LA NEUROPSICOLOGIA
Definizione e cenni storici della neuropsicologia
La neuropsicologia è la disciplina scientifica che studia i deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali causati da lesioni o disfunzioni del sistema nervoso centrale, in particolare della corteccia dei due emisferi cerebrali, di strutture sottocorticali e dei fasci di sostanza bianca che collegano le diverse aree corticali tra loro e con le strutture sottocorticali*.
La neuropsicologia ha una duplice finalità: sperimentale e clinica. I deficit causati da lesioni cerebrali sono infatti studiati da un lato con scopi scientifici per esplorare la struttura funzionale della mente e i suoi correlati neurali (neuropsicologia sperimentale), dall’altro con finalità diagnostiche e riabilitative (neuropsicologia clinica).
Le due componenti, sperimentale e clinica, risultano interdipendenti e strettamente collegate tra loro, in quanto da un lato le conoscenze si applicano nella pratica clinica e dall’altro l’osservazione clinica può fornire ottimi spunti per il procedimento euristico.
Il termine “ neuropsicologia ” venne utilizzato per la prima volta a partire dall’800, momento in cui la disciplina iniziò a distinguersi da campi altrettanto vicini, quali la neurologia e la psicologia, anche se l’associazione tra deficit della funzione mentale e lesioni cerebrali risale all’epoca dell’antico Egitto e della Grecia classica.
Tra gli autori dell’800 che hanno gettato le basi verso la “moderna” neuropsicologia, merita sicuramente essere citato il medico tedesco Franz Josef Gall (1758-1828) e il suo allievo Johann Christoph Spurzheim (1776-1832), i quali svilupparono, per la prima volta nella storia della scienza, il “Localizzazionismo”: teoria esplicita delle relazioni mente-cervello, la quale ipotizzava quanto di seguito riportato:
a) Il cervello è l’organo della mente;
b) La mente è costituita da un numero predefinito di componenti distinte chiamate “facoltà”;
c) Le facoltà sono innate e localizzate in regioni specifiche (organi) della superficie del cervello (corteccia cerebrale);
d) Le dimensioni di ciascun organo forniscono una misura dello sviluppo delle facoltà lì localizzata e di quanto essa sia un elemento costitutivo del carattere di una persona;
e) La corrispondenza tra lo sviluppo maggiore o minore di una particolare facoltà e il volume aumentato o diminuito della regione cerebrale a essa associata determina la comparsa di una protuberanza o di una depressione della parte di osso cranico sovrastante.
f) Palpando le diverse regioni del cranio (cranioscopia) è possibile determinare lo sviluppo delle facoltà mentali di un singolo individuo.**
Pur se estremamente innovativo l’approccio manifestato, non si conseguì il successo sperato: nella prima metà dell’800 la “frenologia” (esame della conformazione del cranio come indicatore delle facoltà mentali e dei tratti del carattere) non trovò alcuna validità scientifica e cadde in discredito.
Così poco dopo, Gall e Spurzheim ipotizzarono l’esistenza di numerose facoltà mentali relative agli organi cerebrali, e anche qui la maggioranza di queste non ebbe alcun riscontro sperimentale.
Fin quando, lo stesso Gall, studiando l’esistenza del “linguaggio***”, gettò le basi per la neuropsicologia moderna a metà ‘800.
Le teorie di Gall sull’esistenza del linguaggio furono riprese e consolidate dal medico francese Jean- Baptiste Bouilland (1796-1881) che, studiando i pazienti affetti da lesione cerebrale, suggerì nel 1825 una localizzazione del linguaggio nei lobi frontali, costruendo sulle fondamenta di Gall il palazzo del “Linguaggio”.
L’idea di un’organizzazione della mente in componenti distinte, localizzate in parti diverse del cervello è oggi il paradigma prevalente nelle neuroscienze cognitive; per questo motivo le idee di Gall e il suo allievo sono state riprese da vari scienziati cognitivi e neuropsicologi.
Nonostante ciò, come reazione alle difficoltà incontrate dal localizzazionismo di Gall, prevalsero le critiche, le quali sostenevano che i processi mentali superiori sono rappresentati nel cervello in modo relativamente diffuso e non localizzati in aree specifiche.
Il fisiologo francese Marie Jean- Pierre Flourens (1794-1867), sulla base di esperimenti effettuati su piccioni, ai quali venivano rimosse parti del cervello, pose fine all’annosa questione: il fisiologo affermò che le attività psichiche più elevate erano sostenute dagli emisferi cerebrali, dal movimento, dal midollo osseo, dal cervelletto e dalle funzioni vitali di base, quali la respirazione.
L’atto di nascita “per eccellenza” della neuropsicologia viene individuato nella scoperta dell’antropologo francese Paul Broca (1824-1880), che descrisse il caso di un paziente affetto da emiparesi destra****, il quale era in grado di comprendere il “linguaggio udito” e, senza manifestare deficit di intelligenza, era in grado di esprimersi oralmente con le sillabe “tan, tan”. L’esame anatomo-patologico post mortem del cervello del paziente rivelò lesioni dell’emisfero cerebrale sinistro e l’antropologo Broca mise in relazione il disturbo del linguaggio articolato (afemia) con la lesione della parte più ventrale.
La scoperta di Broca illustrò alcuni principi essenziali su cui si costruisce oggi la neuropsicologia moderna: la mente è costituita da componenti separate e indipendenti; queste componenti sono localizzate in diverse regioni del cervello e le lesioni cerebrali limitate a tali aree possono compromettere in modo selettivo le diverse componenti dell’attività mentale.
Tra il 1861 e il 1920, il cosiddetto periodo “classico” della neuropsicologia, sono stati descritti i principali deficit delle funzioni mentali superiori e le loro basi cerebrali; tra cui si riscontrano i disturbi del linguaggio (afasia); i deficit dell’identificazione degli oggetti (agnosia); i deficit del movimento volontario (aprassia); i disordini caratterizzati dalla mancata consapevolezza della malattia (anosognosia); e i deficit della memoria (amnesia).
Sempre nel periodo “classico” fu concepito un nuovo modello della struttura delle funzioni mentali superiori: “Schema centri e connessioni”.
I “centri” sono localizzati in regioni specifiche della corteccia cerebrale (sostanza grigia) e contengono particolari rappresentazioni, mentre le “connessioni” sono costituite da fasci di sostanza bianca e consentono il trasferimento delle informazioni e la trasformazione di una rappresentazione in un’altra collegando i centri.
Questo processo è stato denominato “ricodificazione”.
Furono illustrati, poi, due noti modelli del linguaggio: il modello di Wernicke e il modello di Lichtheim, introdotti rispettivamente da due neurologi tedeschi Karl Wernicke (1848-1905) e Ludwing Lichtheim (1845-1928). Il modello di Wernicke, soffermandosi sui pazienti con compromessa comprensione uditivo-verbale e una buona produzione del linguaggio, ipotizzava l’esistenza di un secondo centro.
I deficit neuropsicologici, secondo Wernicke, potevano essere determinati, oltre che dalla distruzione di centri, dalla interruzione delle connessioni tra loro.
A differenza, il modello di Lichtheim era un esempio paradigmatico dell’approccio dei costruttori di diagrammi, attivi nella seconda metà dell’800, in quanto aggiunge ulteriori centri e connessioni.
Il metodo di indagine dei neurologi della seconda metà dell’ottocento si basava su altri due passaggi successivi: a) un’analisi clinica qualitativa dei deficit cognitivi dei pazienti; b) l’esame post mortem del cervello del paziente, in modo da determinare sede ed estensione della lesione cerebrale responsabile dei sintomi e dei segni osservati in vita.
In questo modo era possibile stabilire una “correlazione anatomo-clinica” tra i deficit comportamentali e la sede della lesione, localizzando la funzione compromessa.
Tuttavia, nei decenni successivi, l’approccio ai diagrammi precedentemente citati, fu sottoposto a diverse critiche.
Già alla fine dell’800 molti neurologi preferivano un approccio più unitario e meno localizzazionista alle funzioni mentali, che si scostò dal percorso intrapreso da Gall, Broca, Wernicke e Lichtheim.
A partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso, infatti, da un punto di vista metodologico, alcuni ricercatori affermarono che nel periodo classico della neuropsicologia, le osservazioni empiriche venivano rivolte a pochi pazienti, studiati individualmente, in quanto la presenza di un deficit grave ed evidente aveva attirato l’attenzione del ricercatore.
Ulteriore critica mossa riguardava le prestazioni dei pazienti che non risultavano essere esaminate mediante metodi quantitativi; non utilizzavano test tarati e standardizzati e non potevano essere attribuiti punteggi numerici al comportamento dei pazienti.
In conclusione, il metodo utilizzato nel periodo “classico” forniva osservazioni cliniche in pazienti singoli, difficilmente replicabili, poiché i metodi di indagine comportamentale erano puramente di osservazione: il ricercatore descriveva nel dettaglio il comportamento del paziente, il quale veniva giudicato patologico senza un confronto statistico, bensì tramite un paragone con soggetti neurologicamente indenni.
A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, diversi neuropsicologi, sostennero un approccio differente, i cui punti fondamentali possono essere sintetizzati in tre punti:
· La ricerca neuropsicologica deve avere luogo in gruppi di pazienti, non selezionati sulla base della presenza di un particolare deficit evidente all’osservazione clinica, bensì del lato e della sede della lesione cerebrale;
· L’esame neuropsicologico è caratterizzato da test standardizzati che forniscono un punteggio inerente il comportamento del paziente;
· La prestazione dei pazienti cerebrolesi va confrontata mediante procedure statistiche con prestazioni di un gruppo di soggetti neurologicamente indenni.
Dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, i progressi della psicologia cognitiva con i modelli scatole e frecce di analisi dell’informazione hanno messo in evidenza come l’organizzazione della mente sia assai articolata.
L’utilizzo di tali modelli, spesso complessi, ha dato nuovo vigore allo studio di casi singoli. Però, a differenza del periodo “classico”, lo studio del caso singolo era condotto mediante test standardizzato e la prestazione del paziente è paragonata a un gruppo di controllo appropriato.
Arrivando agli anni’80 del secolo scorso, alcuni neuropsicologi hanno preso una posizione estrema: data la complessità del sistema cognitivo, risulta improbabile che una lesione cerebrale potesse compromettere in modo identico le funzioni mentali in due pazienti diversi.
Da qui è scaturita l’ovvia conseguenza circa l’impossibilità di formare gruppi di pazienti omogenei rispetto al deficit oggetto dell’indagine. Sulla base di queste premesse gli studi neuropsicologici sono stati condotti solo in singoli pazienti e non classificati a priori.
Questo tipo di neuropsicologia “solo casi singoli” rende difficile la replica delle osservazioni tra paziente e paziente e l’indagine dei deficit neuropsicologici e delle funzioni compromesse.
Attualmente, le ricerche neuropsicologiche indagano i deficit determinati da lesioni cerebrali sia in singoli pazienti che in gruppi, in cui i pazienti sono omogenei rispetto al deficit neuropsicologico per il quale sono selezionati.
Vengono utilizzati test standardizzati e la prestazione dei pazienti è paragonata con quella di soggetti non cerebrolesi mediante analisi statistica.
Martina Dott.ssa Cordeschi
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE – ROMA
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA “A. GEMELLI”
ISTITUTO FIGLIE DI SAN CAMILLO
SCUOLA “PADRE LUIGI TEZZA”
CORSO DI LAUREA I LIVELLO IN INFERMIERISTICA
Tesi di laurea
Il pensiero è azione: stimolazione neuropsicologica come strumento di assistenza
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
* Giuseppe Vallar, “ Manuale di Neuropsicologia”, Ed. Il Mulino, 2011
** Giuseppe Vallar, “Manuale di Neuropsicologia”, Ed Il Mulino, 2011
*** Il linguaggio è la capacità dell’uomo di comunicare per mezzo di un codice: la lingua. In genere con il termine “linguaggio” ci si riferisce ad un sistema di comunicazione che prevede un carattere verbale e non verbale, distinguendo così un linguaggio verbale da un linguaggio del corpo. La forma orale è caratterizzata da sequenze articolatorie, a carico della bocca, della faringe e della laringe che realizzano programmi motori provenienti dalla corteccia cerebrale. Mentre la forma non verbale, si esprime con movimenti del corpo (braccia e mimica facciale) e con atteggiamenti para-linguistici (pianto, riso, sospiro) che descrivono le emozioni provate.
**** L’emiparesi destra è un deficit motorio che interessa il lato destro dl corpo, causato da un danno cerebrale contro laterale al deficit.