Scrittore più compiuto e maturo di molti altri contemporanei
Asor Rosa, tra l’altro scrive:
….Al fondo del discorso c’è infatti un complesso di moralità e di speranze cristiane: l’umanitarismo leviano si stempera in un’atmosfera morbida, in cui il richiamo alla bontà, alla fratellanza, alla solidarietà verso i poveri assume toni singolarmente confessionali. I contadini, i pescatori, gli artigiani, i proletari del Sud, tornano a configurarsi come umili, nella migliore tradizione del pensiero cristiano. Dolci ha di nuovo questo: che egli, accettando come necessario e indispensabile il livello dell’umiltà popolare, cerca anche lui di farsi umile, tenta di rinunciare al paternalismo intellettuale. Ma ogni operazione regressiva contiene in sé il suo contrario: cioè, cattiva coscienza della superiorità, sotterranea angoscia d’essere diverso, volontaristico impulso alla identità. Questo spiega, tra l’altro, come le soluzioni stilistiche e narrative dei Racconti siciliani siano così ambigue e imperfette: il tentativo di realizzare un perfetto mimetismo ambientale e psicologico si risolve in un fastidiosissimo atteggiamento falso-ingenuo, da cui traspare chiaramente che l’autore è, nonostante tutte le apparenze, un esteta.
I difetti più ovvi della letteratura meridionalistica non sono ravvisabili nelle Terre del Sacramento (1950) di Francesco Jovine, che appare perciò autore appartato e solitario, non di grande statura, ma dignitoso e talvolta efficace nell’approfondimento della propria tematica. Vero è che anche in questa sede ci sembra di poter riconfermare un giudizio già espresso nel 1961 sullo scrittore molisano ("Ogni rilettura delle Terre del Sacramento toglie qualche cosa all’entusiasmo con cui scorremmo la prima volta questo libro"), con una progressiva accentuazione negativa, che è la testimonianza più certa dell’inesorabile scorrere del tempo. Alcune qualità sopravvivono però a questa usura: il notevole impegno morale dell’uomo, la sua robusta capacità narrativa, la sobrietà del disegno ideologico.
A differenza degli scrittori leviani, Jovine concede poco spazio alle tentazioni estetizzanti e decadenti: su questo piano egli si spinge solo fino al punto di creare intorno ai suoi personaggi un’atmosfera un po’ remota, da leggenda contadina e paesana. A differenza degli scrittori napoletani, egli non si abbandona facilmente alle ovvie variazioni coloristiche del folklore: su questo piano egli non va più in là di qualche accenno al mondo superstizioso ed ingenuo della psicologia contadina. Il suo limite più grande è invece proprio nell’accettazione e nella integrale applicazione di un modello narrativo-stilistico-ideologico, che non sembra avere ancor preso coscienza di tutte le rivoluzioni psicologiche, sentimentali, ideali, dell’arte novecentesca. In altri termini l’apparente paradosso di Jovine sta in questo: ch’egli è scrittore più compiuto e maturo di molti altri contemporanei solo perché appare profondamente e seriamente legato alla tradizione narrativa dell’Ottocento ed è quindi, almeno strutturalmente, più vecchio e attardato di loro. Questo non è senza significato.
La riuscita delle Terre del Sacramento – riuscita valutabile entro i confini molto ristretti dell’esperimento – sta nella felice spontaneità con cui l’ideologia contadina vi si esprime nelle ingenue forme del racconto popolare paesano. Non c’è dubbio che questo romanzo sarebbe piaciuto a Gramsci, che individuava "nel Guerrazzi, nel Mariani, e in altri pochi scrittori paesani popolari" gli unici esempi italiani di un "moderno umanesimo", di un "laicismo a suo modo moderno". Jovine faceva confluire nelle Terre del Sacramento una sua ricca r diretta esperienza di vita provinciale, elemento questo di non secondaria importanza specie se confrontato alla palese artificiosità di tante altre opere meridionali i tipi dei vari ceti da lui rappresentati – i galantuomini di paese, i proprietari oziosi e parassiti, i professionisti intelligenti ma intristiti da una vita senza orizzonti, gli studenti poveri, i cafoni miserabili e tenaci, lavoratori infaticabili, ma privi di ogni consapevolezza – hanno un sapore di verità e una consistenza sociologica innegabile. Intorno a questo materiale umano, osservato e descritto con molta attenzione e molto amore, Jovine intesse la tela di un disegno storico ideologico nel quale ha molta parte la suggestione delle indicazioni meridionalistiche gramsciane. Il protagonista delle Terre è Luca Marano, uno studente povero, figlio di cafoni, che accetta di difendere la sua gente materna e non la tradisce, come fanno di solito tutti coloro che, uscendo a fatica dal ceto più basso, accettano di vivere in quella condizione subordinata e quasi servile, che è tipica del piccolo intellettuale meridionale, strumento il più delle volte dei padroni e dei grossi proprietari.
Tratto da:
- SCRITTORI E POPOLO - Saggistica 3 di Alberto Asor Rosa (Stralcio Capitolo 15 pag. 239 – 240 – 241) IV Edizione, Editrice Litografica Casalotti 1971
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