Disturbo della programmazione motoria: “le aprassie”
Il termine “aprassia” indica un deficit primitivo dell’attività motoria, che compare specificamente durante l’esecuzione intenzionale di un movimento finalizzato.
Il deficit nell’esecuzione di gesti si dice “ aprassico ” se non è attribuibile a un deficit di input (sensoriale: sordità o disturbi di comprensione, cecità o agnosia visiva) né a un deficit di output (motorio primario: paresi, tremore, atassia, ipocinesia o ipercinesia). L’aprassia è contraddistinta dal fenomeno della dissociazione automatico-volontaria, per cui il paziente può non essere in grado di eseguire un movimento in una condizione artificiale, ovvero senza una motivazione interna o una sollecitazione ambientale come, ad esempio, quando l’esaminatore richiede l’esecuzione di un’azione durante la valutazione clinica. Tuttavia, il paziente sarà in grado di eseguire la medesima azione spontaneamente, in risposta a sollecitazioni provenienti dal contesto, o per un’esigenza interiore. Questo fenomeno spiega come il deficit aprassico colpisce i livelli superiori dell’organizzazione del gesto, ovvero quelli in cui è ideato e selezionato lo schema motorio congruente con le intenzioni dell’individuo e adeguato al contesto.
L’aprassia, da una parte, è stata fatta risalire ad un difetto comune nel quale si propone come causa un disordine di astrazione o di concettualizzazione; dall’altra parte può essere però considerata un deficit causato da un mal funzionamento della capacità di produrre sequenze (ad es. la capacità di organizzare movimenti).
Le principali forme cliniche
Le aprassie si possono distinguere in base al distretto corporeo interessato, per cui si parla di aprassia buccofacciale (ABF), aprassia del tronco e aprassia degli arti.
L’aprassia buccofacciale (ABF) interessa i muscoli dell’apparato oro-glosso-faringo-laringeo e si manifesta nella difficoltà del paziente a protendere la lingua, fischiare, dare un bacio, raschiarsi la gola e, talvolta, deglutire. L’ABF non è dovuta ad un deficit di comprensione dell’ordine verbale, perché si manifesta anche su imitazione, bensì è caratterizzata dalla dissociazione tra l’incapacità a compiere un movimento volontariamente e l’abilità conservata di eseguirlo automaticamente. L’ABF si può manifestare in concomitanza con l’aprassia articolatoria a causa della contiguità anatomica dei centri nervosi coinvolti.
L’aprassia del tronco è stata osservata nell’ambito della sindrome associata a lesioni frontali bilaterali, che può includere anche l’aprassia della stazione eretta e della marcia.
L’aprassia degli arti può essere soggetta a dissociazione automatico-volontaria. È la forma più comune, anche in considerazione del suo impatto sulla qualità di vita del paziente.
Una diversa classificazione fa riferimento al tipo di funzione compromessa, distinguendo l’aprassia in: aprassia ideativa (AI) e aprassia Ideomotoria (AIM).
L’aprassia ideativa comporta una riduzione della capacità di utilizzare oggetti d’uso comune sia presi singolarmente, sia utilizzati in una sequenza complessa. In merito a ciò sono state suggerite diverse possibili cause del deficit ideativo quali, demenza senile e crisi epilettica, mancato riconoscimento degli oggetti e in particolare del modo in cui essi dovrebbero essere usati, ed infine la possibile disintegrazione dell’organizzazione della sequenza delle azioni richieste per il loro uso. Oltre alla riduzione della capacità di usare oggetti, i pazienti con AI spesso incontrano difficoltà anche nel mimarne l’uso, su presentazione visiva o su ordine verbale. I pazienti con deficit aprassico ideativo riportano lesioni prevalentemente posteriori dell’emisfero cerebrale sinistro (corteccia temporale, parietale e occipitale). In particolare la regione parietale posteriore risulta coinvolta nell’uso di oggetti.
L’aprassia ideomotoria comporta una riduzione della capacità di imitare azioni e nell’eseguire azioni su comando verbale. Dopo aver ideato correttamente un piano d’azione, il paziente potrebbe non riuscire a metterlo in pratica e gli errori maggiormente commessi dal paziente con AIM sono: perseverazioni, elementi estranei al gesto, sostituzione con altri gesti e deficit nella successione degli elementi.
L’AIM è stata messa anche in relazione con un disturbo della capacità di immaginare un movimento, per il fatto che alcuni pazienti con lesioni parietali mostravano un deficit aprassico, sia nell’esecuzione di un compito motorio, sia quando immaginavano di compierlo. D’altra parte, studi di neuro-immagine hanno dimostrato che immaginare un movimento ed eseguirlo attivano le stesse aree cerebrali in soggetti neurologicamente sani. Dal punto di vista anatomo-fisiologico, il deficit ideomotorio consegue a lesioni della corteccia parietale inferiore, di quella promotoria laterale dell’emisfero sinistro e del corpo calloso. L’aprassia da lesione parietale è più frequente di quella da lesione frontale e, solitamente, produce deficit più gravi.
La distinzione tra AI e AIM non è sempre stata accettata: l’AI è stata a volte considerata una forma grave di AIM. Infatti, non è sempre facile stabilire se gli errori commessi dal paziente aprassico grave siano da attribuire alla componente ideomotoria o a quella ideativa. In teoria, i movimenti del paziente aprassico ideomotorio dovrebbero conservare l’idea generale del gesto.
Valutazione neuropsicologica dell’aprassia
Per poter stabilire la presenza di un deficit aprassico in un paziente cerebroleso è necessario somministrare alcune prove semplici per ogni tipologia di aprassia.
Nell’aprassia ideativa si propone il Test di De Renzi, il quale contiene cinque oggetti singoli (martello, spazzolino da denti, forbici, pistola e gomma) e due attività complesse (aprire un lucchetto con una chiave e accendere la candela con un fiammifero). Il paziente otterrà punteggio: 2, se esegue subito e correttamente la prova; 1, se la prestazione è preceduta da esitazione o latenza, anche se nell’insieme l’idea è giusta; 0, per qualsiasi altro errore. Il paziente che commette anche un solo errore è considerato aprassico ideativo.
Nell’aprassia ideomotoria viene utilizzato il Test di Nichelli, il quale si propone di valutare l’abilità del paziente di produrre gesti su imitazione e non su comando verbale. Questa prova prevede che il paziente imiti, con la mano non colpita dalla lesione, 24 gesti presentati dall’esaminatore di cui 12 simbolici e 12 non simbolici. Ogni gesto può essere ripetuto sino a un massimo di tre volte e ad ogni gesto è assegnato un punteggio. Se, oltre alla valutazione clinica, si intendono approfondire i meccanismi neuro cognitivi compromessi in un paziente, è necessario somministrare altri compiti che valutino, nelle varie modalità e per diversi tipi di stimoli, le capacità di riconoscimento, comprensione e produzione di gesti. L’analisi qualitativa degli errori che i pazienti commettono quando eseguono le prove ideative e motorie può servire a identificare il locus funzionale del deficit.
Riabilitazione dell’aprassia
La convinzione che il deficit aprassico si manifesti quasi esclusivamente quando i gesti vengono richiesti dall’esaminatore, ma scompaia quando gli stessi gesti vengono sollecitati dal contesto quotidiano (dissociazione automatico-volontaria) ha fatto si che l’intervento riabilitativo non fosse considerato essenziale. In secondo luogo, da alcuni studi si evince che a) circa il 50% dei pazienti con AI, indipendentemente dal luogo delle lesioni, migliora spontaneamente a un mese dell’insorgenza della malattia, b) circa il 20% rimane aprassico dopo un anno e c) per il 30% non vi è un ulteriore miglioramento di rilievo.
Da ciò si deduce la difficoltà nel verificare se l’eventuale miglioramento sia un effetto del trattamento riabilitativo o sia dovuto al recupero spontaneo. Ciò premesso, è erroneo pensare che i pazienti aprassici non incontrino difficoltà nella vita quotidiana, quali difficoltà di alimentarsi, di abbigliarsi e di attendere all’igiene personale.
Prima di avviare un programma riabilitativo dell’aprassia degli arti vero e proprio, è opportuno rimuovere oggetti e utensili con i quali i pazienti più gravi potrebbero infortunarsi qualora li usassero impropriamente. In tal campo, sono stati utilizzati due tipi di addestramento, che hanno sortito risultati diversi: addestramento diretto ed addestramento esplorativo. Nell’addestramento diretto il paziente è invitato a fare un uso vero e proprio di oggetti e utensili, mentre nell’addestramento esplorativo viene spiegata al paziente la relazione tra la struttura di un oggetto e la sua funzione. L’addestramento diretto è più efficace ed ha un effetto più duraturo.
Martina Dott.ssa Cordeschi
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE – ROMA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA “A. GEMELLI”
ISTITUTO FIGLIE DI SAN CAMILLO
SCUOLA “PADRE LUIGI TEZZA”
CORSO DI LAUREA I LIVELLO IN INFERMIERISTICA
Tesi di laurea
Il pensiero è azione: stimolazione neuropsicologica come strumento di assistenza
ANNO ACCADEMICO 2011-2012