GIORNI CHE RINASCERANNO
Risale al 1945 (il manoscritto reca la data del 2 dicembre) un secondo tentativo di commedia, dal titolo Giorni che rinasceranno. Jovine è sensibile al linguaggio scenico ed avverte la necessità di un teatro capace di aprire nuovi orizzonti al pubblico borghese.
La commedia, in tre anni, partecipa al concorso drammatico bandito, nel 1946, dalla Presidenza del Consiglio e viene prescelta, con altre cinque, su quattrocentosettanta concorrenti, per essere rappresentata al pubblico. Il 15 gennaio 1948, con il titolo originario di Memorie del dolore, è trasmessa per radio avendo come attrice protagonista Rina Morelli. Non ha buona accoglienza critica né migliori sono gli esiti teatrali: va in scena a Roma nel maggio ’48 e a Milano in agosto, con insuccesso clamoroso di pubblico e stroncatura pressoché totale di critica.
L’azione si svolge in una ricca casa borghese. La protagonista è Isabella Proietti che, da umili origini a modo suo attacca la “cittadella della borghesia”. Dopo il diploma ha fatto la dattilografa in una banca ed ha sposato, senza amore, il principale, Giacomo Contini, ottenendo altresì l’assunzione del padre e del fratello.
Malgrado ciò, non è soddisfatta di sé e dell’ambiente agiato che la circonda. Riallaccia i legami con un amante per avere a tutti i costi un figlio; poiché neppure questo sogno si realizza, decide di ritornare al suo mondo di partenza, alla ricerca delle radici o meglio di una rinascita interiore. In realtà, se ne va lasciandosi una port6a aperta: fa capire al marito che potrebbe di nuovo riunirsi a lui.
Isabella soffre un’angoscia difficile da superare perché ereditata da lontane ascendenze: povertà e dolore durati per troppe generazioni non scompaiono neppure con un mutamento sociale.
La commedia, valida come polemica contro la viziata e conformistica vita borghese, ha un certo valore letterariamente: molto intenso è il personaggio di Isabella, sia pure di una drammaticità intellettuale; gli altri non hanno pari vitalità per cui la capacità strutturale dell’opera da un punto di vista scenico è limitata.
I giudizi della critica si sono soffermati in genere sul contrasto tra pregi e carenze.
Lo studio più accurato ed obiettivo della commedia, in un esame comparativo con altre produzioni joviniane, è di F. D’episcopo (in F. Jovine, Commedie inedite, op. cit. pp. 129-193).
La figura di Isabella è analizzata in parallelo con la protagonista del Burattinaio metafisico e di Ragazza sola.
A differenza di Gemma Siderea o di Giulio Sabò (Un uomo provvisorio) che denunciano una “solitudine dell’intelligenza”, Livia e Isabella, con le loro crisi e rinascite, sono donne che vanno ambiguamente partorendo “una nuova coscienza morale e sociale”.
La commedia va anche collocata tra Signora Ava e Le Terre del Sacramento, cioè un periodo di decisivo trapasso, per l’autore, dallo stadio di incubazione alla matura espressione storicistica, che oltretutto corrisponde ad un momento particolare per la vita italiana, quello della ricostruzione post-bellica, in cui il mito della “rinascita” morale si unisce alla realtà della “ricostruzione” materiale.
Sono gli anni in cui lo scrittore si confronta con il pensiero di Antonio Gramsci, nell’attività giornalistica, insiste sia sul problema della classe che per secoli ha guidato il Paese (cfr. La borghesia da noi in Mondo europeo,II, 946,7) sia sul tema della Decadenza della cultura borghese (in Vie nuove, 29 maggio 1949), mostrando fiducia nella rinascita del popolo.
Da tali articoli si desume che Jovine propone un’alleanza tra popolo e borghesia, cui attribuisce una sempre valida funzione di “guida”, e ritiene che la nuova letteratura, nel sostituirsi alla vecchia, non ha bisogno di rinnegare le esigenze della coscienza.
Nella stessa fase in cui matura i motivi della sua adesione al socialismo, Jovine rilancia quelli in difesa del realismo, sforzandosi di assumere una posizione e equilibrata sui letterati d’arte e i letterati di propaganda (cfr. Letteratura di propaganda e letteratura d’arte, in Rinascita, giugno 948). Rifiuta ogni categoria autonoma e fine a se stessa (illuminismo, spiritualismo, neo-idealismo socialismo), tentando una conciliazione tra le specifiche funzioni di ciascuna di esse.
In questo difficile e fondamentale equilibrio tra libertà e realtà, tra vecchio e nuovo, tra razionalità e fantasia, tra interiorità dell’artista ed esteriorità del reale, tra società e umanità, in questa volontà di pervenire ad un’armonica sintesi degli opposti per riflettere l’ineludibile unitarietà del reale, consiste “l’umanesimo militante” di Jovine.
Con la sua fede in una sintesi estetica, cerca posto anche nella discussione su politica-cultura, accesa dalla nota polemica Vittorini-Togliatti nel ’45-’47, e ripresa nel ’48 su letteratura-società dal dibattito nelle riviste L’Unità e Vie nuove.
E poiché nell’opera di Jovine c’è interferenza e circolarità tra narrativa-teatro-pubblicistica, D’Episcopo conclude che nell’orizzonte estetico di quegli anni è da inquadrare il progetto di teatro sociale che Jovine abbozza con Giorni che rinasceranno; anzi, la commedia risulta in tal senso la prova più chiara della difficoltà estrema a “far quadrare il centro della vita con il cerchio della cultura” (op. cit.).
Tratto da:
Francesco Jovine
Redatto a cura di: Anna Maria Sciarretta Colombo
Con la collaborazione di: Miranda Jovine Tortora
Della F.I.D.A.P.A (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) Sezione di Termoli (CB).
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