ANTIBIOTICO
Il termine antibiotico trova le sue origini oltre un secolo fa, quando P. Vuillemin (1889) coniò la parola "anabiosi" in contrasto con quello di simbiosi precisando che "quando due corpi viventi sono intimamente uniti e uno dei due esercita un’azione distruttiva sull'altro, esiste un’antibiosi". Gli antibiotici sono sostanze per lo più di origine naturale prodotte da batteri o da funghi capaci di uccidere o di inibire la crescita di microrganismi patogeni responsabili dell'insorgenza di numerose malattie. Attualmente, una buona parte degli antibiotici sono di derivazione sintetica o semi sintetica e provengono dalla modificazione prodotta in laboratorio di un antibiotico naturale. Gli antibiotici sono attivi contro batteri e contro alcuni funghi ma non contro i virus.
Ogni antibiotico ha un suo preciso spettro di azione, cioè è attivo su un determinato gruppo di microrganismi e non su tutti o soprattutto su alcuni piuttosto che su altri e la più o meno specifica attività di un antibiotico su un gruppo più o meno ampio di microrganismi ne definisce e delimita lo spettro di azione.
II fenomeno della inibizione e dell'antagonismo batterico era stato in verità visto parecchi anni prima dall'italiano Bartolomeo Bizio (1823) il quale per primo lo segnalò in letteratura riportando che se accanto ai batteri si sviluppava una muffa le colonie venivano inibite e scomparivano. Bizio, al quale va il merito di essere il primo iniziatore delle colture batteriche che possono essere trasmesse da un terreno solido all'altro e studiando il fenomeno della polenta "macchiata di sangue", osservata a Legnari nella provincia di Padova nel 1819, notò che tale evento era da attribuirsi alla presenza del microrganismo Serratia marcescens da lui scoperta e così denominata. Tale patogeno, le cui colonie possono avere una evoluzione pigmentaria, poiché a volte producono un caratteristico pigmento color rosa-rosso sangue, fu chiamato anche Bacillus prodigiosus. Infatti, dopo la sua scoperta, ad esso furono imputati eventi ritenuti prodigiosi accaduti molti secoli prima. Ricordiamo quello del 332 a.C. durante l'assedio di Tiro da parte di Alessandro Magno quando comparvero delle macchie di sangue sul pane dei soldati, evento che fu considerato di buon auspicio per cui l'assedio fu proseguito con successo, e i numerosi casi di ostie consacrate ritenute "macchiate di sangue" di cui il più noto nel 1263 a Bolsena, immortalato da Raffaello nell'affresco "La messa di Bolsena" del 1512 situato in Vaticano.
Il Bizio segnalava inoltre che "quando s'alzano con rigoglio le muffe impediscono l'accennata colorazione" per il mancato sviluppo e la scomparsa dei germi e "si osserva in piccolo quello che in grande suole addivenire, cioè le piante di maggior levatura abbattono le più piccine".
Che alle muffe fosse attribuita, in maniera empirica, una attività di anabiosi è noto però dai tempi più antichi tanto che nel 2500 a.C. i Cinesi usavano la muffa del latte di soya nel trattamento di foruncoli e vesciche. Per lo stesso motivo, ai tempi di Plinio si usavano certe "terre medicinali" a scopo terapeutico così come da sempre si è fatto uso di tele di ragno, di muschi, di decotto di tegole e di polvere di travi ricche di muffe.
Anche nelle Marche, fino a non molti anni fa, si usava spalmare sulle piaghe infette delle bestie, e talora delle persone, la muffa cresciuta su una pagnotta di pane inumidita e lasciata al caldo della stalla.
Comportamenti simili si riscontrano in altre culture, con radici molto diverse dalle nostre, come in quella Maya dove si usava una muffa rossastra, cresciuta sui chicchi di frumento abbrustoliti e lasciati a fermentare, per curare le ferite infette, in quella Tibetana dove usavano muffe cresciute sulle ossa e in quella Boliviana dove, per le febbri puerperali, si usavano miscele
di muffe derivate dal mais, dalla patata ecc…
Dell'esistenza di microorganismi (o di micro-Dei) invisibili che si insinuano nel nostro corpo provocando malattie si trova traccia giĂ in antichi testi medici egizi e in alcune leggende cinesi (successivamente anche Varrone prima e G. Fracastoro poi, ne parlarono apertamente).
Il concetto microbiologico della genesi delle malattie però nacque di fatto nell’Europa del XVIII secolo e spetta al modenese L. Spallanzani, fondatore della microbiologia sperimentale, l'aver coniato e introdotto nella letteratura medica il termine "germe" nel 1780. Elemento fondamentale fu, ovviamente, la disponibilità di microscopi, "occhialino per vedere da vicino le cose minime" che "moltiplica le cose forse cinquantamila volte" come scriveva il suo scopritore Galileo Galilei (nel Saggiatore: 1623), fu così denominato dal Linceo Giovanni Faber nel 1625 ed entrò trionfalmente nella ricerca scientifica.
In realtĂ forse i primi microscopi costruiti secondo tecnica moderna sono probabilmente quelli prodotti nei Paesi Bassi dai fratelli Constantin e Conrad Huyghens nei primi anni del 1700.
Fra  gli alfieri della nuova teoria (che potremmo chiamare microbica) citiamo A. Vallisneri, naturalista e professore a Padova, accanito sostenitore dell'ipotesi che attribuiva ad un "agro distruggitore o sale dissolvente" (archetipo delle tossine batteriche), prodotto da "vermicelli" invisibili ad occhio nudo, una vera e propria azione patogena sui tessuti e sul sangue.
Un altro grande artefice della moderna  microbiologia può comunque essere considerato lo scienziato italiano Agostino Bassi. Questi dopo lunghi studi nel 1835 dimostrò, per primo, che la malattia del baco da seta (filugello) detta "mal del segno" o "moscardino", fino ad allora attribuita a condizioni atmosferiche o a cause alimentari, "non si sviluppa spontaneamente nel baco", ma necessita "di un germe estraneo che entrato in esso abbia a generarla". Dimostrò altresì che "conficcando un ago d'acciaio in un filugello ucciso dal mal del segno e ferendo quindi con questo un altro filugello... (ad esso) si comunicava il morbo moscardino". Scrisse ancora che "quest' essere omicida è organico, vivente e vegetabile", aprendo così la strada alla moderna microbiologia e collocando definitivamente, sulla scena della ricerca, quegli invisibili e inafferrabili "animalunculi", visibili a microscopi poco più che artigianali, e dei quali Galileo, L. Spallanzani e A. Kircher avevano già intuito la responsabilità in diverse malattie.
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Orazio
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