In memoria ad Antonio Gelsomino
Thursday, November 14, 2024

Scoperta degli antibiotici

Scoperta degli antibiotici

 

Ritornando ai tempi più recenti e ad osservazioni basate un razionale scientifico, va rilevato che nel 1870 il batteriologo inglese B. Sanderson aveva notato che se una coltura batterica o tessuti di cavia venivano contaminati da una muffa, nel caso specifico dal penicillum, non si aveva sviluppo di germi senza peraltro pensare ad una azione battericida di quest'ultima. L'anno successivo il chirurgo inglese J. Lister venuto a conoscenza di quanto osservato da Sanderson, condusse esperimenti simili con il risultato dello sviluppo di una muffa, identificata dal fratello micologo, come Penicillum Glaùeùm.

Negli anni successivi W. Roberts (1874) professore di Medicina a Manchester e il fisico J. Tyndall (1875) notarono che dove si sviluppano dei funghi, nel caso specifico un Penicillum, diffìcilmente crescono dei batteri per una azione antagonista imputata alla sottrazione di ossigeno a questi ultimi e non alla produzione di sostanze inibitrici. Dopo la segnalazione di Bizio e di Bassi gli studi in ambito microbiologico e sui terreni di coltura fiorirono notevolmente.
In tale ambito vanno infatti ricordati gli importanti contributi e l'impegno di L. Pasteur e quindi di R Koch e di F. Pacini che attribuì ai vibrioni la causa dell'epidemia di colera di Firenze del 1854-55, riscontro riconosciutogli dal Lancet nel 1884 e confermato poi da Koch.  Pasteur infatti nel 1880 intuì che l'antagonismo fra germi era dovuto alla produzione, da parte di uno di essi, di una sostanza che impedisce lo sviluppo dell'altro ed inoltre isolò, in corso di febbre puerperale, dei germi rendendo così giustizia a Ignaz Semmelweis.

Questi, fin dal 1850, aveva imputato tale patologia all'introduzione nelle vie genitali di materia le contaminante proveniente dall'esterno. Koch nel 1882 riuscì a coltivare il bacillo tubercolare, che da lui prese il nome, su un nuovo terreno di coltura all'agar-agar in una provetta inclinata, per ottenere una maggior superfìcie di coltura, mentre successivamente il suo allievo R. Petri mise a punto le piastre che presero il suo nome.

Tali ricerche diedero il via alla "caccia" ai microbi e alla coltura dei principali germi patogeni.

Qualche anno dopo nel 1885 V. Babes, professore di batteriologia dell'Università di Bucarest, in seguito al riscontro su terreni di coltura della azione inibente di certi patogeni sullo sviluppo di altri ammise che "la malattia provocata da un batterio può essere probabilmente trattata con un altro batterio". Inoltre in Francia L. Pasteur e J. Joubert (1887) notarono che il bacillo del Carbonchio non risultava patogeno se veniva coltivato insieme a batteri innocui. Per tale fenomeno chiamarono in causa una sorta di antagonismo antibiotico, senza peraltro accennare a questo termine, in quanto affermavano che "le escrezioni derivate dal funzionamento vitale di un batterio comune possono opporsi ad un funzionamento vitale di eguale misura di un altro patogeno".

Gli autori osservarono infatti che animali infetti con bacilli del carbonchio non muoiono di questa malattia se vengono inoculati con altri microrganismi.
Nello stesso anno A. Cantani notò che certi germi messi in colture di determinati patogeni li distruggono togliendo loro le condizioni di vita per cui propose l'idea di usufruire di questo potere invadente di batteri innocui per combattere l'azione di batteri patogeni ostili al loro sviluppo ma innocui per l'uomo. Per questo motivo insufflò colonie di Bactherium thermo, innocuo per l'uomo, nei polmoni di un paziente affetto da tubercolosi con notevole miglioramento clinico e la scomparsa del patogeno dall'escreato, che a sua volta non risultava più infettante per la cavia. Il Caiani, Clinico Medico di Napoli, fu pertanto il primo, nella letteratura medica, ad attuare il concetto terapeutico di combattere i batteri patogeni con altri batteri ostili allo sviluppo di questi ultimi, ma innocui per l'uomo. Il risultato ottenuto fu anche pubblicato sul Giornale Internazionale delle Scienze Mediche che però era scritto in italiano, lingua poco conosciuta a quel tempo, ed era anche poco diffuso per cui la comunicazione cadde rapidamente nel dimenticatoio.

Il progredire degli studi sul fenomeno della competizione batterica videro impegnati, con diversa ma comunque sempre modesta fortuna, l'italiano G. Zagari che, nel 1887, riuscì a preservare le cavie dal carbonchio inoculando loro ripetutamente colture di streptococchi, A. Pavone che cercò, sempre nel 1887, di quantificare l'influenza di un germe su di un altro e usando piastre, tubi di gelatina e di agar con "innesti a scala", dosò l'attività di un germe verso altri, C. Garré chirurgo e batteriologo svizzero che parlò di un antagonismo causato dalla produzione di una sostanza specifica facilmente diffusibile che inibisce lo sviluppo di alcune specie batteriche mentre è inefficace per altre, il francese E. De Freudenreich, che nel 1888 coltivando il piocianeo e il bacterium phosphorescens in palloni di vetro, notò l'esistenza di un antagonismo batterico in quanto inibivano la crescita di altri germi sul terreno in cui essi avevano vissuto.

Gli studi e le esperienze di laboratorio si diffusero notevolmente in tale periodo tanto che nel 1889 P. Vuillemin coniò, come già ricordato, le famose parole" antibiosi" e" antibiote" e L. Manfredi, collaboratore del Cantani a Napoli, dopo una ampia ed accurata rassegna sintetica dei lavori apparsi in letteratura sull'argomento concludeva che: "un terreno nutritivo nel quale sia vissuto un batterio può diventare refrattario contro una nuova invasione di altri batteri", e "in certe condizioni di esistenza taluni microrganismi sono costantemente antagonisti di altri: l'avvenire della batteriologia dipende dalla cognizione delle condizioni nelle quali l'antagonismo batterico si verifica".
Contemporaneamente R. Emmerich, noto microbiologo tedesco di fama internazionale che studiò a fondo l’Escherichia coli, patogeno cosi denominato in onore del collega tedesco T. Escherich, osservò che infettando animali da esperimento con streptococchi, questa infezione li proteggeva dal contrarre il carbonchio. Proseguendo negli studi e venuto a conoscenza che il francese C.Bouchard aveva riscontrato un favorevole antagonismo batterico fra il Bacillus Piocianeus (Pseudomonas aeruginosa) e bacilli del carbonchio in conigli infetti da quest'ultimo patogeno, condusse assieme a O. Loew simili ricerche evidenziando che le colture di piocianeo uccidevano i bacilli del carbonchio. Ipotizzarono così che nei filtrati batterici doveva esserci un "enzima", al quale nel 1899 diedero il nome di "piocianasi" che "dissolveva tali bacilli" e che, somministrato per via iniettiva in una-due volte, permetteva la distruzione dei bacilli del carbonchio e la sopravvivenza di conigli infettati con dosi letali.

Gli studi condotti dagli autori sulla piocianasi evidenziarono che questa era dotata di attività proteolitica, resisteva alla temperatura di 98° C. e alla essiccazione sotto vuoto, ed era atossica per i conigli. Legando la piocianasi a delle proteine, formando cosi dei complessi denominati immunoproteine, ipotizzarono che svolgesse la sua azione attraverso una induzione immunitaria in quanto, se somministrata al coniglio a scopo profilattico, fino a 12 giorni prima di una dose mille volte letale di carbonchio, li proteggeva dalla infezione e dalla morte.
La via intrapresa aveva aperto nuovi ed interessanti orizzonti tanto che, anche sulla scia di altre sperimentazioni, la piocianasi fu usata nelle infezioni umane da difterite, meningite ecc. fino alla prima guerra mondiale. Nell'ambito degli  studi e della ricerca utile fu anche la tesi di laurea di uno studente di Colonia K. Doehle.

Questi in una piastra di agar con una coltura di bacilli di Carbonchio seminò, nel centro del gel, un pezzetto di carta imbevuto di Micrococco gram positivo, antagonista del Carbonchio, evidenziando, dopo un breve periodo di incubazione, che intorno alla carta vi era una zona di inibizione alla crescita di quest'ultimo patogeno. La fotografìa della piastra, da lui stesso scattata, rappresenta il primo documento fotografico del fenomeno dell'anabiosi mentre la tecnica da lui messa a punto rappresenta la prima metodica per il saggio della sensibilità agli antibiotici che verrà usata circa trenta anni dopo da Fleming e successivamente da tutti gli altri ricercatori. Oltre alle importanti ricerche degli  autori tedeschi significativo fu il contributo di studiosi italiani, anche se meno conosciuto, perché pubblicato su riviste italiane non note e non lette all'estero o comunque non citate, e pertanto anche meno fortunato. Nel 1890 infatti G. Gasparini, studiando un germe dell'aria lo Streptothrix foersteri (fungo inferiore oggi denominato Streptomyces), notò che questo "digeriva" la parete cellulare di alcuni microrganismi. Il Gasparini evidenziò cosi la funzione e il meccanismo metabolico, cioè l'antagonismo batterico, di quello che Vuillemin aveva per primo denominato "antibiote".

Nel 1891 L. Olitzki confermò le suddette ricerche evidenziando che anche il Bacillus fluorescens liquefaciens inibisce lo sviluppo del carbonchio e dello stafilococco. Nel 1895 V. Tiberio giovane medico del Corpo Sanitario Militare Marittimo, nativo di Sepino in provincia di Campobasso, pubblicò sul fascicolo di gennaio degli  "Annali d'Igiene Sperimentale" un articolo frutto di lunghe ricerche "Sugli estratti di alcune muffe". Queste, dopo essere state coltivate su terreni di coltura, venivano asportate e dopo un opportuno trattamento dei terreni veniva studiato il potere battericida in essi contenuto su bacilli di carbonchio, tifo, Escherichia coli, stafilococchi, streptococchi e vibrioni del colera. Il Tiberio giungeva alla conclusione che "nelle muffe studiate erano contenuti dei principi solubili in acqua forniti di azione battericida. La proprietà di queste muffe sono di forte ostacolo per la vita e la propagazione dei batteri patogeni". Tali estratti, in particolare quello di Aspergillus Flavescens, iniettati per via intraperitoneale in cavie in precedenza infettate con bacilli del tifo o con il vibrione del colera esplicavano una azione preventiva e terapeutica. Gli obblighi militari per la guerra di conquista della Libia, che lo allontanarono dai suoi studi, e la precoce morte impedirono al Tiberio di proseguire nelle sue brillanti ricerche che non solo anticipavano di trent'anni quelle di Fleming sui "succhi di muffa" ma ne attuavano anche le possibilità terapeutiche.

Importanti, ma ugualmente sfortunate, furono le ricerche di B. Gosio, Capo dei laboratori di Batteriologia della Sanità Pubblica Italiana. Questi, l'anno dopo la pubblicazione del Tiberio, isolò, da una coltura del Penicillum Glaucum, che stava studiando come agente causale della pellagra e che cresceva come parassita sul granoturco facendogli assumere un caratteristico colore verderame, un principio attivo in forma cristallina ad azione antibiotica che impediva lo sviluppo del carbonchio. Egli produsse poca sostanza "e siccome la scarsa quantità non permetteva esperienze sugli animali" e il suo scopo principale era lo studio della pellagra, imputata al mais "ammuffito", e non gli antibiotici,  non prosegui nelle indagini.

Il XIX secolo si chiude dopo essere stato percorso da un unico filo conduttore che ha visto l'impegno e la dedizione di molti studiosi e scienziati. Potremmo affermare che questo va dal concetto dell'esistenza di microrganismi, chiamati germi dallo Spallanzani,  nel secolo precedente, che "danno luogo a muffe che, a loro volta, inibiscono la crescita di batteri" (Bizio), al concetto "che tutti i contagi di qualunque specie siano nessuno eccettuato, sono prodotti da esseri parassiti vegetali o animali che possono essere evidenziati" (Bassi), a quello dell'antagonismo batterico di molti ricercatori.

Tutte queste osservazioni pur rimanendo di fatto prive, tranne rare eccezioni, di applicazioni pratiche dovevano portare nel 900 alla scoperta degli antibiotici. Inizia cosi il XX secolo nella continua ricerca di un meccanismo e di una sostanza che, fossero efficaci contro i principali patogeni responsabili di tante malattie mortali e con l'era della chemioterapia antibatterica, cioè della produzione nel laboratorio chimico di sostanze nuove capaci di distruggere gli agenti patogeni risparmiando il corpo umano il cosiddetto "organismo ospite". Importanti furono le ricerche del viennese R. Gelmo che nel 1908 sintetizzò la para-amido-benzensulfonamide e di P. Ehrlich, premio Nobel nel 1908, che nel 1910 culminarono nella messa a punto del Salvarsan (da salvare cioè guarire) cui segui il Neosalvarsan relativamente meno tossico. Tale composto primo rimedio antiluetico fu messo a punto da Ehrlich con il suo amico giapponese Sahachiro Hata nell'Istituto Imperiale di terapia sperimentale, messogli a disposizione dall'Impero Prussiano a Francoforte sul Meno.

 

 

 

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