto dall’art. 91 Cost..
I supremi doveri imposti al Capo dello Stato, prima dell’investitura, si riassumono nella fedeltà alla Repubblica e nell’osservanza della Costituzione.
Sarà la trasgressione del primo vincolo quella capace di far scattare l’incriminazione per Alto tradimento(12).
La maggioranza della dottrina è orientata nel senso dell’autonomia delle due ipotesi costituzionalmente previste e ciò in virtù del fatto che non si può non tenere presente che l’eventuale soggetto criminis è il Presidente della Repubblica il quale ricopre una particolare posizione istituzionale e che ha dei compiti del tutto speciali.
L’alto tradimento denoterebbe la messa in pericolo della forma repubblicana e delle strutture per essa prescelte dalla Carta fondamentale e l’attentato alla Costituzione si identificherebbe con l’attacco all’unità nazionale(13).
Per contro, alcuni studiosi ritengono che per i reati presidenziali debba prospettarsi una deroga al principio di legalità, poiché la disciplina costituzionale in materia attribuirebbe al collegio giudicante la potestà di individuare il contenuto delle due fattispecie senza far ricorso all’ordinaria architettura normativa giuridico-penale(14).
Vi è chi, genericamente, parla di delitto di infedeltà, chi sostiene che anche la responsabilità penale è politica, «trattandosi….di reati tipicamente politici»(15), chi li ritiene da ricondurre a ipotesi di attentato alla Costituzione un riscontro nell’ipotesi contenuta nell’art. 283 c.p., ma nell’alto tradimento «un generico riferimento ad una molteplicità di ipotesi criminose tutte presenti nella legislazione e rientranti tra i delitti contro la personalità interna e internazionale dello Stato….., chi individua l’alto tradimento nella violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica ed alle istituzioni e l’attentato contro la Costituzione nel compimento di un’azione diretta a sovvertire le istituzioni o a compromettere le libertà costituzionalmente garantite e chi, infine, fa dell’attentato alla Costituzione l’ipotesi di un illecito anche extra-penale.
Il co. 2° dell’art. 90 prevede che nelle ipotesi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, il Capo dello Stato sia posto in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, con una maggioranza, quella assoluta dei suoi membri, tale da garantire la più alta carica dello Stato da qualunque manovra politica di qualsiasi partito.
Per ciò che concerne la parte del giudizio di accusa che si svolge innanzi al Parlamento, prima del referendum dell’8 novembre 1987 e della conseguente approvazione della legge costituzionale n. 1/1989 destinata a riempire il vuoto da quello creato, la disciplina era quella contenuta nell’art. 1 cost. del 1953, nella legge n. 20 del 1962, nella legge n. 170 del 1978, nel «Regolamento parlamentare per i procedimenti di accusa», e nelle «Norme integrative per i giudizi di accusa», deliberate dalla Corte Costituzionale il 27.11.1962.
Il passato procedimento si articolava in due fasi ben distinte, la prima delle quali era svolta da una commissione parlamentare bicamerale, parificata alle commissioni parlamentari d’inchiesta, denominata «inquirente», che aveva il compito di svolgere le «indagini del caso» e di concludere il suo operato o proponendo al Parlamento la messa in stato d’accusa del presunto reo o dichiarando l’infondatezza della questione e deliberando l’archiviazione del procedimento o, infine, sostenendo la propria incompetenza ad indagare.
All’art. 3 la Legge Costituzionale contempla la sostituzione dell’art. 12 l. cost. 11.3.1953, n. 1 con un testo che prevede: « …una relazione di un Comitato formato dai componenti della Giunta del Senato…..e da quelli della Giunta della Camera…. Competenti per le autorizzazioni a procedere…..», sulla base della quale il Parlamento, in seduta comune, dovrà decidere se deliberare o meno la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione.
Il Comitato, presieduto alternativamente per ciascuna legislatura dal Presidente della Giunta del Senato e dal Presidente della Giunta della Camera, è competente anche quando si rientri nelle ipotesi di concorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, di Ministri o di «altri soggetti» nei reati di cui all’art. 90 Costituzione.
La seconda fase del procedimento non è stata modificata e si svolge dinnanzi al Parlamento in seduta comune il quale, udita la relazione, vota la messa in stato d’accusa che va approvata a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta.
Nel caso di voto favorevole alla messa in stato d’accusa, che per il Presidente della Repubblica non implica l’automatica sospensione dalla carica in Parlamento spetta anche il compito di eleggere i Commissari che sosterranno l’accusa di fronte alla Corte Costituzionale.
Solo con la messa in stato d’accusa si realizza la possibilità di una sospensione dalla carica del Presidente, che può essere disposta dalla Corte Costituzionale (art. 12, 4° comma, l. cost. 1/1953), e solo dopo la sospensione potrebbero essere disposte intercettazioni delle comunicazioni, perquisizioni personali o domiciliari, e applicate misure cautelari limitative della libertà personale.
Gli atti di indagine necessari, compreso l’interrogatorio dell’imputato, sono compiuti dal Presidente della Corte Costituzionale, direttamente o delegando i giudici della Corte.
La sentenza della Corte Costituzionale è irrevocabile.
Con la sentenza di condanna, la Corte determina le sanzioni penali nei limiti del massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto, nonché le sanzioni costituzionali, amministrative e civili adeguate al fatto.
Per alto tradimento debba intendersi(16) ogni comportamento doloso concretasi in una violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica (ad esempio, l’attentato alla integrità ed alla indipendenza dello Stato) e per attentato alla Costituzione ogni comportamento, egualmente doloso, diretto a sovvertire le istituzioni costituzionali (ad esempio, un colpo di Stato) o a violare deliberatamente la Costituzione.
Salvatore Dott. Carlone
1 Digesto delle Discipline Pubblicistiche vol. IX Utet 1996
2 Cerri, La giustizia costituzionale, Milano, 1994, p. 30
3 Commentario Breve alla Costituzione Crisafulli Paladin, Cedam Padova 1990
4 Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, I, p. 540
5 Guarino, Riv. Trim., 51, 917
6 Carlassare in Commentario alla Costituzione Branca, Zanichelli Editore 1978
7 Commentario breve alla Costituzione Crisafulli Paladin, Cedam, Padova, 1990
8 Attualmente la locuzione è utilizzata per indicare un evento avvenuto o un'attività svolta fuori dalla sede appropriata o l'utilizzo di oggetti fuori dal luogo dove sono utilizzati normalmente.
9 Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè Editre p. 526
10 Carlassare in Commentario alla Costituzione Branca 1978
11 Rossi, Alto tradimento, Enciclopedia Dir., pag. 114
12 Enciclopedia Giuridica Treccani vol. XXIV, 1991
13Taormina, Procedimenti e giudizi d’accusa, Milano, 1978
14Tesauro, La Carta Costituzionale
15 Barile, Istituzioni di diritto pubblico, p. 289
16 Martines, Diritto Costituzionale, Giuffré Editore, p. 528
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