DESCRIZIONE DELLA STRUTTURA
Il Colosseo è un enorme anello alto 56 metri e formato da quattro piani, i primi tre ad arcate e l’ultimo in muratura piena. Dalla sua forma ovale ha tratto il nome di “anfiteatro”, termine di origine greca che significa “teatro in circolo”. Nel luogo dove fu costruito il Colosseo, prima c’era il lago della Domus Aurea, che era la reggia di Nerone. Il lago fu prosciugato e si dovette poi sbancare il fondo per raggiungere uno strato compatto di tufo su cui si potesse edificare. Per colmare il dislivello tra la superficie di fondazione e quella stradale si costruì un altro piano interrato, sul quale poggia l’edificio.
La costruzione del gigantesco anfiteatro impegnò migliaia di operai; è stato calcolato che la superficie del cantiere non sarebbe stata abbastanza grande da contenerli tutti insiemi.
L’intervento contemporaneo di questi operai fu reso possibile suddividendo il lavoro nei vari piani. Dapprima s’innalzò una gabbia di pilastri di travertino, simile alle moderne strutture di cemento armato, collegati tra loro da archi e volte; poi, procedendo simultaneamente nei diversi piani, si costruirono i muri di riempimento fra i pilastri, in pietra e mattoni, e tutte le opere di finitura.
Per costruire nel modo più rapido possibile l’anfiteatro, giacché l’imperatore Vespasiano era vecchio e metteva fretta, si ricorse a vari accorgimenti: ad esempio, si usarono elementi costruttivi “modulari”, cioè tanti pezzi tutti uguali e pronti per l’utilizzazione, che erano preparati fuori dal cantiere; il cantiere stesso era suddiviso in settori che procedevano indipendentemente l’uno dall’altro.
Squadre di specialisti lavorarono con disciplina militare e con la perizia propria della manodopera romana, in una gara di sollecitudine e di bravura. L’enorme fabbricato fu edificato in otto anni e ne occorsero poi mille, ossia dalla caduta dell’Impero alla fine del ‘500, quando il papa proibì le demolizioni, per ridurlo nello stato in cui lo vediamo oggi.
Entrando nel Colosseo, passando tra due degli 80 muri radiali che formano l’ossatura dell’anfiteatro, si sbuca nell’arena, circondata dall’ampia cavea, delimitata nella parte superiore da un alto muro sulle cui gradinate prendevano posto gli spettatori.
La superficie dell’arena è ormai soltanto un enorme buco dal cui fondo emergono le mura dei sotterranei. Quello che vediamo oggi è lo scheletro dell’edificio, ma proviamo ad immaginare come doveva essere duemila anni fa.
I cinque ordini di gradinate circolari potevano ospitare 60.000 spettatori, rigorosamente divisi secondo il ceto.
A qualche metro d’altezza dall’arena c’era il podio, cioè la tribuna di marmo guarnita di velluti riservata all’imperatore e alla sua famiglia.
A fianco sedevano i senatori, vestiti con le candide tuniche, le Vestali e le alte cariche dello Stato.
Nelle gradinate prendevano posto, via via sempre più in alto, gli spettatori appartenenti al ceto medio e le personalità di minore riguardo, e alla fine la povera gente, cioè la plebe.
Poiché questa era anche divisa per sesso, le donne occupavano l’ultimo ordine, il più alto, sotto un loggiato di legno che coronava la cavea.
Ogni spettatore, munito di tessera gratuita con indicato il numero del settore e del posto, entrava dall’arcata corrispondente al suo numero e, seguendo un preciso percorso, sbucava da una delle porte chiamate vomitoria in prossimità del suo posto. L’organizzazione dei percorsi era talmente ben studiata che, in caso di necessità, l’anfiteatro poteva essere sfollato in pochi minuti.
Quando il sole era troppo forte, per riparare gli spettatori si stendeva un immenso tendone, chiamato velarium, che ricopriva tutto il circo. Il velano scorreva su un sistema di funi sorrette da 240 pali, i quali passavano attraverso i fori del cornicione per puntellarsi esternamente su 240 mensole di travertino.
Le operazioni di apertura e chiusura del velano erano eseguite da una squadra di marinai della flotta imperiale che alloggiavano in caserme appositamente costruite nelle vicinanze dell’anfiteatro. L’arena ove si svolgevano i giochi era separata dalle gradinate mediante un’alta rete metallica che impediva assalti da parte delle belve.
Il ripiano dell’arena era fatto di tavoloni, con uno strato di sabbia gialla sopra, che ricoprivano i locali sotterranei detti ipogei.
Gli ipogei, che ora sono ben visibili sotto i nostri occhi, servivano da magazzini per i materiali, da ricovero per gli animali e da deposito per gli scenari.
Questi ultimi, che rappresentavano costruzioni, alberi, rocce o paesaggi, potevano all’occorrenza scorrere su piani inclinati ed emergere nell’arena tra lo stupore del pubblico.
Per l’uscita delle belve funzionava un meccanismo altrettanto ingegnoso che utilizzava 32 montacarichi impiantati nello spessore del muro intorno all’arena.
Prima dello spettacolo le fiere erano fatte passare lungo camminamenti strettissimi, che vediamo nel sotterraneo, e spinte in buie gabbie.
All’inizio dei giochi le belve erano introdotte nei montacarichi che funzionavano con dei contrappesi.
Ad un segnale convenuto si sganciavano tutti i contrappesi e le fiere, portate in alto verso la luce e lasciate libere.
Salvatore dott. Terranova - Noto
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